Cosa sta succedendo ad Indianapolis?

La notizia ha incominciato a circolare nella mattinata americana del 25 aprile. Il Keystone Group, azienda responsabile della costruzione di Eleven Park, il distretto che dovrebbe anche ospitare il nuovo stadio da ventimila posti di Indy Eleven, la franchigia USL di Indianapolis, ha criticato in un comunicato quello che definiva come un improvviso dietrofront del sindaco, colpevole di aver ritirato il suo appoggio al progetto. Quello stesso pomeriggio, in una conferenza stampa che sembra uscita da Parks And Recreation, con il sindaco solo di fronte ad una marea di giornalisti, il democratico John Hogsett ha annunciato l’intenzione di voler portare la Major League Soccer nella Crossroads of America e di essere recentemente ritornato da un incontro con il commissioner della lega Don Garber a New York.

L’annuncio del sindaco è stato come una miccia accesa sopra uno dei grandi progetti architettonici ancora in fase di realizzazione del soccer statunitense, un progetto che sembrava indirizzato sulla buona strada ma che in realtà, come abbiamo scoperto, era molto più lontano dal potersi dire ufficialmente in costruzione di quanto pensassimo. Il progetto, che prevede di terminare la costruzione nel 2026, ambisce a riqualificare una zona della downtown in stato di semi-abbandono, quella nei pressi dell’ex fabbrica Diamond Chain, a pochi passi dal Lucas Oil Stadium, casa degli Indianapolis Colts, sostituendo le rovine con alberghi, case, uffici, ristoranti, dei transit-oriented development e, appunto, lo stadio che dovrebbe sostenere le ambizioni di una città da Major League come Indianapolis, sia che la squadra locale giochi in USL che in MLS.

La costruzione dell’Eleven Park era stata annunciata e inaugurata con tanto di sindaco presente, ma in realtà, nonostante i bulldozer stiano già lavorando e scavando nel terreno, il progetto è ancora lontano dal ricevere la sua ufficializzazione. Questo perché per finanziare lo stadio, la Keystone ha ottenuto che sia finanziato all’ottanta per cento con fondi pubblici, e questo aggiunge tutta una serie di controlli e passaggi aggiuntivi necessari per la consegna di quei fondi, soprattutto dal momento che, fin da prima dell’inizio dei lavori, lo stadio è stato impegnato da una serie di complicazioni.

In primo luogo, i costi previsti per il completamento dell’intero progetto sono sensibilmente aumentati nel corso degli anni, un problema consistente considerato che parliamo di utilizzo di fondi pubblici, passando dai cinquecento milioni inizialmente annunciati nel 2019, al miliardo del 2022 fino ad arrivare al miliardo e mezzo stimato in alcuni articoli riguardanti il recente dietrofront del sindaco. È legittimo pensare che il vertiginoso aumento dei costi a carico della comunità abbiano, anche solo parzialmente, guidato il sindaco in questa sua decisione, per quanto goffo possa essere sembrato l’annuncio, presentatosi alla stampa senza alcun supporto, fosse anche solo di facciata, né dai suoi collaboratori né dalla MLS stessa, che ha rilasciato un comunicato di una riga sull’interessamento di Indianapolis alla MLS che in burocratese equivale grosso modo ad un “buona fortuna”. In questa maniera, di fatto, la lega ha subito smentito le voci che la volevano attivamente coinvolta nel tentativo di eliminare la concorrenza degli Indy Eleven: se veramente ci fosse la MLS dietro, non avrebbe alcun senso non far presenziare Garber alla conferenza del sindaco e non supportare apertamente la candidatura, perché la indebolirebbe automaticamente agli occhi del pubblico.

Un altro tema di grande importanza, sempre considerato che parliamo dell’investimento di fondi pubblici, è quello dei conflitti d’interesse che circondano l’intero progetto: il Keystone Group incaricato di costruire il distretto è anche proprietario del terreno su cui verrà edificato, e soprattutto il proprietario dell’azienda, Ersal Ozdemir, milionario di origine turca impegnato politicamente nel negazionismo del genocidio armeno, è anche il proprietario della franchigia di USL che dovrebbe giocarci. Inoltre, recentemente, i lavori di escavazione hanno portato alla luce dei resti umani. Il sito, infatti, siede sopra quello che è stato il primo cimitero nella storia della città di Indianapolis. Gli storici cittadini e la comunità locale hanno chiesto al Keystone Group di impegnarsi nella riesumazione di tutti i cadaveri prima di procedere alla costruzione, un passaggio che, da un lato, non c’è alcuna garanzia che il gruppo sia interessato ad onorare, e che anche qualora fosse onorato potrebbe allungare e di molto la timeline della costruzione, tutte condizioni che vanno a cambiare i termini dell’accordo tra la città e la franchigia USL il quale, nonostante gli annunci trionfanti, non è mai stato veramente messo nero su bianco ed è ancora allo stato di una stretta di mano.

La questione dello stadio, e soprattutto il tema del conflitto d’interessi che coinvolge il proprietario della franchigia, è una delle possibili risposte a quella che è la grande domanda che molti appassionati di calcio statunitense si sono fatti alla luce dell’annuncio del sindaco: va bene inseguire la speranza di una franchigia MLS, ma perché farlo con un nuovo gruppo e non cercando di “promuovere” il brand già esistente, con tutti i suoi fedeli tifosi – che hanno recentemente festeggiato l’undicesimo anniversario del club? Questa domanda, che per di più era già stata fatta ai tempi delle espansioni MLS di San Diego FC – che ha preso il posto dei San Diego Loyal – e di St. Louis City – che ha preso il posto di St. Louis FC – e ha spesso dato adito a teorie del complotto per cui la MLS starebbe cercando di distruggere tutto il calcio statunitense che non controlla. Per quanto sicuramente la MLS abbia intenti monopolistici, come tutte le leghe professionistiche statunitensi, anche qui la questione è un po’ più complicata.

In primo luogo, come già detto: il proprietario di Indy Eleven vuole fare quello stadio, e se quel progetto vedesse tagliati i suoi fondi pubblici, probabilmente abbandonerebbe la barca. Il secondo punto è che Ersal Ozdemir ha già provato più volte a portare la MLS a Indianapolis e questo stesso progetto dell’Eleven Park è stato pensato con la MLS, piuttosto che la USL, in testa. Il problema è che lui, da solo, non ha semplicemente i fondi per guadagnarsi una franchigia d’espansione, e che nonostante tantissimi tentativi in undici anni di investimento nel calcio non è mai riuscito a trovare un partner adatto. E se anche il sindaco, come sta tentando di fare, riuscisse a trovare un partner con il portafoglio abbastanza profondo per questo investimento, potrebbe essere estremamente complicato, se non impossibile, convincerlo ad acquistare il brand degli Indy Eleven e portarlo in MLS, e questo anche qualora Ozdemir fosse interessato a venderlo.

Per contrastare la fuga di club in direzione della MLS – Nashville, Cincinnati, Portland, Seattle, Vancouver, Montreal – la USL ha infatti recentemente adottato una serie di regolamenti interni volti a scoraggiare il trasferimento di franchigie in leghe competitor. Adesso una franchigia USL se volesse muoversi al piano superiore, dovrebbe pagare alla loro ex lega una tassa pari al trentacinque per cento della tassa di espansione già pagata alla nuova lega, e questo di fatto solo per il diritto ad utilizzare lo stesso branding che si aveva in USL. Considerato che San Diego, l’ultima espansione MLS, ha pagato cinquecento milioni di dollari per entrare nella lega, un nuovo investitore dovrebbe pagare almeno centosettantacinque milioni di dollari alla USL solo per avere il diritto di sfruttare il brand degli Indy Eleven, un prezzo completamente fuori scala per ciò che di fatto ammonterebbe ad un logo, una combinazione di colori ed un nome, tutte cose che possono essere sviluppate diversamente per una frazione di quel prezzo.

Cosa sarà del futuro del calcio ad Indianapolis è ancora molto poco chiaro. Quello che è certo è che il futuro prevede molte meno certezze di quelle che avevamo fino a pochi giorni fa, ma i recenti sviluppi ci raccontano anche che quelle certezze che esistevano erano solo parzialmente tali, e si sono rivelate un’illusione, portando molti a chiedersi se il piano dell’Eleven Park fosse sostenibile in primo luogo. Ad oggi, la MLS non sembra interessata ad espandersi immediatamente, soprattutto visto che deve ancora entrare la franchigia numero trenta e che qualsiasi passo successivo richiederà l’ingresso di almeno un’altra squadra per mantenere il numero pari di franchigie – e aprire anche a possibili sviluppi al modello delle conference, visto che passando a trentadue si potrebbe pensare a quattro Division da otto franchigie ciascuna. La mossa del sindaco sembra la mossa di un singolo, magari disperato, magari con smanie di grandezza, ma magari anche con la contezza che dietro le quinte ci sono situazioni che non vanno come dovrebbero andare, e che lo hanno portato ad abiurare la sua posizione sull’Eleven Park, essendo cambiate le carte in tavola. Le pagine della storia da scrivere sono ancora molte.

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