Fuori dal sommerso – ep6

La rete autostradale degli Stati Uniti è indubbiamente uno dei più grandi, eccezionali ed impressionanti progetti di ingegneria dell’ultimo secolo. Personalmente non sono un grande fan delle automobili e in generale del loro utilizzo come forma di trasporto principale per l’umanità, ma neanche io riesco a negare l’importanza e il valore di un progetto di queste dimensioni. Laddove però la rete fa un lavoro eccezionale nel collegare città, paesini, stati e contee, è responsabile anche di alcuni veri e propri disastri a livelli sociali, è il simbolo di alcune delle segregazioni più violente e di pagine tra le più oscure della storia statunitense. Al di là dell’orrore urbanistico che la preponderanza di giganteschi svincoli autostradali nel bel mezzo del tessuto cittadino ha portato, fin troppe volte quei giganteschi viadotti grandi come centri storici di città italiane di medie dimensioni sono anche serviti per spostare forzatamente o per segregare in maniera ufficiosa minoranze etniche – principalmente afro-americane – in un mondo in cui ufficialmente la segregazione delle minoranze era vietata. Questo è quanto successo a Saint Louis a partire dal 16 febbraio 1959, quando ventimila abitanti del quartiere a maggioranza afro-americana noto come Mill Creek Valley furono costretti a lasciare le loro case per fare spazio alla Highway 40.

Per giustificare la distruzione del quartiere, i politici e i media locali arrivarono a definirlo uno “slum”. Ovviamente non era proprio così: Mill Creek Valley era una delle comunità più vive del tessuto urbano locale

Quello abbattuto era un quartiere storico della città in cui avevano vissuto, tra gli altri, una giovanissima Josephine Baker, che abbiamo già incontrato perché nata in un ospedale all’interno del quartiere di The Hill, l’attivista Lucy Delaney, che nel ‘800 vinse una causa contro il proprio ex padrone per ottenere la libertà dalla schiavitù e, per un breve periodo mentre visitava il fratello, anche Walt Whitman. Al suo posto, in seguito alla demolizione, i posti non occupati dall’autostrada vennero inglobati dai campus universitari di Saint Louis University e della Harris-Stowe State University. Più recentemente, sul terreno che fu del quartiere, è stato edificato il nuovissimo CITYPARK, casa della nuova franchigia MLS di Saint Louis, che nel giorno in cui esce quest’articolo è pronto ad ospitare Charlotte FC per la sua prima storica partita casalinga. Il nuovo stadio rappresenta uno dei più ambiziosi progetti di repurposing di uno svincolo autostradale in un qualcosa di più vivibile e utile a tutta la cittadinanza in corso di svolgimento negli Stati Uniti. Lo stadio, infatti, come anche il nuovissimo centro d’allenamento della franchigia, uno dei primi ad essere costruito nel bel mezzo della downtown cittadina, riempiono esattamente un vuoto nel tessuto urbano lasciato dall’autostrada, e mentre la franchigia si preoccupa di ridare vita ad una parte della città ha ritenuto giusto ricordare alla popolazione locale cosa era andato perduto per inseguire una follia automobile-centrica.

 

Per ricordare il ruolo di Mill Creek Valley nella costruzione del tessuto cittadino, infatti, nello spiazzo dello stadio che si affaccia su Market Street, una delle arterie cittadine principali, oggi si trova un’installazione artistica permanente, intitolata Pillars of the Valley, dell’artista american Damon Davis, nativo di Saint Louis, autore dell’installazione All Hands On Deck sulle finestre chiuse dei negozi di Ferguson, Missouri, che nel 2014 sostenevano le proteste della popolazione locale in seguito all’omicidio da parte di un poliziotto bianco del diciottenne afro-americano Michael Brown. I Pillars of the Valley sono otto colonne nere al cui interno è incastonato un pezzo triangolare di calcare giallo a simboleggiare la sabbia di una clessidra congelata nel tempo, come rimasta ferma dal primo colpo di palla demolitrice contro i palazzi del vecchio quartiere. Davis, un nativo di Saint Louis la cui opera più celebre è oggi esposta al Museo nazionale di Storia e Cultura Afro-americana di Washington, ha avuto modo di dire della sua opera:

La storia è solitamente scritta dai vincitori, da chi vuole raccontare la storia, e tutto il resto viene lasciato fuori. Ho avuto l’opportunità di raccontare una storia che era stata nascosta. L’idea era di scoprire e scavare cose che erano state sepolte.

I Pillars of the Valley di Damon Davis

In una certa maniera, questo concetto sembra coesistere anche all’interno della storia di calcio che abbiamo raccontato. Se la storia è solitamente scritta dai vincitori, allora nello sport statunitense quei vincitori sono il football, il basket, il baseball… non il calcio, che esce sconfitto su tutta la linea. Se il calcio statunitense è, come dicevamo nel primo episodio, una leggenda metropolitana, se questa storia già nel suo titolo parla di una fuoriuscita dal sommerso, se tutto quello che abbiamo raccontato finora ha corso il rischio di estinguersi, se le foto e i video sono scarsi anche in quella città che più di tutte può considerare il calcio tra i suoi passatempi cittadini, allora il risultato della partita non deve veramente essere messo in discussione.

 

Ma se tutte queste cose che abbiamo detto sono vere, e indubbiamente lo sono, allora vuol dire che oggi ci troviamo ad un punto di svolta, vuol dire che le cose stanno cambiando. Il calcio non è mai stato così visibile prima ad ora negli Stati Uniti, e Saint Louis torna nel calcio professionistico in un mondo in cui il video del secondo gol della loro storia, nato da un incredibile errore del difensore di Austin Kipp Keller, nativo di Saint Louis e prodotto di SLU, viene visto in meno di una settimana da più di due milioni di persone, una cifra che non credo si possa raggiungere mettendo insieme tutti i singoli individui che hanno visto in televisione una qualsiasi partita dei St. Louis Stars nei loro undici anni di storia.

 

St. Louis City SC arriva in MLS con la responsabilità, prima ancora che con la possibilità, di dare finalmente ad una comunità che di calcio ne capisce quel tipo di istituzione professionistica duratura e forte che si merita più o meno dai tempi in cui il gioco è sbarcato per la prima volta negli Stati Uniti. A tutti gli effetti, Saint Louis è come una di quelle città italiane di media grandezza che, a dispetto del predominio nel tifo nazionale delle tre potenze del Nord, riescono a supportare in quantità consistente la propria squadra locale che pure, a causa di un continuo susseguirsi di imprenditori di dubbio valore e governance federale ai limiti del Ponzio Pilato, non riesce a non fallire ogni quattro cinque anni da un paio di decenni a questa parte. Certo, una proprietà abbastanza capace da non mandare in bancarotta la squadra è salutata con un sospiro di sollievo, ma sopravvivere non è abbastanza per acquisire l’apprezzamento incondizionato del tifo locale. Lo ha sottolineato nella Season Preview per la stagione inaugurale di St. Louis City una leggenda del posto come Taylor Twellman: Per decenni St. Louis ha educato i suoi giovani calciatori ad uno stile di gioco diverso rispetto a quello nel resto del paese, più tecnico, più orientato al possesso palla, più creativo. Con il suo sbarco in MLS, invece, il City ha optato per la scuola di calcio Red Bull, e se il piano non dovesse funzionare in tempi relativamente brevi, non sono da escludere alcuni mugugni.

 

Chi in questi mesi ha imparato bene cosa voglia dire fare calcio a Saint Louis è il primo allenatore nella storia della franchigia, il sudafricano Bradley Carnell. In un’intervista con The Athletic a Carnell è stato chiesto se sentisse la pressione dell’eredità calcistica in una città come Saint Louis. Il tecnico, ex centrocampista con un lungo passato in Bundesliga, ha sottolineato come la storia locale, il ruolo della città nell’impresa statunitense ai mondiali del 1950 contro l’Inghilterra siano stati al centro del suo primo incontro con i giocatori fin dalla prima slide. “Non siamo i pionieri. Siamo solo la prima franchigia professionistica MLS. Abbiamo pionieri e custodi in tutto il mondo che giocano per Saint Louis”.

 

Carnell è un allievo della prima ora della filosofia Red Bull, da molto tempo prima che assumesse questo nome. Il sudafricano fu infatti un centrocampista di fatica per lo Stoccarda di Ralf Rangnick negli anni ’90, e nel mondo Red Bull ha svolto tutta la sua carriera da allenatore prima del suo arrivo in Missouri. Assistente prima di Jesse Marsch e poi di Chris Armas con i New York Red Bulls, in seguito al licenziamento dell’ex leggenda dei Chicago Fire è stato allenatore ad interim della franchigia, guidandola all’ennesima qualificazione consecutiva ai playoff prima di cedere, nella post-season 2020, le redini della squadra a Gerhard Struber.

 

Lo stile di St. Louis City è dunque uno caratterizzato, come dice lo stesso Carnell, da grandi rischi e grandi ricompense, da pressione alta ed estrema, da una grande verticalità e da un forte focus sulle transizioni. La strategia è una con una forte e radicata tradizione in MLS e ha portato più di qualche risultato, non solo ai Red Bulls, che non mancano i playoff da tredici anni, ma anche a Philadelphia, dove gli Union sono la franchigia ad aver totalizzato più punti nella lega considerate le ultime tre stagioni precedenti a quelle appena iniziata. Red Bulls e Union hanno riscritto i limiti di dove si possa arrivare riducendo il proprio gioco con il pallone ad un livello scheletrico, totalizzando una percentuale di passaggi completati non solitamente associata a squadre di successo, ma sarebbe sbagliato pensare che il City di Carnell rappresenti solamente l’erede di questa scuola calcistica. St. Louis vuole “divertirsi con il pallone tra i piedi”, come ha affermato il suo tecnico, giocare un calcio attraente, ed è una squadra con trame più complesse e giocatori più tecnici di quanto si possa essere portati a pensare. Nella prima partita contro Austin ha dominato il centrocampo un giocatore come Eduard Lowen, autore di uno splendido hockey assist nel gol vittoria di Klauss, un profilo di centrocampista alieno al buttarla in caciara, abile nella progressione del pallone e tecnico che semplicemente a New York e a Philadelphia non esiste, almeno non tra i titolarissimi.

 

In effetti, dire che il modello della nuova franchigia MLS sia semplicemente l’energy drink soccer sarebbe forse limitante. Saint Louis è una squadra più tecnica e più a suo agio con il pallone di quanto si creda. Il termine di paragone corretto, in questo senso, sarebbe con più precisione l’Hoffenheim, la squadra da cui viene il centravanti Klauss e che, pur dovendo il suo arrivo nelle zone più alte del calcio tedesco al solito Rangnick negli anni ha saputo adottare uno stile più complesso, meno feroce nello sfruttamento delle transizioni. La squadra del piccolo paesino tedesco da tremila anime, soprattutto, è un’influenza importante anche perché è quella in cui ha passato il periodo più lungo della sua carriera, nel ruolo di capo delle relazioni internazionali e dello scouting, l’architetto dietro a questa squadra, Lutz Pfannenstiel.

L’ex portiere classe 1973 è un personaggio di culto all’interno del calcio mondiale, essendo diventato, in una carriera lunga vent’anni e venticinque squadre, l’unico giocatore ad essere sceso in campo in tutte e sei le confederazioni affiliate alla FIFA, con fermate, tra le tante, in Malesia, Albania, Namibia, Nuova Zelanda e Canada. Ex direttore sportivo del Fortuna Düsseldorf nel periodo di forse maggior gloria nella storia recente del club, quello della stagione in Bundesliga nel 2019/20, Pfannenstiel è anche un apprezzato commentatore televisivo in tedesco e in inglese, e nonostante il suo incarico in MLS continua nei weekend a fare coppia con Derek Rae nelle partite di Bundesliga su ESPN.

 

Negli ultimi due anni Pfannenstiel ha avuto carta bianca – per quanto bianca possa essere quella dai margini decisamente stringenti del salary cap MLS – per costruire la squadra secondo i suoi principi, e lo ha fatto in maniera intrigante, senza necessariamente grandi nomi ma essendo fin da subito molto attivo e aggressivo sul mercato internazionale, portando così giocatori con esperienze in Bundesliga o addirittura nelle coppe europee negli Stati Uniti già lo scorso luglio, così da migliorare la chimica di squadra e – incidentalmente – quasi dominare anche la prima edizione della MLS Next Pro dove, di fronte a giocatori con molta meno esperienza, i vari Roman Burki, Joakim Nilsson, Tomas Ostrak e Joao Klauss sono arrivati fino alla finale poi persa contro la squadra riserve dei Columbus Crew.

 

A Saint Louis, Pfannenstiel sembra aver subito adottato quella passione statunitense per quelle notizie che ci sembrerebbero uscite da un film se non fosse che a tutti gli sceneggiatori del mondo certe scene viene insegnato di non scriverle perché sarebbero troppo irrealistiche. Con una mossa che profuma di Hollywood, infatti, il primo acquisto nella storia di St. Louis City non è stato un giocatore qualsiasi, bensì il terzino bosniaco del Sarajevo Selmir Pidro, arrivato il primo febbraio 2022 – un anno e un mese prima dell’esordio ufficiale – in quella che, come abbiamo visto, è la città con la più grande popolazione bosniaca al di fuori dell’Europa.

 

Qualcuno potrebbe dire che è un po’ inautentico, troppo plastificato, vedere franchigie MLS acquistare giocatori la cui origine è condivisa da una consistente parte della comunità locale, siano essi i messicani in California e Texas, i sudamericani a Miami o i polacchi a Chicago, ma in fin dei conti non dovrebbe essere troppo sorprendente. Le popolazioni migranti sono quelle che, in gran parte degli Stati Uniti, formano lo zoccolo duro degli appassionati di calcio nel paese, e quella bosniaca non è diversa in questo senso. Guardando i roster delle varie squadre nell’organigramma giovanile di St. Louis City, è possibile leggere nomi di evidenti origine balcanica come Beganovic, Cilic, Junuzovic e Prgo.

 

Ad aver sperimentato in prima persona l’impatto della comunità bosniaca arrivata ad arricchire la scena calcistica locale è certamente Dale Schilly, un altro nativo di Saint Louis che dopo aver giocato all’università con i FIU Golden Panthers – siamo a Westchester, Florida, e l’acronimo indica la Florida International University – è tornato nella sua città d’origine per lavorare nel campo del calcio giovanile. Dal 2011 al 2015 Schilly è stato il responsabile del settore giovanile del Saint Louis Scott Gallagher e lo abbiamo già incontrato in chiusura dello scorso episodio, essendo stato lui il primo allenatore nella storia di Saint Louis FC, l’ultimo progenitore calcistico della nuova franchigia MLS. All’interno di questo ruolo Schilly ha lavorato con molti giovani calciatori di origine bosniaca, primo fra tutti Emir Alihodzic, oggi nel roster di Union Omaha in USL League One, e recentemente ha contribuito a portare molti di quei nomi prima citati all’interno dell’organigramma della nuova franchigia.

 

Dale Schilly, infatti, è fin dalla sua fondazione nel 2020 il responsabile del settore giovanile di St. Louis City SC, e la sua assunzione è un testamento all’importanza che la nuova franchigia sembra aver dato all’inserirsi all’interno di un percorso già trattato, di una cultura già viva. Sotto questa chiave di lettura possono essere lette anche le scelte fatte dalla franchigia per la trasmissione radiofonica delle proprie partite. Per quanto possa sorprendere, in un paese che è da sempre all’avanguardia della tecnologia, la radio è ancora oggi un mezzo estremamente popolare per seguire lo sport, e ogni franchigia MLS può contare su una o più coppie di commento, in inglese e in spagnolo. Il commento radiofonico è talmente considerato un valore negli Stati Uniti che da quest’anno sul MLS Season Pass è possibile ascoltare la partita con l’audio del commento radiofonico della squadra di casa – e l’intenzione della lega è quello di rendere disponibile in futuro anche quello degli ospiti.

 

Per le sue due coppie St. Louis City ha infatti scelto quattro volti importanti dello sport – e del calcio – locale. Ad accompagnare proprio Dale Schilly come telecronista in inglese c’è Joey Zanaboni, telecronista delle minor leagues per MLB Network e voce dei Saint Louis Ambush della MASL, mentre le voci in spagnolo sono quelle di Santiago Beltran, colombiano d’origine trapiantato a Saint Louis fin dal 2006 e ex voce di Saint Louis FC, e Hector Vega, un ex nazionale giovanile messicano che ha giocato per varie squadre indoor a Saint Louis e che sulla radio locale KXOK 102.9 conduce un programma sul calcio che è lo show radiofonico più ascoltato di tutta Saint Louis.

 

Mentre ci avviciniamo alla fine di questo percorso attraverso la storia pluricentenaria del calcio a Saint Louis, più mi guardo indietro e più mi rendo conto di altri dettagli, di altri avvenimenti, di altri passaggi che sono rimasti esclusi da questo percorso e che vorrei solo riprendere in mano e raccontare con la dovuta cura. Se non mi trovassi così vicino alla linea del traguardo e se così tanto di quello che ho scritto non fosse già disponibile online, avrei voglia di cancellare tutto e di ricominciare da capo per raccontare una storia ancora più densa di argomenti. Oggi sono molto più affascinato dalla cultura calcistica di Saint Louis di quanto non lo fossi il giorno in cui ho incominciato a scriverne, o nei giorni in cui ho chiuso alcuni dei capitoli, e già allora potevo dire di aver sorpassato la banale fase di infatuazione. Non escludo che in un’altra fase della mia vita, magari tra qualche anno, potrei tornare su questi lidi, potrei recuperare questo materiale per tirarne fuori qualcosa di migliore, qualsiasi cosa voglia dire questa parola. Per ora devo solo trovare il giusto modo di concludere.

 

Potrei dire qualcosa sul fatto che è tra le mie più profonde credenze il fatto che in ogni evento sportivo, in ogni angolo magari polveroso ci sia una storia incredibile da raccontare, o potrei dedicare un paragrafo ad esporre la mia teoria per cui il 99% di ciò che ci piace dipende esclusivamente dal modo in cui ci viene raccontato, e che dunque gli sport e le storie di maggior successo non sono intrinsecamente le migliori, ma solo quelle che hanno avuto la fortuna di essere raccontate meglio. Ma mentre mi scervello con metodi da contorsionista della materia grigia per trovare una conclusione che sia degna non dico di Cent’anni di solitudine ma almeno di un video di Jon Bois, sono costantemente spinto, come da una corrente marina ben più forte dei miei umili remi, verso alcune dichiarazioni di pezzi grossi della scena calcistica di Saint Louis, che mi sembrano sintetizzare più di qualsiasi frase ad effetto che la mia mente possa partorire tutte queste ventiduemila parole che hanno preceduto la conclusione a cui stiamo giungendo. La prima è quella di Brad Davis. Di lui abbiamo già parlato come uno dei nativi di Saint Louis ad aver rappresentato lo USMNT ai mondiali, essendo stato convocato da Jurgen Klinsmann nei mondiali del 2014. Una volta ritiratosi dopo una lunga carriera in MLS Davis è tornato a Saint Louis, come presidente dello Scott Gallagher, dove adesso è attivo nel mondo del calcio giovanile. Per spiegare questa sua scelta l’ex Houston Dynamo dice:

Non abbiamo mai dimenticato chi sono stati i pionieri, non abbiamo mai dimenticato da dove siamo venuti. Ci siamo portati dietro tutto questo generazione dopo generazione, e per me essere stato in grado di fare quello che ho fatto come calciatore mi ha fatto sentire una responsabilità e un obbligo di tornare e continuare questo percorso qui. È semplicemente un continuo ricordo e una costante responsabilità che è nata dentro di noi ed è cresciuta dentro di noi.

 

In maniera ancora più breve, con una concisione probabilmente insuperabile, ha sintetizzato per una tv locale cosa significhi l’esordio casalingo di St. Louis City SC il grande Bill McDermott, il Mr. Soccer che da cinquant’anni racconta lo sport ai suoi concittadini ad ogni suo singolo livello, dai mondiali al college soccer. Il sentimento da lui espresso, e che è stato evocato anche da un notevole hype video realizzato dalla franchigia stessa con la narrazione di un altro nobile figlio di Saint Louis, l’attore John Goodman – Il Grande Lebowski, Roseanne, Argo e un mitologico cameo nel ruolo del vice preside Laybourne in Community – è molto semplice e diretto: St. Louis City SC non è un expansion team, è un ritorno a casa.

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