I San José Earthquakes stanno preparando la risalita

Lo scorso quattordici giugno i tifosi degli Oakland Athletics della MLB hanno organizzato il cosiddetto reverse boycott. Con lo spettro di una rilocazione della propria amata franchigia a Las Vegas giustificato dal proprietario John Fisher con l’incapacità della città di offrirgli un buon accordo per la costruzione di un nuovo stadio e affermando come nonostante i suoi sforzi la città semplicemente non fosse interessata alla loro squadra di baseball, i tifosi hanno deciso di smentire il loro odiato proprietario riempiendo l’Oakland Coliseum in occasione della partita contro i Tampa Bay Rays, come a dimostrare che lo scarso interesse di pubblico vada giustificato con gli scarsi investimenti della proprietà – quella con il monte salari più basso della lega – piuttosto che con la freddezza degli abitanti della Baia per l’American Pastime. È difficile, arrivati a questo punto, immaginare che i ventisettemila del Coliseum possano avere un impatto diverso dal semplicemente peggiorare la reputazione del proprio investitore di maggioranza, con la franchigia che sembra sempre più diretta in Nevada dopo essersi assicurata i fondi per un nuovo stadio nella downtown cittadina.

Anche senza più il baseball, comunque, John Fisher, forse il proprietario più odiato nello sport mondiale in questo momento storico, non lascerà del tutto la sua presenza sulla scena sportiva della Baia. Fisher è infatti anche l’azionista di maggioranza nei San José Earthquakes, franchigia di MLS che come gli Athletics è da anni al fondo della lega per investimenti sul roster e per biglietti venduti al botteghino ma che, a differenza degli Athletics, sono riusciti a evitare in questi anni lo spettro della rilocazione, in parte perché è stato lo stesso Fisher a riportare, nel 2008, la franchigia in MLS dopo la rilocazione del club originale a Houston, e poi perché, al contrario di quanto successo con il baseball, Fisher è riuscito a costruire uno stadio, il PayPal Park, che pur non essendo una struttura all’avanguardia nella MLS contemporanea è comunque abbastanza nuovo da mettere a tacere qualsiasi voce su trasferimenti dovuti alle speculazioni edilizie del miliardario statunitense.

L’improbabilità di una futura rilocazione in tempi brevi, comunque, non ha diminuito l’acredine dei tifosi locali nei confronti di Fisher, e c’è da dire che l’ultimo decennio della franchigia sta lì a giustificare il discontento, dal momento che, nonostante per molti di questi anni la franchigia abbia potuto contare sul migliore marcatore nella storia della MLS, Chris Wondolowski, i risultati sono stati perlopiù deludenti e le scelte tecniche spesso sbagliate, come l’assunzione del tecnico svedese Mikael Stahre e la conferma, un anno almeno più del dovuto, del progetto legato a Matias Almeyda. Quando ad inizio anno il commissioner Don Garber ha anticipato a The Athletic la nascita di un gruppo orientato ad aiutare nelle decisioni di governance le franchigie originali della lega, che spesso negli ultimi anni hanno faticato a reggere il passo di expansion team di sempre maggiore successo, San José rappresentava uno dei target ideali di questa iniziativa – ufficialmente, per la MLS, gli Earthquakes sono sempre stati parte della lega tranne un periodo sabbatico di due anni, e gli Houston Dynamo un’espansione.

Negli ultimi mesi, però, almeno sul campo qualcosa sembra cambiato, e, pur rimanendo nel fondo della lega per investimenti da parte della proprietà, i San José Earthquakes sembrano essere riusciti sia a trovare un buon modo per trarre molto da poco, sia a rendere leggermente più generosa la mano del proprietario John Fisher, che nell’ultima off-season ha avallato investimenti che per le sue tasche corrispondono a noccioline ma che vanno ritenuti eccezionali per la franchigia. A questo va aggiunto un settore giovanile che meglio di quello delle altre due franchigie californiane sembra in grado di sfruttare al meglio la quantità di talento fuori scala rispetto al resto del paese disponibile sul territorio statale e, infine, la scelta di un tecnico che sembra perfetto per curriculum e pedigree a cucire tutte queste differenti anime insieme in una squadra finalmente competitiva.

Questa storia però per partire ha bisogno di fare il nome di Chris Leitch, ex calciatore proprio dei Quakes che dopo quasi un decennio come direttore tecnico della franchigia – e come allenatore ad interim nel 2017 – è stato promosso a General Manager nell’estate 2021 con il compito di gestire la ricostruzione della franchigia. Sarebbe stato proprio lui, dopo aver iniziato con il passo falso della conferma di Matias Almeyda, da cui poi San José si sarebbe separata dopo poche partite dall’inizio della stagione 2022, a prendere in mano la ricostruzione della franchigia e a scegliere tutti gli elementi da cui sarebbe ripartita la squadra.

Una delle prime mosse di Leitch da GM è stata quella, rivelatasi poi fondamentale, di acquisire via trade dai Portland Timbers Jeremy Ebobisse. Il nativo di Parigi, giocatore talentuoso ma mai veramente compreso nel Pacific Northwest, era reduce da anni discontinui in uscita dal college a Duke, dove però era stato l’equivoco che aveva portato, negli anni, Giovanni Savarese a schierarlo come esterno d’attacco a limitarne l’impatto. In California Ebobisse è stato considerato dal primo giorno come una prima punta, l’erede di Chris Wondolowski, ritiratosi a fine 2021 e passato ad un incarico dirigenziale. La scelta è stata evidentemente quella corretta, e in poco meno di due stagioni Ebobisse ha già pareggiato il numero di reti segnate in quattro anni a Portland con venti partite giocate in meno.

Punta eccezionale nel gioco aereo, nella protezione del pallone e dotato di un tiro dalla potenza sensazionale, Ebobisse è forse l’assenza più criticabile del roster convocato da BJ Callaghan per la Gold Cup che sta per iniziare. Giocatore estremamente intelligente in campo e fuori, leader riconosciuto della squadra, il calciatore di passaporto camerunense è un elemento fondamentale per questo gruppo per come tatticamente interpreta il suo ruolo all’interno del 4-3-3, non limitandosi semplicemente al ruolo di target forward, ma accompagnando il possesso con movimenti senza palla intelligenti, non solo quelli tradizionali da punta ma a volte veri e propri inserimenti da centrocampista box to box, e la sua assenza dalla nazionale statunitense rappresenta una benedizione arrivata dal cielo per i Quakes, che altrimenti si sarebbero trovati a dover fare a meno di lui per il prossimo, fondamentale, mese di regular season.

La scelta di Callaghan è dunque la salvezza del suo ex collega Luchi Gonzalez, colui che, nel 2022, è stato identificato da Leitch come il volto giusto per riportare gli Earthquakes ai tempi di un Landon Donovan dai capelli biondo platino. Gonzalez, annunciato lo scorso autunno ma arrivato in California solamente a inizio 2023 dopo aver concluso il mondiale qatariota come assistente di Gregg Berhalter insieme all’attuale tecnico ad interim della nazionale BJ Callaghan, ha come unico precedente alla guida di una prima squadra l’esperienza a FC Dallas, ma è stato scelto in primo luogo per la sua affiliazione al coaching tree di Berhalter e, soprattutto, per il suo passato come responsabile del miglior settore giovanile del paese, quello della franchigia texana che Gonzalez stesso ha contribuito a costruire da zero.

Come per il tecnico della nazionale statunitense, Gonzalez favorisce un 4-3-3 aggressivo, che ama controllare il possesso per disorganizzare le difese avversarie, usare il pressing per recuperare il pallone in zone alte di campo, in cui il centrocampo svolge un ruolo fondamentale sia per dare solidità alla difesa grazie al lavoro del perno basso del trio, sia per provvedere un maggiore sostegno in zona gol con tagli, corse e inserimenti delle due mezzali. Proprio in mediana Chris Leitch ha completato forse l’acquisto più importante per questa squadra, acquistando per una cifra record nella storia della franchigia Carlos Gruezo, colui che ha cambiato la traiettoria di questa squadra risolvendo molti equivoci tattici e prendendosi il ruolo di centrocampista difensivo. Questa posizione, negli Stati Uniti identificata con il numero sei data la tradizionale numerazione da uno ad undici dei giocatori in campo, è diventata negli anni, soprattutto con l’introduzione dell’Allocation Money, una di quelle fondamentali per dirimere le grandi squadre MLS dalle incompiute. Tutte le squadre capaci di competere per la MLS Cup hanno quasi sempre in un numero sei d’eccellenza in questo campionato un perno fondamentale del loro gruppo pur nelle varie interpretazioni che si possono dare del ruolo, da Ilie per LAFC a José Martinez per Philadelphia, le ultime due finaliste di MLS Cup, fino ad arrivare a Obinna Nwobodo, una delle stelle di Cincinnati, leader indiscussi nella corsa al Supporters’ Shield.

Gruezo è un giocatore che conosce questa lega, avendola usata come trampolino per l’Europa in seguito al suo passaggio per FC Dallas, e la sua presenza all’interno della franchigia ha finalmente permesso di liberare un giocatore come Jackson Yueill dall’equivoco che ne ha caratterizzato la carriera e forse, potenzialmente, limitato anche la crescita come elemento d’interesse per la nazionale statunitense. Schierato fin dal suo sbarco nei professionisti come mediano basso, Yueill in realtà non possiede le capacità difensive per interpretare al meglio il ruolo e facendogli occupare certe zone di campo ci si ritrova a sprecarne gli ottimi istinti offensivi e la capacità di utilizzare la pausa per creare spazio e nuove linee di passaggio che è così importante qualche metro più avanti.

Altri acquisti importanti dell’era Leitch, oltre a quello dell’atipico numero dieci Jamiro Monteiro, precedentemente visto ad interpretare il compito quasi definibile da falso diez all’interno del sistema di Jim Curtin a Philadelphia – un giocatore che occupa le zone di campo da fantasista ma che di fatto agisce quasi da prima punta che parte più arretrata, molto più attivo come finalizzatore che come creatore – e che a San José è l’ultimo del terzetto di centrocampisti, altri rinforzi sono arrivati in zone cruciali del campo, ad identificare alcune delle mancanze più grosse della franchigia, soprattutto con una significativa ristrutturazione della linea difensiva. In porta Daniel è finalmente il salto di qualità che ci si poteva aspettare, un portiere bravo in impostazione ma soprattutto sicuro negli interventi e poco prone all’errore, mentre sulle fasce sono forse sottovalutati come impatto sulla lega gli arrivi, completati già l’estate scorsa, di Miguel Trauco – sulla sinistra, nazionale peruviano, ex Flamengo e Saint Etienne – e Carlos Akapo – terzino destro nato in Spagna nazionale della Guinea Equatoriale, ex Cadice e Huesca. Al centro della difesa non erano attesi particolari investimenti, ma dopo la rottura del crociato di Nathan Rodrigues, Chris Leitch è stato molto rapido e intelligente nell’identificare subito il profilo di Jonathan Mensah, leggenda dei Columbus Crew, come un nome facilmente accessibile sul mercato interno via trade.

Tutti questi rinforzi hanno dunque portato ad una situazione ideale per valorizzare finalmente il talento di uno dei migliori giocatori nella storia di questa lega, eppure molto spesso tremendamente sottovalutato se non addirittura dimenticato a causa del suo predicare nel deserto in una squadra, nel migliore dei casi, mediocre. I numeri di Cristian Espinoza in MLS sono sempre stati quelli di un potenziale candidato MVP, eppure le prestazioni mediocri del resto della squadra lo hanno costretto ad attendere quest’anno per ricevere le meritate lodi. Eppure quando parliamo dell’argentino ex Villarreal parliamo di un giocatore che è con ogni probabilità tra i migliori cinque nella storia della franchigia, e che è già ad appena quattro assist di distanza dal diventare il recordman MLS degli Earthquakes. Espinoza è leader nella lega per quel che riguarda i passaggi chiave ed è secondo solo ad un suo connazionale come Thiago Almada per quel che riguarda gli expected assist, e guardando giocare San José è facile capire come mai. Espinoza è lo sfogo di qualsiasi manovra, il termine a cui si vuole far arrivare il pallone per la sua creatività e abilità nel cross. Luchi Gonzalez sceglie attivamente di sovraccaricare la propria squadra sul lato destro del campo così da creare densità ed opzioni intorno al loro giocatore più creativo, permettendo così a giocatori bravi ad inserirsi come Monteiro e l’esterno sinistro Cowell di offrire un’altra opzione in mezzo all’area.

Oppure, in alternativa, può prendere il pallone e decidere di fare cose così

 

Proprio nell’appena citato Cade Cowell i San José Earthquakes hanno il simbolo del cambiamento che la franchigia si è ritrovata a vivere negli ultimi anni, costruendo un settore giovanile d’eccellenza di cui il classe 2003, visto anche agli ultimi mondiali Under 20 negli Stati Uniti, è il primo nome ad avere raccolto l’interesse a livello nazionale e internazionale. Ormai da un paio di anni titolare fisso dei Quakes, Cowell è stato a lungo vittima nella sua crescita dell’incertezza concernente l’intera franchigia, pure lui diviso tra tentativi di farne un erede di Chris Wondolowski e schieramenti in praticamente qualsiasi posizione offensiva possibile. Messo da Gonzalez stabilmente sulla fascia sinistra, Cowell può giocare con ferocia da cowboy, attaccare a testa bassa in dribbling e vincere qualsiasi duello fisico, rientrando sul suo piede destro che sa utilizzare con ottimi istinti sia per il passaggio decisivo che per il tiro. Dietro Cowell, si stanno facendo strada alcuni dei talenti più interessanti del paese – tra cui anche suo fratello minore Chance, recentemente passato professionista – alcuni di questi già entrati a pieno titolo in prima squadra come il centrocampista Niko Tsakiris, elegante portatore di palla e mezzala con istinti da fantasista, o con ottimi risultati in seconda squadra come Cruz Medina, forse uno dei migliori talenti del calcio statunitense in generale, il classico giocatore per cui la partita sembra muoversi a x0,5 tanto è capace di manipolare i movimenti avversari quando ha il pallone tra i piedi.

Ancora è presto per dire che i San José Earthquakes sono guariti dal morbo della mediocrità che li attanaglia ormai da circa un decennio, e d’altronde sarebbe anche ingiusto chiedere a Chris Leitch e Luchi Gonzalez di guarire una franchigia da soli senza l’accesso al medicinale che possa affrontare direttamente la causa di questo male, ovvero un proprietario disinteressato a qualsiasi cosa che non sia il suo tornaconto personale. Ma quando si è una franchigia reduce da alcune stagioni disastrose, in particolare l’ultima, anche solo una tranquilla qualificazione ai playoff può essere vista come un successo, come l’anticamera di una crescita verso vette più alte. Questi Quakes sono la versione migliore di sé stessi vista in MLS dalla vittoria del Supporters’ Shield nel 2012, lo sono per gioco oltre che per risultati, per eccellenza dei singoli oltre che semplicemente per una questione di numeri. Certo, per poter ambire a questo titolo è necessario mantenersi sul lungo periodo, e d’altronde anche il triennio di Matias Almeyda ha visto alcuni picchi altissimi che pochi sanno pareggiare in MLS, figurarsi all’interno di una singola franchigia. Per la prima volta in anni, però, i tifosi possono finalmente dire di essere sulla strada giusta, e se questo da solo non basterà a trasformarli in una franchigia modello, almeno ha tutti i simboli di un progetto sostenibile e non di una somma di casualità intervenute insieme.

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