Chris Henderson ha cambiato la traiettoria di Inter Miami

Non ci sono dubbi su quale sia la storia del momento in Major League Soccer, e non ci sono neanche particolari dubbi su chi siano i suoi principali protagonisti. Dall’arrivo di Lionel Messi, Sergio Busquets, Jordi Alba e Gerardo Tata Martino la franchigia della Florida è diventata apparentemente imbattibile, invertendo la rotta di marcia dopo una prima parte di stagione all’ultimo posto della Eastern Conference e trasformandosi in una squadra capace di uscire imbattuta fino alla finale di Leagues Cup, in cui è anche il miglior attacco del torneo. Alla luce di questa visibilità senza precedenti, il miliardario proprietario di maggioranza della franchigia, Jorge Mas, non ha esitato nel prendersi la scena, facendo da anfitrione nella serata di presentazione del campione argentino al DRV PNK Stadium di Fort Lauderdale, posizionando il suo nome e quello della sua famiglia, attiva fin dai tempi del padre Jorge Mas Canosa come uno dei volti del movimento anticastrista in Florida, accanto all’acquisizione di uno dei più grandi campioni dello sport mondiale. Alla stessa maniera, il sindaco di Miami Francis Suarez, anche lui di origine cubana, ha portato l’acqua dell’arrivo di Messi al mulino della sua candidatura alle primarie repubblicane per le prossime elezioni presidenziali.

Da quando è arrivato in MLS, tutti hanno voluto un pezzo di Lionel Messi. David Beckham, co-proprietario di Inter Miami e sempre presente alle partite della franchigia, ha abbandonato le suite dello stadio temporaneo in quel di Fort Lauderdale ed è diventato, insieme alla moglie Victoria Beckham, presenza fissa a bordo campo, dove adempie ai compiti di ospitalità aiutando le celebrità sempre presenti quando Messi gioca in casa, da LeBron James a Serena Williams a Derek Jeter, ad acclimatarsi al bizzoso meteo della Florida. Mentre tutti questi volti celebri si prendevano la scena di una MLS mai stata così glamour e figa agli occhi del jet set mondiale, però, sareste perdonati se non aveste la benché minima idea di quale sia il volto che più di tutti è responsabile per il così significativo ribaltamento di forze che sta spingendo Inter Miami verso vette mai toccate prima nella breve storia della franchigia.

Se infatti l’articolo-ricostruzione di The Athletic sui retroscena del trasferimento di Messi in Florida si concentra sul lavoro di convincimento di Mas e compagni, con il miliardario di origine cubana presente anche alla finale degli ultimi mondiali nel box riservato alla famiglia del campione argentino, la realtà è che l’arrivo di Messi non rappresenta l’inizio di un processo di rinnovamento, semmai ne è la conclusione, la ciliegina sulla torta di un lavoro fatto, all’oscuro dell’attenzione internazionale ma certo non di chi segue la MLS da vicino, da Chris Henderson, il volto meno conosciuto ma forse più fondamentale della ricostruzione di Inter Miami.

Quando Henderson, ex calciatore con una carriera decennale in MLS, di cui un tempo è stato anche il recordman di presenze, ha accettato nel gennaio 2021 l’offerta di lavoro come direttore tecnico di Inter Miami, la sua poteva sembrare una decisione strana come quando in Football Manager, dopo tre Champions League consecutive, si opta per dimettersi dal proprio ruolo per ripartire di nuovo dai bassifondi del calcio mondiale. Il nativo di Edmonds, Washington, infatti, veniva da dodici anni come direttore tecnico dei Seattle Sounders, la squadra locale che era cresciuto tifando ai tempi della NASL, e con loro, a cui si era unito fin dal loro esordio in MLS, non aveva mai mancato i playoff arrivando anche a vincere due MLS Cup e a giocare in altre due finali per il titolo. I Sounders, oltre ad essere la sua squadra, erano anche il modello da seguire per le franchigie MLS, una dinastia che di lì ad un anno avrebbe vinto la prima storica CONCACAF Champions League.

Al contrario, in appena una stagione in Major League Soccer, Inter Miami era subito riuscita a raggiungere vette inesplorate di disfunzionalità, diventando non solo un esempio di come non costruire una franchigia, ma anche recipiente delle sanzioni più salate mai assegnate dalla lega ad un club per aver violato le regole del monte salari. Nella stagione 2020, infatti, la squadra allora gestita da Paul McDonough, aveva, con la connivenza di Jorge Mas, multato anche lui dalla lega, sottostimato il vero stipendio di Blaise Matuidi e Andres Reyes, ritrovandosi così di fatto con cinque Designated Player in squadra. La punizione della MLS, oltre in una squalifica di un anno a McDonough, oggi presidente della USL, la principale minor league del calcio statunitense, è consistita in un significativo restringimento del budget salariale, nella forma di Allocation Money, con cui tra l’altro la franchigia della Florida deve ancora fare i conti in questa stagione 2023, l’ultima coperta dalle sanzioni della lega.

Non è chiaro quanta consapevolezza delle sanzioni in arrivo avesse Henderson quando ha accettato l’incarico di ricostruire Inter Miami, che anche senza multa aveva deciso di ripartire da zero dopo un primo anno conclusosi con una qualificazione ai playoff arrivata solo per il rotto della cuffia e grazie all’allargamento della post-season causata dalla pandemia, ma anche avere un’idea precisa di cosa avrebbe comportato accettare questo lavoro non ha reso la portata dell’impresa di fronte al dirigente statunitense più piccola, anzi, semmai avrebbe reso l’offerta di lavoro ben meno attraente. Essenzialmente, nei suoi primi due anni di lavoro, il compito di Henderson è stato quello di separarsi dagli investimenti più insostenibili della gestione precedente, indipendentemente dal valore calcistico dei singoli, e costruire squadre quanto più competitive con, a tutti gli effetti, due milioni di dollari in meno di spazio salariale rispetto a tutte le altre franchigie.

Acquisti multimilionari come Matias Pellegrini e Rodolfo Pizarro sono stati prima ceduti in prestito – nel caso di Pizarro senza neanche riuscire a liberare il suo slot da DP nonostante non fosse parte della squadra – e poi svincolati – e stiamo parlando dei due acquisti più costosi nella storia della franchigia, rispettivamente pagati otto e dieci milioni di dollari, cifre non banali in MLS – mentre acquisti come Julian Carranza sono diventati scommesse a poco prezzo per franchigie intelligenti come Philadelphia, che ha acquistato l’argentino in prestito con un’opzione veramente scontata, rendendolo uno dei migliori attaccanti della lega. Per quanto la carriera a Miami di Henderson non sia stata priva di acquisti rivedibili, è anche vero che acquistare giocatori utili è diventato molto presto un prerequisito secondario del suo lavoro, che alcuni degli investimenti in questione hanno dannato il monte salari molto più a lungo di quanto ci si sarebbe potuto augurare – Pizarro è il caso più evidente, visto che ha lasciato la squadra non più di un mese e mezzo fa – e che la presenza di un allenatore di basso livello come Phil Neville serviva da sola come deterrente allo sviluppo dei calciatori.

Pur con risultati non esaltanti, Henderson è riuscito ad architettare almeno una squadra capace di risultati positivi, quella che nella seconda parte del 2022 è riuscita a qualificarsi ai playoff grazie all’ultimo risveglio nella carriera di Gonzalo Higuain e alla presenza di pezzi utili dall’impatto salariale contenuto – come Bryce Duke e Drake Callender – e/o comunque con un contratto molto positivo in relazione alla qualità offerta sul campo come Gregore. In particolare, ad accendere la rimonta playoff della franchigia è stato l’acquisto a metà stagione di un fantasista numero dieci di scuola spagnola – suona familiare? – come Alejandro Pozuelo, che Henderson ha prelevato da Toronto sfruttando la stessa necessità che lo aveva costretto a liberarsi di Carranza, ovvero il bisogno di maggiore spazio salariale – nel caso dei canadesi per far arrivare Federico Bernardeschi.

Nella off-season 2022, comunque, con il ritiro di Higuain e la scadenza del contratto di Pozuelo, Inter Miami, e soprattutto Chris Henderson, si sono ritrovati a dover fare una scelta. Come abbiamo già visto in precedenza, in quel momento dell’anno le trattative per portare Lionel Messi a Miami erano già ad uno stato avanzato, ed è sicuro che Henderson fosse persona informata dei fatti. Con la consapevolezza che l’argentino sarebbe potuto arrivare solamente in estate e che investire in lui avrebbe probabilmente voluto dire investire anche in elementi vicini a Messi – come Busquets, Martino e Alba – Henderson si è trovato di fronte ad un bivio: costruire la squadra come se l’argentino avesse già firmato, senza alcuna sicurezza del suo arrivo e con il rischio di trovarsi una squadra incompleta e senza un vero Piano B in caso di mancata firma, oppure allestire una squadra capace di competere fin da subito, ma magari con meno spazio per le richieste di Messi e del Tata Martino e la sincera possibilità che questa assenza di margini impedisse l’arrivo dell’argentino in Florida?

Henderson avrebbe scelto la prima opzione, anche se questa ha comportato, come conseguenza quasi diretta, una prima metà di stagione disastrosa, conclusa come la peggior squadra della MLS. Per capire meglio cosa intendo, è opportuno pensare a Messi, a Busquets e, in una seconda fase, a Jordi Alba, oltre che ai tre nuovi acquisti parte della Under 22 Initiative, Dario Gomez, Facundo Farias e Tomas Aviles, non come nuovi acquisti, ma come giocatori che fanno parte di quest’organico da inizio anno che hanno saltato la prima parte di stagione a causa di un infortunio. Per quel che riguarda il salary cap, infatti, Miami ha sempre operato con l’idea di conservarne uno spazio consistente per permettere l’arrivo di questo influsso di talento nella sessione estiva (attenzione: questa parte sta per addentrarsi in quella Fossa delle Marianne nota come il Salary Cap MLS, avventuratevi a vostro rischio e pericolo, potrebbe sembrarvi una lingua straniera).

Pur avendo teoricamente giocato la prima parte di stagione con tre Designated Player – Rodolfo Pizarro, Leonardo Campana e Gregore – bisogna considerare questi nomi grossomodo alla stregua di segnaposto: Miami ha cercato di liberarsi di Pizarro per anni ed è giunta ad una risoluzione consensuale del contratto, liberando il suo slot, mentre Campana e Gregore sono stati DP solamente per mantenere massima flessibilità all’interno delle regole salariali molto complesse della MLS. Campana ha perso lo status da DP, con l’impatto del suo contratto abbassato tramite Allocation Money, proprio per fare spazio a Lionel Messi, uno status che aveva ottenuto in primo luogo solo per permettere di usare quell’Allocation Money temporaneamente in altre zone di campo – come per Nick Marsman, poi svincolato in questa sessione estiva. Nel caso di Gregore, invece, mantenere lo status da DP del centrocampista brasiliano è fondamentale perché senza non sarebbe stato possibile usufruire al massimo della Under 22 Initiative. Per avere a disposizione tre slot dell’iniziativa anziché uno, infatti, è necessario che almeno uno dei tre Designated Player sia o uno Young DP – quindi di età inferiore ai ventitré anni – o che abbia un impatto salariale – la media dello stipendio lungo la durata del contratto più la cifra del suo trasferimento divisa per gli anni di contratto – non superiore a 1,625 milioni di dollari, permettendo così alla franchigia di abbassare l’impatto del suo contratto usando Allocation Money – questi giocatori sono detti “TAM”, da Targeted Allocation Money, un tipo di Allocation Money che può essere utilizzata solo per contratti sopra il teorico massimo salariale da 625 mila dollari.

Tenendo Gregore come DP, dunque, Miami può permettersi di acquistare Gomez, Farias e Aviles, giocatori con un prezzo del cartellino notevole, che senza quei tre slot della U22 Initiative potrebbero arrivare solo come Designated Player. In aggiunta a questi magheggi sulla situazione dei tre DP, è fondamentale anche tenere in considerazione il lavoro eccezionale fatto da Henderson per tenere basso il cap generale e permettere l’arrivo di un contratto come quello di Jordi Alba, che non essendo da DP ha un impatto salariale notevole, nonostante Miami sia, come detto, ancora per questa stagione sotto le sanzioni più severe mai decretate dalla MLS. In primo luogo, Henderson ci è riuscito trovando valore all’esterno del monte salari principale, aiutato anche dall’ottimo settore giovanile messo in piedi dalla franchigia. Elementi di rilievo della prima squadra, come i titolari fissi Benjamin Cremaschi e Drake Callender – forse il miglior giocatore in queste ultime partite dopo Messi – oltre che sostituti come Noah Allen, Robbie Robinson, David Ruiz, Ryan Sailor e gli altri due portieri in rosa Cole Jensen e CJ Dos Santos non solo non contano contro il salary cap, ma non fanno neanche parte dei venti giocatori con contratto Senior della franchigia, e rappresentano un uso incredibile degli slot supplementari che di solito le franchigie MLS riservano a panchinari perenni che raramente vanno in doppia cifra di minuti giocati o a prodotti del vivaio ancora lontani dalla prima squadra. In seconda battuta, Henderson ha saputo creare spazio salariale tramite trade, in particolare con quella che ha portato Kamal Miller a diventare il difensore centrale titolare di Miami. L’All-Star canadese, infatti, è arrivato via trade insieme a 1,3 milioni di dollari in Allocation Money da Montreal in cambio di Bryce Duke e Ariel Lassiter. Quando si considera che sommati gli stipendi di Lassiter e Duke fanno grossomodo quello di Miller, non è assurdo uscirne fuori con l’idea che Inter Miami sia uscita da questa trade non solo con un milione di dollari di spazio salariale in più, ma anche con il migliore giocatore dello scambio dalla sua parte.

Ma non è solo dal punto di vista del monte salari che Inter Miami si è volontariamente ammanettata come necessaria premessa per la possibilità di essere liberata dal glorioso cavaliere col numero dieci sulle spalle. Anche nella costruzione della squadra, Inter Miami è apparsa fin da subito come una squadra le cui qualità necessitassero di pezzi come gli ex Barcellona per essere adeguatamente valorizzate. Al di là della considerazione bassa che si può avere del lavoro di Phil Neville, che è stato tutto sommato profondamente negativo, c’è da dire che, almeno in questa stagione, ha dovuto lavorare con un mazzo di carte truccato, alla ricerca di un poker da completare senza avere i cuori o le picche. Specialmente dopo la trade che ha portato Bryce Duke a Montreal, Inter Miami è stata una squadra composta da giocatori tutti buoni, ottimi o eccezionali senza palla, elementi capaci di entrare con i tempi giusti in area, di effettuare i tagli corretti e molto disposti al sacrificio difensivo, al pressing, al correre anche per coprire i buchi dei compagni, ma con un disperato bisogno di aiuto nella gestione della palla. Pur sedendo mestamente all’ultimo posto della Eastern Conference con ben quattordici sconfitte, dato più alto nella lega, Inter Miami non è mai stata una squadra fatta da giocatori scarsi, quanto piuttosto una squadra profondamente incompleta, fatta da giocatori incapaci di costruirsi con costanza dei tiri da soli e alla ricerca di un creatore di gioco, un elemento capace di trovare quegli spazi, di leggere quelle corse, di servire quei movimenti e magari di crearsi un’occasione pericolosa dal nulla, e si dà il caso che, per tutto questo tempo, avessero inseguito il migliore del mondo in tutti questi fondamentali.

Quando si inizia ad avvicinarsi alla Major League Soccer, una delle prime cose che si arriva a capire è l’importanza sproporzionata all’interno dei destini di una franchigia che hanno i Designated Player, la differenza che c’è tra l’averne o il non averne o anche solo avere quelli “sbagliati”. Nel corso della loro breve storia in MLS Inter Miami ha avuto modo in più occasioni di esplorare quanto questo tipo di giocatori possano fare la differenza, anche perché la natura della regola porta, molto spesso, le franchigie a concentrarsi su alcuni profili di giocatori piuttosto che altri: è molto raro vedere un difensore centrale con un contratto da DP e la gran parte dei giocatori designati sono trequartisti o centravanti, numeri dieci o numeri nove. Perdere i propri Designated Players senza la possibilità di sostituirli può far saltare in aria una stagione prima ancora di cominciarla, come successo nel 2022 a Sporting Kansas City, passata dal terzo al dodicesimo posto in Western Conference soprattutto a causa degli infortuni di Alan Pulido e Gadi Kinda, e la gestione dei rapporti con questo tipo di elementi è cruciale per scrivere le ambizioni di una squadra, come ha dimostrato il caso dell’assenza ingiustificata di Emanuel Reynoso, numero dieci di Minnesota United, nella prima parte di questa stagione, che ha costretto gli uomini di Adrian Heath a reinventarsi.

Alla luce di tutto questo, le difficoltà di Inter Miami nella prima parte di stagione sono facilmente spiegabili. Qualsiasi squadra MLS vivrebbe un netto peggioramento dei propri risultati in assenza dei suoi due giocatori più pagati – ci sarebbe l’eccezione di St. Louis City SC, ma il loro approccio al concetto stesso di Designated Player è abbastanza unico da arrivare a definirli l’exploit che conferma la regola – ed è legittimo aspettarsi che una qualsiasi squadra a cui vengano aggiunti da un giorno all’altro tre dei migliori giocatori dell’ultimo decennio, uno dei quali reduce da una stagione che lo piazza ancora tra i primissimi al mondo, e che hanno imparato a conoscersi a memoria dopo anni come compagni di squadra possa fare un salto di qualità incredibile, anche partendo dall’essere la peggiore squadra della lega, a maggior ragione in un torneo in cui l’attenzione all’equilibrio competitivo porta a diminuire i gap tra la cima e il fondo della lega.

Presentando l’arrivo di Lionel Messi in MLS, l’opinionista del MLS Season Pass Taylor Twellman ha avuto modo di definire l’operazione come “la più grande rapina nella storia dello sport”, usando il termine “heist” che, rimandando al genere cinematografico degli heist movie, va inteso con un connotato positivo. Una parte cruciale su cui si concentrano i film di questo genere è la lunghissima e fondamentale fase della pianificazione, il reclutamento degli elementi necessari a completare la rapina, la limatura di tutti i dettagli. Come non si può entrare semplicemente in tre casinò di Las Vegas per rapinarli, allo stesso tempo non si può semplicemente far firmare un contratto a Lionel Messi. Negli ultimi mesi, sempre più articoli si sono concentrati su come Miami sia riuscita a completare questa rapina, sulle trattative con la famiglia di Messi, sull’ingresso di alcuni dei partner della lega, in particolare Apple e Adidas, per facilitare il completamento delle trattative. Come spesso quando si parla di MLS, sono anche uscite una serie di voci infondate e palesemente false come l’idea che tutte le franchigie si sarebbero auto-tassate per pagare lo stipendio del campione argentino.

Nel fiume di contributi che si stanno aggiungendo nel tentativo di accedere anche solo ad un angolino dell’attenzione portata intorno al mondo della Major League Soccer da Lionel Messi, si è in molti casi sottolineata l’unicità di questa situazione, tutte le singole istanze per cui questa è una mossa mai vista prima anche in una nazione che era riuscita a sfilare Pelé e David Beckham al resto del mondo. Un aspetto profondamente sottovalutato della vicenda, e che pure aggiunge solamente all’unicità dell’affare Messi, è nei rischi a lungo termine che Chris Henderson ha deciso di prendersi senza alcuna garanzia sull’arrivo del campione argentino. Se Lionel Messi avesse accettato l’offerta saudita, Chris Henderson sarebbe stato semplicemente colui che ha costruito una squadra incompleta, con grosse mancanze, con dei DP non al livello della MLS nel 2023, il principale responsabile della peggiore squadra della stagione, colui che ha costruito una squadra intorno a dei giocatori che non aveva. Anche essendo tutti consapevoli della difficoltà delle sanzioni con cui si è trovato a lavorare senza che ne avesse alcuna responsabilità, la sua reputazione come una delle menti più brillanti nei front office MLS avrebbe probabilmente subito un brutto colpo. E invece, dopo la vittoria contro Philadelphia dei giorni scorsi, Inter Miami ha ufficialmente centrato la qualificazione alla CONCACAF Champions League, quella competizione a cui ha rinunciato quando ha deciso di lasciare la sua Seattle per fare un salto nel vuoto e andare a gestire il più caotico, rumoroso e colorato pasticcio della storia recente del calcio statunitense. Chris Henderson ha dato a Lionel Messi l’opportunità di apparire come un MacGyver calcistico, colui in grado di far passare una squadra da derelitta a schiacciasassi con due forcine e un piede sinistro e, almeno in questa prima fase, il suo rischio sembra aver pagato oltre ogni più rosea aspettativa.

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