Tata Martino: quando il coach fa tutta la differenza

Atlanta United batte New York Red Bulls 3-0. L’andata della finale di Eastern Conference in MLS è scioccante nel risultato, ma non nella sostanza. I rossoneri della Georgia non avevano mai battuto le “Lattine” nella loro giovanissima storia, ma hanno scelto il momento e il modo migliore per rompere uno dei pochi tabù nel campionato. In un Mercedes-Benz Stadium ribollente di colore, calore ed entusiasmo, dopo un primo tempo di gestione e comunque chiuso in vantaggio, tutta la differenza tra le due squadre è venuta fuori: ma dalla panchina. Il 3-0 infatti è tutto nelle mani e nelle idee del Tata Martino, un coach di livello internazionale che di fronte alle difficoltà non ha tremato, anzi, ha saputo ridare forza e vitalità alla sua squadra cambiando le pedine in campo. In regular season come nella finale di andata.

Lo ha ammesso lo stesso Josef Martinez che pure era andato in gol al primo tiro in porta di Atlanta della partita: “All’intervallo il Tata ci ha detto come spaccare in due la partita, e lo abbiamo fatto”. Il tutto mentre Armas sull’altra panchina dopo un’ottima parte di regular season, chiusa con il Supporters’ Shield, naufragava nella sua inesperienza. L’ingresso di Etienne Jr – se vogliamo per forza circostanziare la situazione – ha fatto da spartiacque, forse ancora di più del gol annullato (giustamente) a Wright-Phillips che avrebbe dato il momentaneo 1-1. L’atteggiamento spregiudicato dell’esterno dei Red Bulls e la poca propensione alla copertura hanno liberato spazio per gli imprendibili trequartisti di Atlanta che, guidati dalla regia di Nagbe e Almiron, dalla forza fisica di Gressel ed Escobar e nel finale dalla tecnica di Villalba hanno dilagato.

L’ha vinta il Tata Martino, l’ha stravinta l’argentino. Riaprendo un dibattito che da anni va avanti da quelle parti: per la crescita del campionato servirebbero più allenatori come lui ancor prima che i giocatori. Allenatori in grado di insegnare calcio, disegnare tattiche e trascinare un gruppo forte nelle sue convinzioni. Il gol del 2-0 di Atlanta ne è l’esempio di un calcio evoluto per quei livelli: quando il pallone arriva ad Almiron sulla trequarti, mentre tutti si aspettano la giocata del paraguayano sono i movimenti senza palla dei compagni a fare la differenza. Quello di Gressel in primis, che sovrappone sulla sinistra prendendo in controtempo la difesa newyorchese; poi quello di Escobar sul secondo palo, decisivo nel chiudere l’azione approfittando della dormita di Etienne  (disperso nel rientro camminando a centrocampo) e compagni. E di queste situazioni ce ne sarebbero decine da visualizzare e cerchiare in rosso. Decisamente meno dalla parte di Armas.

Quello degli allenatori è un tema caldo che non andrebbe sottovalutato. E’ un investimento sul futuro che nel tempo farebbe crescere anche i coach made in Usa. I Donadoni, Sampaoli nella sua follia tattica, Hiddink e via discorrendo, sarebbero ottimi maestri su cui puntare da quelle parti in MLS. Magari meno scintillanti, ma sicuramente più utili delle vagonate di giocatori dal Centroamerica che sì avranno talento, ma necessitano di guide per svilupparlo nel modo migliore.


 

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