Tutto quello che è successo nella finale di MLS Cup

Ok, con calma, da dove incominciamo? Partiamo da Stu Holden, commentatore per Fox che, evidentemente, prima di scendere in campo per fare da gran cerimoniere della premiazione insieme al commissioner Don Garber, deve aver dato uno sguardo a Twitter, perché ha riportato un pensiero che sui social era ormai giunto a livelli plebiscitari: la finale di MLS Cup tra Los Angeles FC e Philadelphia Union, vinta dai padroni di casa losangelini solamente ai calci di rigore, è la più grande partita nella storia della MLS. Per capire come mai, però, potrebbe essere la scelta migliore presentarvi i fatti nella maniera più scarna possibile, senza particolari fronzoli. Per districare questa matassa potrebbe essere consigliabile presentare ogni macro-elemento di questa finale singolarmente, separando il perché questa fosse una delle finali più attese degli ultimi anni, cosa la abbia resa così speciale e quali storie l’abbiano arricchita.

 

Il background

 

Per la prima volta in vent’anni alla finale di MLS Cup arrivavano le due migliori squadre della regular season, con ogni probabilità finalmente aiutate da un formato dei playoff che, senza pausa per la nazionale nel mezzo, rendeva il turno di riposo effettivamente un vantaggio e non un’occasione per perdere la forma partita. A sfidarsi, più che due squadre, due modelli, due strategie di costruzione completamente diverse che sembrano inserirsi alla perfezione all’interno della narrazione sulle due città. Da una parte i soldi, lo stardom e il glamour di Los Angeles, una squadra costruita con alcune delle stelle più importanti del calcio mondiale e più in generale giocatori che, se non fosse stato per quella squadra e quella città, difficilmente sarebbero arrivati in MLS. Dall’altra parte la mentalità blue collar di una città come Philadelphia, che ha fatto della sofferenza sportiva il suo mantra e che ha “i migliori tifosi del mondo. In realtà sono i peggiori, ma è questo che li rende i migliori” (cit. Adam Sandler), perfettamente incapsulata da una squadra costruita tra settore giovanile e scouting intelligente di leghe come la terza divisione tedesca (Kai Wagner), il campionato camerunense (Olivier Mbaizo), e la Superligaen danese (Mikael Uhre), con pochi soldi ma principi di gioco ben precisi. Da un lato Steve Cherundolo, alla stagione d’esordio sulla panchina di una prima squadra, dall’altra Jim Curtin, dal 2014 allenatore della franchigia della sua città. Da un lato la tecnica, la fantasia e dei singoli in grado di far sbavare qualsiasi general manager della lega, dall’altro il pressing, la verticalità e i principi Red Bull. Da qualsiasi lato la vogliate guardare, la finale MLS rappresentava uno scontro culturale prima ancora che calcistico, un esempio evidente della biodiversità tecnica che rende unica questa lega.

 

La scenografia

 

 

Los Angeles è molteplice, ma è pur sempre Los Angeles. E il Banc of California Stadium ha rappresentato la sintesi perfetta della complessità insita nella metropoli californiana. Sì, allo stadio c’erano Will Ferrell, Magic Johnson – che di LAFC sono anche co-proprietari – Justin e Hailey Bieber, Sia, e anche uno sconfitto Rob McElhenney. Insomma, non c’era bisogno di vedere la scritta sulla montagna per capire che stavamo nei pressi di Hollywood. Ma Los Angeles è anche una città che ama il calcio, certamente grazie alla fortissima presenza ispanica e nello specifico messicana in California, ma anche perché in generale lo sport è in immensa crescita negli Stati Uniti. E come lo scorso anno a Portland la finale al Banc of California Stadium ha smentito forse l’ultimo grande stereotipo sullo sport e sul calcio statunitense, che in fin dei conti gli statunitensi tifano, ma non tifano veramente e profondamente come noi. Lo spettacolo sugli spalti è stato forse tanto esaltante quanto quello sul terreno di gioco – al netto di quella brutta abitudine dei losangelini di gettare bicchieri di plastica e altra roba in campo – e ha certamente contribuito nell’amplificare l’atmosfera di una partita assolutamente folle.

 

L’intreccio

 

 

Al ventottesimo minuto su una punizione dai venticinque metri, a sorpresa non è Carlos Vela a prendersi la responsabilità della trasformazione, bensì Kellyn Acosta. Il centrocampista dello USMNT tira non perfettamente ma abbastanza da incontrare la deviazione della faccia del diciannovenne prodotto del vivaio Union Jack McGlynn e a spedire il pallone in porta. Per Acosta la giusta vendetta dopo che nella conferenza stampa pre-partita un giornalista lo aveva scambiato, insistendo nella sua ignoranza, per un giocatore di Philadelphia.

Al cinquantanovesimo minuto un tiraccio sconclusionato di José Martinez coglie impreparata la difesa di LAFC lasciando libero il pericolo pubblico numero uno Daniel Gazdag di tirare solo davanti a Crepeau. È la ventiquattresima rete stagionale dell’ungherese tra regular season e playoff.

All’ottantatreesimo Jesus Murillo taglia perfettamente in area sul calcio d’angolo e viene raggiunto dal pallone telecomandato di Carlos Vela in una giocata che sembra essere stata costruita su dei binari tanto è stata fluida e impeccabile.

Due minuti dopo una scelta non eccezionale di LAFC, ovvero lasciare Denis Bouanga in marcatura sui centonovantacinque centimetri di Jack Elliott permette all’inglese settantasettesima scelta al SuperDraft 2017 di svettare e spedire la partita ai tempi supplementari.

Con il secondo tempo supplementare da poco iniziato, un pasticcio di Jesus Murillo spedisce Cory Burke solo davanti a Crepeau. Il portiere canadese esce per anticiparlo ma il giamaicano tocca per primo il pallone. Lo scontro è violentissimo. La tv statunitense non mostrerà mai il replay e si astiene dall’inquadrare Crepeau, che però è a terra con una frattura evidente se non dai pochi fotogrammi prima che la regia si accorga della gravità dell’incidente quanto meno dalla preoccupazione dei suoi compagni di squadra che lo accerchiano immediatamente. Mentre Crepeau viene preparato per essere portato fuori dal campo da un mezzo che assomiglia ad un trattore da lavoro nei campi, l’arbitro va al VAR e cambia il giallo inizialmente assegnato con il – ben più corretto – rosso per aver interrotto una chiara occasione da gol. Dovendo far entrare un nuovo portiere, Cherundolo inserisce John McCarty al posto del da poco subentrato attaccante Kwadwo Opoku.

Allo scoccare del quarto dei nove minuti di recupero – nel secondo tempo regolamentare erano stati “appena” sette – un cross di Kai Wagner carambola in area sul corpo di Ilie Sanchez. Il neo-entrato McCarthy riesce, con un miracolo d’istinto, a prevenire l’autorete, ma la sua respinta finisce sui piedi di Jack Elliott che, per la seconda volta, trova la via della rete, facendo esplodere anche i tifosi degli Union ad oltre quattromila chilometri di distanza sul prato del Subaru Park.

Al centoventottesimo minuto di partita, un cross di Diego Palacios trova in area Gareth Bale. Il gallese non avrà più il fisico di un tempo, ma è in grado di posterizzare un gigante di quasi due metri come fosse il prime Michael Jordan e non c’è nulla che il miglior portiere della MLS 2022 Andre Blake possa fare per fermarlo.

I rigori si aprono con una bruttura senza precedenti di Cristian Tello, che spedisce il pallone in bocca a Blake, ma subito dopo Daniel Gazdag scivola e spedisce alto il pallone. Da lì in poi Los Angeles non sbaglierà mai mentre Philadelphia non riuscirà a segnare, facendosi ipnotizzare due volte dal loro ex John McCarthy. Per la prima volta Los Angeles FC è campione MLS.

 

Le storylines

 

SET. PIECES.

 

 

Alexi Lalas ha correttamente definito la partita “un’orgia di calci piazzati” dopo la rete del 3-2 di Elliott. Fino a quel momento tutti e cinque i gol erano stati segnati nelle immediate vicinanze se non proprio sullo sviluppo diretto di un calcio da fermo. Il tiraccio da cui nasce la rete di Gazdag è infatti causato da un calcio d’angolo rinviato dalla difesa losangelina, mentre il 3-2 che sembrava aver mandato la coppa in direzione di Philly si sviluppa dal terzo tentativo di cross successivo ad un calcio d’angolo dopo cui l’area ancora non aveva avuto il modo di svuotarsi. L’unico gol arrivato dopo la dichiarazione dell’ex difensore del Padova, tecnicamente, non nasce da un calcio piazzato, ma si è comunque sviluppato nei dieci secondi immediatamente successivi ad una rimessa laterale, dunque possiamo affermare di essere grosso modo all’interno della stessa orbita.

 

La partita lisergica del Brujo Martinez

 

 

Avremmo dovuto capire in che direzione sarebbe andata la partita del venezuelano quando, intorno al quindicesimo minuto, per liberare una palla vagante nella sua metà campo, non ha trovato soluzione migliore che spedirla tipo Carlo Parola nella stratosfera con una rovesciata, c’è da dire, di rara eleganza. Se quel segnale non ci dovesse essere bastato, pochi minuti dopo ha tentato, dall’alto dei suoi zero gol in stagione regolare, una conclusione rasoterra da trentacinque metri che è finita più vicina alla bandierina che alla porta – e col senno di poi avremmo dovuto capire che quella era la prova generale del momento più alto della sua partita. Il gol dell’1-0 di Los Angeles nasce da una sua palla persa e da un calcio di punizione da lui concesso, mentre il 2-1 arriva perché è lui a perdersi il taglio in area di Jesus Murillo. Il venezuelano, poi, era anche tra i rigoristi, non riuscendo ad invertire una rotta che, a dirla tutta, era già stata persa. Il venezuelano è un perno fondamentale della squadra di Jim Curtin, e quando gioca bene lui tutta la squadra sembra andare completamente ad un altro ritmo. Questa, semplicemente, non è stata una giornata per lui.

 

Il sacrificio di Crepeau

 

 

Sicuramente Maxime Crepeau sarebbe andato al mondiale. Non è sicuro che avrebbe giocato – il titolare della nazionale canadese in porta è Milan Borjan – ma sicuramente sarebbe stato tra i tre portieri canadesi in volo per il Qatar. Quando si è visto Cory Burke lanciato contro a tutta velocità, avrebbe potuto tranquillamente far prevalere il suo istinto di sopravvivenza. Forse non sarebbe stato un comportamento da professionista, ma certo da essere umano. Avrebbe potuto entrare nel contrasto più piano, caricare meno in direzione dello scontro, e invece ha deciso scientemente non solo di accettare un cartellino rosso, ma anche la probabilità che la sua gamba potesse rompersi. E, in effetti, si è fratturata. Mentre lasciava il campo, però, le telecamere lo hanno inquadrato non dolorante, ma concentrato, quasi spiritato negli occhi, a dare l’ultimo possibile incoraggiamento al resto dei compagni. E a trofeo conquistato, i compagni non hanno esitato a videochiamarlo così da permettergli di vivere insieme al resto della squadra quel festeggiamento che lungo tutto l’anno ha contribuito a rendere possibile.

 

Il quasi-unlikely hero

 

Jack Elliott è inglese, ed è cresciuto nel settore giovanile del Fulham. Dopo essere stato scartato, però, ha giocato nella Surrey Senior Cup, una delle infinite coppe dilettantistiche che si svolgono ogni anno in Inghilterra, e lì è stato notato dall’università di West Virginia. Dopo quattro anni al college il gigantesco Elliott non ha raccolto molto interesse. È stato scelto con la settantasettesima scelta assoluta del SuperDraft 2017. Non solo, dei giocatori scelti prima di lui, nessuno al di fuori della top 10 ha avuto una carriera anche solo paragonabile alla sua, ma ben tre franchigie che potevano sceglierlo prima di Philadelphia hanno deciso di passare, non ritenendo ci fossero talenti utili alla loro prima squadra. E in un certo senso gli ha detto anche bene. Se il GM Ernst Tanner fosse stato scelto un anno prima, Elliott a Philly non ci sarebbe mai finito, visto la notoria poca fiducia del dirigente tedesco nel Draft, che ogni anno dal suo arrivo ha ceduto via trade tutte le scelte a disposizione della franchigia. E, per certi versi, sarebbe stato veramente esilarante se a far vincere la MLS Cup a Tanner fosse stato proprio un giocatore uscito dal college.

 

Playoff ‘stache

 

 

Potreste aver notato Ryan Hollingshead per il suo splendido baffo. Semplicemente iconico. Se lo è fatto crescere apposta per i playoff, un po’ come portafortuna. O potreste averlo notato perché ha giocato una gran partita, correndo su e giù per il campo per centoventi minuti e trasformando pure uno dei rigori tirati dai losangelini. Ma la storia di Hollingshead è se possibile ancora più interessante. Nel 2017, mentre aiutava un automobilista rimasto in panne di notte su una strada ghiacciata, venne centrato in pieno da una macchina, scagliato qualche metro in area e facendolo atterrare con conto una qualche vertebra rotta e un lungo stop fuori dal campo che aveva rischiato di mettere a repentaglio la sua carriera. Nella off-season Dallas, l’unico club per cui lui abbia mai giocato, lo ha ceduto via trade a Los Angeles per sostituirlo ruolo per ruolo con un terzino più giovane, Marco Farfan. Sembrava dover partire dalla panchina eppure ancora una volta si è conquistato il posto a suon di gol, sei per la precisione, cifra buona per pareggiare il suo record di marcature in MLS, arrivato nel 2019. Per vincere in MLS servono anche dei veterani che questa lega la conoscono, e Hollingshead è uno di questi.

 

QUEL Tweet

 

 

Insomma, non è realmente una “storyline” nel senso letterale del termine, ma dovevo pur trovargli un posto da qualche parte. Ovviamente il tweet è stato eliminato, ma internet, purtroppo o per fortuna, tiene sempre una copia pronta per ogni occasione.

 

Designated Player

 

 

Non lo è come qualifica, o almeno, non lo è stato per quest’anno, ma Gareth Bale è la definizione di “giocatore designato”, magari non quella che da la MLS al termine ma quella che vuoi sia rappresentata dalla tua nuova costosa acquisizione. In questi sei mesi in California Gareth Bale ha a malapena giocato, e c’è da chiedersi se abbia veramente riacquistato quella forma partita in vista del mondiale per cui era venuto negli Stati Uniti – i suoi supplementari sono comunque stati gli unici minuti che Steve Cherundolo gli ha concesso nei playoff – però tutto il suo milionario stipendio è diventato improvvisamente meritato quando ha segnato quel gol al centoventottesimo minuto che con ogni probabilità alla franchigia potrebbe far guadagnare molto di più di quanto speso per lui. Sul tema dell’impatto del gallese nelle partite importanti gli indizi hanno assunto i contorni di prova da anni ormai. Gareth Bale ha messo una firma su praticamente qualsiasi partita importante nella storia delle squadre in cui ha giocato, e molto spesso lo ha fatto con stile.

 

“Si può perfino individuare il secondo preciso in cui il suo cuore si spezza a metà”

 

 

Si può dire che la partita sia sfuggita dalle mani di Philadelphia nel momento in cui Gareth Bale ha segnato il gol del pareggio. Però è anche vero che i rigori sono iniziati con la telefonata di Christian Tello in bocca a Andre Blake, e quella avrebbe potuto rappresentare un’altra sliding door importante per gli Union. Visto come avevano portato la partita ai supplementari, non sarebbe stata la prima volta che avrebbero rimesso in piedi una situazione in cui sembravano destinati ad affogare. Con il primo rigore tra i piedi del loro capocannoniere da record Daniel Gazdag, una rete avrebbe veramente potuto cambiare per l’ennesima volta l’equilibrio di una partita pazza. Gazdag però ha fatto una cosa che la ESPN argentina ha definito, in maniera corretta ma non molto gentile, “alla [Martin] Palermo”. E da quel momento in poi non c’è stato veramente più nulla da fare per gli Union.

 

Più filadelfiano del cheesesteak

 

 

Non possiamo non concludere questo pezzo di riepilogo della finale di MLS Cup se non parlando di colui che l’ha vinta. L’MVP dove la M, la V e la P sono tutte quante in maiuscolo. A trent’anni John McCarthy ha vissuto una giornata irripetibile. Il primo portiere nella storia della MLS Cup ad essere subentrato durante la finale è anche il primo a non concedere alcun rigore. E la cosa più incredibile è che il trentenne McCarthy è nato e cresciuto proprio a Philadelphia, ha giocato a calcio per l’università di La Salle, una delle tante con sede nella città dell’Amore Fraterno, la cui maglia ha indossato sotto quella da portiere durante la finale, e per tre anni è stato la riserva proprio di Andre Blake con gli Union, prendendosi la scena durante la cavalcata di Philly alla finale di US Open Cup del 2015, proprio con un paio di lotterie dei rigori vinte. McCarthy è talmente tanto un Philly Guy da aver dedicato nella sua intervista post-partita un pensiero all’altra squadra di Philadelphia impegnata in una finale per il titolo, i Phillies della MLB – il finale, se non lo sapete, potete comunque indovinarlo. Entrato in campo per necessità negli ultimi minuti di partita dopo aver giocato una sola partita di campionato in questo 2022, McCarthy si è preso le prime pagine, scrivendo una storia che può esistere solo in MLS. Perché solo in MLS, come sottolineato da Thomas Floyd del Washington Post, una finale per il titolo può essere decisa da un fenomeno del calcio mondiale con un passato nel Real Madrid e da un portiere con un passato tra i ben meno riconoscibili nomi di Rochester Rhinos e Ocean City Nor’Easters.

Facebook Comments