Nick Hagglund, il moschettiere di Toronto FC

Un moschettiere per la sua regina. O meglio, un Musketeers nella Queen City. Questo è Nick Hagglund, difensore di Toronto FC, eroe della finale di ritorno della Eastern Conference con un gol propiziato e uno, invece, tutto suo, che porta sul pallone la sua firma. 184 cm di ragazzone, con la faccia di quello della porta accanto: sembra essere uscito dalla famiglia Eriksen, gemello di Marshall, ragazzo dall’animo buono e gentile di How I met your mother. Nato nella Queen City, Cincinnati, nel ’92, il numero 6 della franchigia canadese si è fatto le ossa alla Xavier University a Norwood. Qui gli atleti vengono chiamati Musketeers, moschettieri, e la mascotte è D’Artagnan.

“Uno per tutti, tutti per uno” il celebre motto di Athos, Porthos e Aramis; ed è anche la forza delle squadre dell’università: le qualità del singolo per raggiungere un risultato di squadra. Hagglund brilla: 4 anni alla Xavier, 81 presenze (80 da titolare), 4 gol e ben 11 assist, tantissimi per un centrale difensivo. Dopo il suo percorso nella scuola di Norwood, dove viene nominato miglior giocatore difensivo dell’anno della Big East Division nel 2013, arriva il Superdraft: chiamata numero 10, Toronto FC se lo porta a casa il 16 gennaio.

Se al College non ci sono stati problemi, sono tanti gli ostacoli da affrontare in Canada. Al primo anno tanta fiducia, con 25 presenze in Regular Season. Poi, qualcosa si inceppa, tanto che viene mandato più volte con la seconda squadra nella United Soccer League. Momenti difficili per Hagglund, che ha pensato anche di cambiare aria; pensiero della durata di un secondo o poco più, visto che ha continuato a lavorare sodo, come ha sempre fatto, ricordandosi il motto della Xavier “Vidit Mirabilia Magna”, “Ha visto grandi meraviglie”. Le ha viste al college, e le ha fatte vedere. E le farà vedere di nuovo, perché dopo una regular season altalenante, quando si è iniziato a fare sul serio, mister Vanney non è riuscito più a fare a meno di lui: ai playoff non ha saltato neanche un minuto, arrivando, ora, fino alla finale di sabato. Mai una parola fuori posto, solo tanto lavoro, a testa bassa. Dopo aver visto “l’inferno” della seconda squadra, ora si gode quelle “cose meravigliose”. In attesa, forse, della più bella…


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