Cosa ha portato all’addio di Bernardeschi e Insigne a Toronto?

Quando, la scorsa settimana, l’associazione giocatori della MLS ha rilasciato la sua annuale guida agli stipendi della lega, nella top dieci dei più pagati spiccavano i nomi di due italiani, Lorenzo Insigne, secondo in classifica con oltre quindici milioni di compensazione garantita, e Federico Bernardeschi, sesto con una cifra sopra i sei milioni di dollari. Pochi giorni dopo quella stessa lista, i due campioni d’Europa nel 2021 non fanno più parte della rosa di Toronto, che ha deciso di liberarsene usando su di loro i due buyout a disposizione di ogni franchigia durante la stagione, e segnando un reset completo per l’intera squadra, che adesso attraverserà un lungo periodo di ricostruzione.

Sono lontanissimi i giorni del luglio 2022, quando i due azzurri giocarono per la prima volta insieme in MLS – con loro anche Domenico Criscito, che avrebbe lasciato in una situazione non meno controversa e rivedibile a fine stagione, fingendo il ritiro per liberarsi dall’impegno con Toronto per poi riapparire al Genoa – in una partita contro Charlotte che rimane ancora adesso il punto più alto di quest’era del calcio a Toronto di cui Insigne e Bernardeschi si sono trovati, prima volentieri e poi loro malgrado, a essere il simbolo. Quella vittoria 4-0 vide un primo tempo strepitoso, giocato nella definizione il più vicino al letterale possibile di “sulle ali dell’entusiasmo”. Quattro reti in quarantacinque minuti, assist di tacco di Insigne, gol e assist di Bernardeschi, doppietta per Michael Bradley, il terzo DP della franchigia e simbolo di un club che da quell’anno era allenato da suo padre Bob.

L’esordio dei due italiani in MLS

Quel giorno Toronto veniva da un inizio di stagione disgraziato, su cui c’era l’alibi di aver giocato sei mesi volutamente con un budget ristretto per permettere l’arrivo in estate dei due ex Serie A. Quello doveva rappresentare l’inizio di una scalata vertiginosa verso i playoff. L’esaltazione sarebbe però durata poco: eliminazione ai rigori nel Canadian Championship per mano di Vancouver – con un Bernardeschi nervoso nei confronti del conterraneo Sartini, allenatore Whitecaps – e una stagione regolare conclusa con cinque sconfitte consecutive avrebbero sollevato dei grossi dubbi sullo stato del progetto tecnico di Toronto. Quelli sull’Ontario erano nuvoloni che promettevano tempesta, un gruppo che a dispetto dei soldi spesi e della reputazione di chi lo componeva tra campo e panchina non solo non avrebbe mai trovato la chimica giusta, ma sarebbe esploso nella maniera più comica e assurda possibile.

Già nel maggio successivo, dopo una sconfitta contro Austin, Bernardeschi sarebbe esploso in conferenza stampa criticando apertamente lo stile di gioco della squadra e le capacità di Bob Bradley, venendo poi escluso per scelta tecnica dalla partita successiva. A giugno, neanche un anno dopo l’arrivo dei due italiani in MLS, Bob Bradley sarebbe stato licenziato, ma con lui non se ne sarebbero andate le inquietudini di spogliatoio, e non solo perché era rimasto Michael Bradley, figlio del tecnico con cui i due italiani avevano sviluppato un rapporto decisamente teso.

Un exposé di The Athletic nel mese di maggio 2023 avrebbe rivelato una cultura di spogliatoio completamente tossica, con comportamenti poco professionali – come l’abitudine di Bernardeschi di fumare sigarette elettroniche in spogliatoio – accuse dei due italiani al resto dell’ambiente, incluse alcune di favoritismo di Bradley a giocatori come Mark-Anthony Kaye, gelosie interne soprattutto tra le due stelle, con l’ex Juventus a lamentarsi di non aver ricevuto da Toronto l’opportunità, garantita invece ad Insigne, di sviluppare una collaborazione con il brand OVO di Drake per una collezione di vestiti a marchio Lorenzo Il Magnifico.

Terminata l’era Bradley e una stagione 2023 disastrosa, conclusa all’ultimo posto della Eastern Conference, Toronto avrebbe provato a ripartire affidandosi a John Herdman, l’artefice della rinascita del calcio maschile canadese, ma la sua era pure sarebbe stata molto corta, anche se non per ragioni legate alla sua avventura in Ontario, quanto piuttosto al ruolo di Herdman nell’utilizzo estensivo di droni per spiare gli allenamenti avversari nelle nazionali canadesi tanto al maschile quanto al femminile. Nella stagione del tecnico inglese, comunque, si sarebbe di fatto consumato quello che è l’addio di queste ore dei due italiani.

Herdman non è stato in grado di rivitalizzare del tutto Toronto, pur guidandola ad una stagione sicuramente migliore rispetto alla precedente, e ha trovato tanti contributi da Bernardeschi, ma la squadra in generale è sempre sembrata in deficit totale di talento, con pochissimi margini di manovra per le rovine lasciate dall’era precedente e con un Insigne sempre più distaccato dal gruppo, fino alla conferenza stampa in cui Herdman, definendo Insigne più interessato alla maglietta di Lionel Messi che a sacrificarsi per la sua squadra, ha di fatto sancito la fine dell’era italiana a Toronto, sforbiciando un legame che non sarebbe più stato recuperabile.

Mediaticamente, il chiodo sulla tomba dell’avventura di Insigne in MLS

Alla fine, l’avventura di Insigne e Bernardeschi si conclude con quarantacinque gol in centosettantaquattro presenze per il duo italiano, ma soprattutto con un record di squadra, dal loro arrivo, di cinquantacinque sconfitte su cento partite esatte giocate in MLS nell’era dei due campioni d’Europa. Sarebbe comunque ingiusto far ricadere le colpe interamente sul duo italiano. Soprattutto Bernardeschi, a Toronto sarà ricordato comunque con un certo affetto, avendo mostrato, sul campo, una professionalità indiscutibile, sacrificandosi per la squadra anche in posizioni di campo – come il terzino – in cui di solito i giocatori più pagati di una franchigia non sono impiegati. Anzi, diciamolo chiaramente: nel 2024 Bernardeschi è stato uno dei migliori esterni difensivi della MLS, guadagnandosi un posto da All Star in quella posizione.

La verità è che i due italiani, al di là dei loro meriti e demeriti, sono più che altro il simbolo di una franchigia che negli ultimi anni è stata gestita in maniera imbarazzante, lasciando l’impressione di improvvisare ogni mossa piuttosto che pianificarla. Anche Insigne, che verrà ricordato con ogni probabilità come il peggiore bust nella storia della MLS per delusione delle aspettative e del prezzo pagato per portarlo in MLS, e che nell’ultima stagione Toronto ha cercato di cedere in ogni maniera possibile, arrivando anche a tenerlo in tribuna per cercare di forzare una cessione, tutto sommato è solo il simbolo di un male più grande.

Quando quest’anno i tifosi di Toronto hanno mostrato uno striscione ironico nei confronti della bandiera del Napoli, lo hanno fatto all’interno di una protesta più ampia contro la proprietà, la Maple Leaf Sports and Entertainment, e in particolare del presidente Bill Manning, che con il suo approccio hands-on è stato il principale artefice di questa era e del suo successivo fallimento, sublimato dal suo allontanamento dalla gestione day-to-day della franchigia, oggi assegnata all’ex calciatore dei Reds Jason Hernandez, a cui spetta la responsabilità di ricostruire da zero una franchigia distrutta dalle montagne russe degli ultimi tre anni.

L’ultimo gol di Insigne in MLS

E dunque da dove può ripartire Toronto? Per la verità non c’è molto. Intorno a questa squadra ci sono praticamente solo rovine. Ma allo stesso tempo, in una lega che si concentra sulla parità e che ha restrizioni di budget molto precisi, avere solo rovine vuol dire avere infinite possibilità per ripartire. Il vero peccato capitale in MLS non è avere una squadra scarsa, ma averne una costosa, e Toronto, da oggi, non ha più un salary cap elefantiaco, anzi, ha il secondo salari più basso della lega dopo quello dei connazionali di Toronto, e l’impressione è che non sia destinato a stare così per sempre.

La proprietà di Toronto in questi anni è stata giustamente criticata e infinitamente criticabile. La loro gestione ha soprasseduto ad uno dei progetti più disastrosi nella storia della lega, e guardando alla loro storia in MLS l’impressione è che questa sia la loro normalità a meno che non riescano a trovare abili manovratori del cap come Tim Bezbatchenko – che dopo aver lasciato Toronto ha vinto due MLS Cup a Columbus ed è ora al Bournemouth. Ma bisogna dare loro il merito di aver ingoiato la pillola dei contratti di Insigne e Bernardeschi, perché farlo vuol dire che la squadra può tornare a sperare di avere un futuro migliore nel medio e lungo periodo.

In situazioni del genere, una proprietà potrebbe benissimo decidere di aver fatto la propria parte, offrendo un budget cospicuo al front office, e di lasciare andare a scadenza quei contratti, bloccando così ogni possibilità di miglioramento della squadra. Con un buyout, invece, la proprietà sarà comunque costretta ad onorare quei contratti fino all’ultimo centesimo, ma li cancellerà dal monte salari, dando non solo più spazio di manovra al club, ma mandando anche un segnale che, quantomeno, sono disposti a continuare ad investire nella squadra. Starà appunto a Hernandez il compito di fare in modo che questi soldi non vadano sprecati, e che la storia della franchigia riesca a trovare un secondo picco di successo dopo la lunga era di Greg Vanney in panchina.

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