Thomas Muller è la ciliegina sulla torta di Vancouver

Il sette gennaio 2019 i Toronto Raptors annunciarono lo scambio che avrebbe portato Marc Gasol in Canada. Sei mesi dopo, i Raptors di Kawhi Leonard alzavano il loro primo titolo NBA. Il veterano spagnolo, a trentacinque anni, rappresentava esattamente quello che mancava ai Raptors per completare una squadra che avrebbe fatto la storia, già molto competitiva ma che necessitava di un altro leader, di un’ancora difensiva, di un giocatore con una storia capace di fare la differenza quando più contava. La storia della NBA è sorprendentemente piena di transazioni di questo genere. Le squadre da titolo spesso si costruiscono nel tempo, ma non è fino a pochi mesi prima di conquistare l’anello che conquistano la forma con cui saranno ricordate ai posteri.

Portare una squadra canadese in questo esempio non è casuale, ma non è l’unico caso. Il fratello stesso di Marc, Pau, è arrivato ai Lakers solo in quello stesso 2008 in cui poi avrebbe vinto il titolo – anche se qui ci riferiamo più a giocatori per cui il prime è già passato, al contrario del fenomeno catalano. Rasheed Wallace ai Detroit Pistons nel 2004 è un caso simile. Questo tipo di operazioni sono un classico – o comunque lo erano prima del nuovo contratto collettivo – per le squadre NBA, non solo per quelle che vincono, ma anche, e ovviamente, per quelle che non ci riescono. Insomma, è considerata una mossa logica nelle dinamiche NBA puntare su un’ultima aggiunta prima della flamme rouge se ci si ritiene molto vicini al titolo.

Nella storia della MLS, queste mosse si sono viste raramente. Per la verità, però, gli anni recenti hanno portato ad un cambiamento. Nel 2022 e nel 2024 la città di Los Angeles ha alzato la MLS Cup con due squadre diverse che avevano effettuato operazioni concettualmente simili: prendere una grande stella del calcio europeo lontana dal prime senza spenderci sopra un contratto da Designated Player, e quindi senza assegnare loro una responsabilità eccessiva in campo, anzi, facendoli partire spesso dalla panchina, con l’idea che potessero far fare un ultimo piccolo salto di qualità. Qualcuno potrebbe dire che al di là dei due anelli – e in uno dei due casi del gol decisivo per tenere in piedi la partita e portarla ai rigori – Gareth Bale a LAFC e Marco Reus ai Los Angeles Galaxy abbiano avuto un impatto relativo in campo, ma quella che è la narrazione dietro acquisti di questo genere, in MLS come in NBA, vuole anche che ci siano aspetti intangibili a spiegare queste mosse, aspetti che, al pubblico generalistico, ovviamente non possono arrivare.

In questo senso, l’acquisto di Thomas Muller da parte dei Vancouver Whitecaps non ricorda affatto quello di ormai decine di vecchie stelle del calcio europeo che hanno concluso la loro carriera negli Stati Uniti. In primo luogo, e questo lo differenzia anche rispetto ai trasferimenti di Bale – ma anche Chiellini – e Reus, Muller va in una città e in una franchigia che mai aveva firmato giocatori di così alto profilo – anche per una ampiamente discussa refrattarietà alle spese pesanti della proprietà. Vancouver è certamente un big market nel contesto canadese e una delle più grandi – e belle – città del continente, una metropoli moderna e spettacolare che non può non attrarre stelle di questo calibro, ma la storia dello sport statunitense ci dice che spesso Vancouver, e in generale le città canadesi, hanno faticato ad attrarre i nomi più grossi, forse per una sorta di sudditanza presunta, nella mente di chi decide, nei confronti del paese al loro sud.

Dei giocatori di questo tipo che arrivano in MLS si dice spesso che facciano una scelta di vita, e se la definizione sembra particolarmente abusata e poco approfondita, nel caso del fenomeno tedesco ha forse un uso più sensato che in altri contesti. Thomas Muller ha fatto una scelta rara, unica e imprevista nella storia della MLS, e l’ha fatta non per una questione di soldi. Nel suo primo anno di contratto, Thomas Muller non sarà per Vancouver un Designated Player, e quindi almeno in questa mezza stagione il suo stipendio sarà minore ad un milione e settecentomila dollari, che sono, se ci fidiamo delle stime dei media europei, praticamente un decimo del suo ultimo stipendio al Bayern. Anche il prossimo anno, quando il suo contratto diventerà da Designated Player, la sua compensazione difficilmente tornerà alle vette altissime della Baviera: Vancouver è una franchigia che come detto non è mai stata tra le principali spendaccione della lega e per di più è nel mezzo di un cambio di proprietà. Muller, insomma, ha voluto scegliere l’approccio dei Whitecaps, ha voluto premiarne, possiamo immaginare, l’idea, anche se ancora nessuno ha fatto filtrare in che cosa consistesse questo approccio.

Sicuramente, ha come minimo preferito questo approccio a quello di Cincinnati, l’altra squadra che lo ha cercato insistentemente negli ultimi giorni e l’unica che, dopo un giro di offerte in cui il tedesco si è trovato a chiedere uno dei salari più alti della lega, approccio che non ha trovato pretendenti, si è trovata a fare la stessa offerta di Vancouver a Muller: un contratto al massimo salariale per il 2025 con la possibilità di diventare da DP nel 2026. Una volta che il tedesco ha rifiutato la destinazione in Ohio esprimendo la sua preferenza per il Canada occidentale, allora si è consumata un affare possibile solo in MLS, in cui Cincinnati è stata compensata $400k in General Allocation Money per cedere i propri diritti sul giocatore alla franchigia canadese.

Come detto, però, l’arrivo di Muller è interessante soprattutto come fit tecnico tra giocatore e contesto di squadra. Spesso, queste stelle vengono acquistate partendo dal presupposto che il loro potenziale valore commerciale sia sufficiente a nascondere le questioni di adattamento tattico, la loro grandezza considerata tale da renderli plug and play all’interno di qualsiasi sistema. Il caso emblematico è quello di Olivier Giroud, andatosene dopo un anno da Los Angeles principalmente perché pesce fuor d’acqua in un sistema per nulla associativo come quello di Steve Cherundolo. Questi giocatori o sono il perno intorno a cui si costruisce il sistema – Messi, Henry, Schweinsteiger – o sono fatti piovere dall’alto come panacea di tutti i mali – Beckham, Ibrahimovic.

Il video con cui Muller, di fatto, ha annunciato l’intenzione di andare in MLS

Thomas Muller, invece, rappresenta esattamente il tassello perfetto da inserire all’interno di quella che non solo è una delle macchine tatticamente più articolate e associative della MLS, ma anche quella che, tutto sommato, da inizio anno sta viaggiando con le marce più alte. Anche considerata la prolungata assenza del DP Ryan Gauld, il cui ritorno è ancora un’incognita, Muller potrà occupare i fazzoletti di terreno e svolgere i compiti a lui più cari – e quelli più sostenibili data l’usura del suo motore. Per di più, la quantità di giocatori di livello in attacco e la tendenza di Jesper Sorensen a ruotare implicano anche l’idea che il fenomeno tedesco ex Bayern sia un’addizione sì interessantissima, ma non necessaria per competere al massimo livello, una mossa che amplifica enormemente il potenziale della squadra, che alza il cosiddetto ceiling di una squadra che però lavora già con un floor decisamente alto per questa lega.

In questo senso, tornando al paragone iniziale, Muller appare come la ciliegina sulla torta, o comunque l’ultimo pezzo mancante di un puzzle che ha sopra il disegno, potenzialmente, della MLS Cup. Non è solo una questione tattica, ovviamente, ma anche e soprattutto di esperienza. Nei playoff, avere una persona la cui grandezza è associata tanto alle prestazioni nei mondiali – soprattutto i primi due della sua carriera – quanto a quelle nel club può rappresentare uno spartiacque fondamentale per affrontare la parte cruciale della stagione, parte in cui peraltro questi Whitecaps hanno sempre avuto problemi, riuscendo al massimo a superare il play-in ma senza mai arrivare neanche alle semifinali di conference.

Per Vancouver, la città e l’ambiente calcistico ancora prima che la squadra, l’arrivo di Thomas Muller rappresenta soprattutto un’ennesima occasione di speranza. Appena lo scorso gennaio, con l’addio ad un allenatore amato come Vanni Sartini e l’annuncio di una franchigia messa in vendita, l’atmosfera intorno ai Whitecaps era decisamente abbacchiata. Poi, però, il percorso comunque straordinario in Concachampions a dispetto della scoppola subita in finale e l’inizio spettacolare anche in MLS hanno riacceso l’attenzione.

I primi piani annunciati dalla franchigia di costruire uno stadio di proprietà – il BC Place ha una posizione ideale ed è una struttura meravigliosa, ma le condizioni di affitto non sono adatte ad una franchigia ambiziosa – hanno dato l’idea che, anche se in vendita, il futuro dei Whitecaps sia a Vancouver, nonostante un iniziale timore su una possibile rilocazione. L’arrivo di Muller conferma che questa è una franchigia che magari non ha il budget per competere finanziariamente con squadre più ricche, ma che non rinuncia a essere competitiva, mandando segnali che forse mai nella storia MLS del marchio aveva mostrato. E adesso, potenzialmente, è anche una delle grandi favorite per alzare la MLS Cup, con un cambio di prospettiva totale rispetto anche solo a sei mesi fa.

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