Trinity Rodman: Remember the name

Trinity Rodman è un’attaccante, la seconda scelta assoluta del Draft NWSL del 2021. Gioca per le Washington Spirit, la franchigia che l’ha scelta, e in questi primi mesi di carriera professionistica ha collezionato tre gol nelle sue prime otto presenze. Ha giocato al college per Washington State – e quindi, nonostante la somiglianza del nome, dall’altra parte esatta degli Stati Uniti rispetto a dove ha iniziato la sua avventura nel professionismo. O meglio, avrebbe dovuto. Perché Trinity Rodman è anche una delle tante atlete che, in giro per il mondo e in qualunque sport, hanno visto un intero anno della loro carriera andare via in fumo a casa della pandemia. Quella che sarebbe dovuta essere la sua stagione d’esordio nella NCAA è stata cancellata e Rodman, a differenza di alcune sue colleghe come Brianna Pinto, scelta immediatamente dopo di lei al Draft da Gotham e reduce dal torneo NCAA 2021 con North Carolina, ha deciso di non sfruttare l’opzione che le permetteva di giocare a livello collegiale pur avendo firmato un contratto da professionista per massimizzare la sua opportunità di ottenere da subito minuti con le Spirit. Trinity Rodman ha un fratello più grande, di nome DJ, che gioca a pallacanestro anche lui a Washington State, e ovviamente ha una madre, Michelle Moyer, che più volte nelle sue interviste ha definito come un punto fermo nella sua vita e una profonda influenza anche all’interno della sua carriera sportiva, e ha anche un padre, e il suo nome dobbiamo farlo per forza, ma per il resto di questo pezzo cercheremo di utilizzarlo il meno possibile, così da trattarla come un personaggio a sé stante, un’atleta che fa parlare di sé per il suo talento eccezionale in campo, e non semplicemente perché è la sua figlia di suo padre. Trinity infatti di cognome fa Rodman, e suo padre è, sì, esatto, avete capito bene, proprio Dennis Rodman. The Worm, il più grande rimbalzista per dimensioni nella storia della NBA e uno dei migliori difensori che il gioco abbia mai visto. E poi tante altre cose, che potrebbero occupare un volume di un’enciclopedia e che per il momento metteremo da parte, visto che l’argomento è altro.

Potreste essere venuti a conoscenza del fatto che Trinity Rodman figlia di Dennis sia una calciatrice professionista quando il regalo che gli amici di Andrea Petagna hanno fatto all’attaccante ex Spal e Atalanta, tra le altre, è diventato una notizia sui media italiani. Al costo di cinquecento euro infatti qualche membro dell’inner circle di Petagna aveva comprato su un sito specializzato in videomessaggi d’auguri da persone famose una manciata di secondi in cui Dennis Rodman salutava Andrea, ricordandogli, dopo gli auguri, che anche la figlia Trinity era una calciatrice, esattamente come lui. Ma potreste essere venuti a sapere dell’esistenza di una figlia calciatrice di Dennis Rodman, nel caso questa prima notizia vi sia sfuggita, quando il primo gol con la maglia delle Spirit di Trinity ha fatto il giro del mondo. Ok. Basta. Questa è l’ultima volta che leggerete in questo pezzo le parole “Dennis Rodman”, o meglio, è l’ultima volta che le leggerete in riferimento all’ex giocatore dei Bulls di Jackson, Jordan e Pippen, perché dovranno tornare quando citeremo il fratello dell’attaccante, DJ, il cui nome completo è in effetti Dennis Rodman Jr. Il mondo si è reso conto più di Trinity Rodman che di qualunque sua altra coetanea forte nel giuoco del calcio per il padre che si ritrova, ma è anche ora che la smetta e che inizi a parlare di lei perché è una grandissima attaccante, potenzialmente il volto, o comunque uno dei volti dello USWNT del futuro, quello che dovrà raccogliere l’eredità della generazione più vincente della storia. Glielo dobbiamo, anche perché se c’è un tratto distintivo che ha caratterizzato l’attaccante delle Washington Spirit per tutta la vita è la voglia di dare un nuovo significato a cosa possa voler dire essere un’atleta professionista e portare quel cognome sulla schiena.

“Si può dire abbia infuocato il mio spirito competitivo piuttosto che addomesticarlo. Piuttosto che dire ‘questa cosa mi infastidisce, sembra che non abbia neanche un nome’ il mio spirito era piuttosto ‘ok, dimostrerò a queste persone che sono un individuo a parte e che crescerò nel calcio come lui nella pallacanestro’, quindi credo di essere più motivata per queste ragioni”, ha affermato in un’intervista a Caitlin Murray per il Guardian – su cui torneremo, perché fornisce molti dati interessanti per capire di che tipo di personaggio, oltre che atleta, stiamo parlando – in riferimento all’infanzia spesa con il fardello del suo cognome sulle spalle. Nata a Newport Beach il venti maggio 2002 da The Worm e Michelle Moyer, Trinity Rodman cresce tra due case. I genitori infatti si erano separati nel 2004, ma hanno speso i successivi anni in tentativi – poi rivelatisi inutili – di riconciliarsi. La California e i dintorni di Los Angeles rimangono comunque il centro della vita della giovane Trinity e del fratello Dennis Jr, e infatti è proprio in zona, con le SoCal Blues della ECNL, una delle principali organizzazioni giovanili del paese, che inizia a giocare a calcio. Non è il primo sport che si ritrova a provare, e se capire quale sia la disciplina in questione dovrebbe essere abbastanza facile, la ragione potrebbe sorprendere. Se Trinity infatti si ritrovò a provare il basket era per l’insistenza del fratello maggiore DJ, che a sua volta lei aveva convinto a provare il calcio. Alla fine, entrambi si convinsero di aver già trovato la loro strada, al di là dei consigli fraterni: “Volevo veramente che a DJ piacesse il calcio esattamente come lui voleva che a me piacesse la pallacanestro, ma entrambi eravamo convinti che non avrebbe funzionato”, dice sempre al Guardian Trinity. Lo stretto rapporto tra i due fratelli comunque non avrebbe smesso di influire sulle loro rispettive carriere. Molti anni dopo, infatti, alle porte del college, la giovane calciatrice aveva inizialmente deciso di rimanere nella nativa California e di giocare all’università per UCLA, diventata sotto Amanda Cromwell una potenza del soccer collegiale al femminile – campionesse nazionali nel 2013 – e che negli anni aveva accompagnato nel professionismo la carriera di future campionesse del mondo come Sydney Leroux, Sam Mewis, Abby Dahlkemper e – anche se per una sola stagione – Mal Pugh. L’anno prima però Dennis Jr aveva deciso di accettare la borsa di studio per la pallacanestro offertagli dall’universita di Washington State, e poco dopo, anche se non è dato sapere quanto questa decisione abbia influito sulla decisione della sorella di modificare i suoi piani, anche Trinity decise di ritirare il suo committment all’università californiana per scendere in campo con i Cougars di base a Pullman, Washington, un’università con in verità un track record molto meno memorabile non solo nel calcio femminile, ma più in generale all’interno della NCAA.

Come però abbiamo già detto, al college l’attaccante delle Washington Spirit non ci ha mai giocato. La pandemia ha bloccato la sua prima stagione, ma anche solo pochi allenamenti le sono bastati per capire di poter ambire a fare la differenza ad un livello più alto. E la NWSL – o meglio, le dirigenze delle sue squadre – non ha potuto che trovarsi d’accordo con la giovanissima punta. Pur non essendoci mai stata una calciatrice giovane come Trinity Rodman a dichiararsi per il Draft, era evidente a tutti fin da subito come ci si trovasse a parlare di un talento veramente unico, per cui l’età non poteva essere un problema. Anche perché se la NCAA non ha avuto modo di vedere in scena il suo talento, il resto del mondo aveva potuto godere delle sue capacità a livello internazionale, con la maglia delle selezioni giovanili dello USWNT. Se è vero che la pandemia ha tolto a Trinity Rodman anche la possibilità di scendere in campo al mondiale Under 20 che si sarebbe dovuto tenere in Costa Rica nel 2020 e poi nel 2021, prima della sua cancellazione definitiva, è anche vero che appena prima dello stop che ha bloccato il mondo intero Rodman aveva avuto modo di fare la differenza nel campionato CONCACAF che serviva come qualificazione, vinto con comodità dal giovane USWNT e con prestazioni dominanti da parte dell’attaccante, capace di totalizzare nove gol e sei assist in sette partite, finendo terza in classifica cannonieri a parimerito con la giamaicana Jody Brown, la connazionale Brianna Pinto e dietro l’altra statunitense Mia Fishel, seconda a tredici reti e sopratutto dietro l’imprendibile haitiana Melchie Dumornay, giovane fenomeno classe 2003 noto anche con il soprannome Corventina, che contro le neanche troppo coetanee – avrebbe potuto rappresentare nel 2020, teoricamente, anche l’Under 17 – in zona CONCACAF ha scherzato andando a segno in ogni incontro, semifinale con il Messico persa ai rigori inclusa.

Le prestazioni nel torneo, la seconda competizione internazionale in cui l’attaccante ha rappresentato gli Stati Uniti dopo il mondiale Under 17 del 2018, in cui raccolse un assist all’interno di un girone con Corea del Nord, Germania e Camerun concluso all’ultimo posto e con soli tre punti dallo USWNT, l’hanno resa immediatamente uno dei prospetti più interessanti al Draft 2021 della NWSL, tenutosi per la prima volta nella storia della lega in maniera virtuale come è stata consuetudine negli ultimi mesi per lo sport americano, e dal cui palco l’unico nome pronunciato prima di quello di Trinity Rodman è stato quello di Emily Fox, che pur essendo ben quattro anni più vecchia di lei – è una classe 1998 – può contare su ben quattro presenze con lo USWNT, tre delle quali da collegiale nel 2018, ad appena vent’anni, e su una carriera universitaria stellare con le Tar Heels di North Carolina. L’inizio in NWSL di Fox è stato eccellente, prendendosi subito un posto cruciale all’interno dell’undici titolare di Racing Louisville ed entrando addirittura nel miglior undici del mese della NWSL per il mese di maggio, ma, indipendentemente dal fatto se sia giusto o meno, se sia una cosa legata al cognome altisonante o no, il suo arrivo nella lega e le sue ottime prestazioni hanno provocato meno rumore di quelle di colei che, fino all’esordio da record di Olivia Moultrie, è risultata essere la più giovane calciatrice nella storia della NWSL.

A Washington – DC, non lo stato – Trinity ha trovato un ambiente pronto a farla crescere con calma, a metterla nelle migliori condizioni fuori dal campo per avere successo dentro il rettangolo da gioco. La dirigenza delle Spirit ha infatti chiesto a Briana Scurry, leggenda dello USWNT, portiere della nazionale che proprio ventidue anni fa trionfava per la seconda volta nella sua storia al mondiale, di unirsi alla squadra per fare da mentore ad una diciannovenne saltata di fatto dal dilettantismo più assoluto al livello più alto del professionismo. Scurry, che in nazionale ha anche conquistato due ori olimpici, sempre da titolare, non è l’unico portiere intervenuto per facilitare l’ingresso nel professionismo di Trinity Rodman, dal momento che la franchigia ha anche procurato alla giovane una stanza insieme a Devon Kerr, classe 1997 che sembra svolgere per Rodman un ruolo simile a quello del gregario esperto che viene messo in camera con il giovane capitano lungo il suo primo Grande Giro con i gradi di leader. Kerr e Scurry vanno ad inserirsi in quella che è ormai una lunga lista di quelli che negli Stati Uniti amano definire “role model” al femminile per Trinity Rodman, lista sulla cui cima ovviamente non può non esserci la madre, Michelle Moyer. Nonostante Dennis Rodman non sia stato assente per i propri figli come invece era stato per lui il padre Philander, scappato nelle Filippine dopo aver lasciato qualcosa come ventinove figli sparsi in giro per gli Stati Uniti, tanto Trinity quanto Dennis Rodman Jr sono principalmente cresciuti in California con la madre, e anche se il resto del mondo tende naturalmente a considerare il suo spirito competitivo come qualcosa di ereditato direttamente dal padre, è la stessa Trinity che ci tiene a ricordare come non sia necessariamente così: “anche se non ha mai giocato nella NBA, possiede uno spirito estremamente competitivo e motivato, ed è una donna straordinariamente forte. Senza dubbio è il mio role model” ha affermato sempre al Guardian, con quella che poi è la risposta che tende a reiterare ogni volta che l’attenzione dei media – che a Washington stanno cercando di controllare limitando al minimo le occasioni di presenza davanti alla stampa della classe 2002 – si rivolge su di lei. “Avendo il padre che ho, nessuno mi chiede di mia madre perché ovviamente non è una stella dello sport, ma voglio solo che tutti sappiano che lei è sempre stata di supporto in qualsiasi situazione della vita, la mia migliore amica e la mia roccia”.

Abbiamo visto dunque che le Spirit stanno cercando di introdurre con cautela Trinity Rodman sotto gli occhi del mondo professionistico, controllando non solo le sue apparizioni davanti ai microfoni, ma anche il suo minutaggio in campo, che è stato certamente contenuto anche considerando che, per quanto dimostrato, Trinity Rodman è già in grado di sopportare la titolarità a questo livello. L’idea del front office di Washington – del tutto ragionevole, tra l’altro – è che qualche minuto in meno adesso possa essere un beneficio nel lungo termine, evitando così il rischio di far volare troppo vicina al proverbiale sole il talento cristallino di questo attaccante. Alta centosettantotto centimetri, una cifra notevole – per dire, è alta quanto Jessica McDonald, pur non condividendo con la campionessa del mondo delle North Carolina Courage la struttura muscolare – Trinity Rodman non è una classica prima punta statica, ma ama spaziare lungo tutto il fronte offensivo, e possiede una più che buona tecnica di base con entrambi i piedi che le permette di essere imprevedibile quando torna indietro a prendersi il pallone. Avendo anche una buona lettura delle linee di passaggio, la classe 2002 è in grado di sfruttare queste sue caratteristiche rivelandosi anche come un’eccellente realizzatrice di assist, e non solo come macchina da gol. Nella partita d’esordio contro Cuba al già citato campionato Under 20 della CONCACAF Trinity Rodman ha raccolto una prestazione da MVP pur non segnando, trovando infatti ben cinque assist, che mettono in mostra tutto l’arsenale delle soluzioni a sua disposizione. C’è il lancio lungo in contropiede, realizzato dopo un tocco, un controllo a seguire perfettamente orientato e senza fermare mai la corsa, c’è il cross basso e teso dopo un’azione sulla fascia, c’è il filtrante a tagliare la difesa dopo essere rientrata con le spalle alla linea della rimessa laterale destra. Le soluzioni sono tante e veramente tutte molto efficaci, specialmente per una calciatrice con un fisico tutt’altro che banale da portarsi a spasso per il campo. Certo, Cuba non era l’avversario più probante al mondo, e il livello della NWSL è molto più probante, e allora già che ci siamo andiamo a vedere come si sta comportando qualche gradino più in su Trinity Rodman, andandoci a concentrare principalmente sulle sue capacità sottoporta, recuperando le tre reti da lei realizzate finora con la maglia delle Spirit. Il primo ha le stimmate del momento che ricorderemo per molto tempo, deflagra con la potenza di quando ci rendiamo conto che la giocata che abbiamo appena visto è stata realizzata da una persona che ci accompagnerà nella passione sportiva per molto tempo. Entrata da cinque minuti per la prima volta tra i professionisti nell’incontro di Challenge Cup contro North Carolina, Trinity addomestica perfettamente con la coscia un lancio in profondità estremamente difficile, lo tiene a distanza di sicurezza e approccia il tiro come un ostacolista che conta i passi tra un salto e l’altro per poi piazzare il piattone destro nell’angolo basso. Con ogni probabilità è il gol più bello tra i primi tre, e certamente rappresenta quella che al momento sembra essere la giocata-tipo per azionare il detonatore Rodman in attacco, visto che anche il secondo, contro le Red Stars, è arrivato in maniera grossomodo simile. Ma c’è forse un altro gol, il terzo in NWSL, contro Kansas City, che può competere con bellezza con il primo, e arriva da una situazione di gioco decisamente diversa. Appena recuperato in seguito ad una pressione alta il pallone, Rodman si allarga sulla destra per ricevere il passaggio. Il pallone è un po’ lungo e il primo controllo serve per stabilire i suoi diritti di possesso tramite usucapione della sfera rispetto al difensore, che puntualmente casca sulla finta quando Rodman piega la gamba come a voler lanciare una frustata di destro verso la rete. Sfruttando dunque il suo essere ambidestra o quasi, l’attaccante delle Spirit riesce dunque a trovarsi praticamente davanti al portiere dentro all’area piccola, e a quel punto la conclusione è facile, ma non per questo meno stilosa e precisa, con una botta ad effetto che stupisce l’estremo difensore avversario che si aspettava una conclusione sul primo palo.

Quando il tuo cognome è pesante per qualsiasi ragione, sfuggire dal rumore è difficile, se non impossibile, anche quando la via perseguita, per quanto naturalmente foriera di riflettori sulle spalle, è diversa da quella di chi inizialmente aveva dato lustro a quell’accozzaglia di lettere. La situazione non è certo diversa per Trinity Rodman, così come non lo sarà per il fratello DJ, che ha pure scelto lo stesso sport, e adotta uno stile di gioco simile, rispetto al più noto genitore. Ma è sempre importante garantire a queste persone la possibilità di perseguire la propria strada, di pavimentare il proprio percorso, di non diventare i secondi Rodman, ma i primi Trinity Rodman o DJ Rodman. Per questa ragione in questo pezzo ci si è presi la libertà di spostare il focus sul nome di Trinity Rodman piuttoto che sul suo cognome. Sapendo come comunque non si potesse semplicemente riferire all’attaccante come “Trinity”, in virtù del fatto che un residuo sessista che rimane nel modo in cui i media si occupano delle grandi donne del nostro e di tutti i tempi sia la tendenza a chiamarle sempre per nome, quasi in maniera colloquiale, come se Angela Merkel fosse la vicina di casa e non la cancelliera più longeva della Germania unita, si è cercato per quanto più possibile di allontanare il focus dal nome che l’atleta ha all’anagrafe per concentrarsi sulle sue capacità sportive, permettendo di togliere dal centro della narrazione l’ingombrante padre e di assegnare alla giovane calciatrice tutte le attenzioni, riconoscendola non semplicemente come “figlia di” ma come un’atleta, se per questo anche una delle più rilevanti nella sua fascia d’età a livello mondiale, come un nome che potrebbe rappresentare per il calcio femminile quello che il padre ha rappresentato per la pallacanestro maschile, e forse anche di più.

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