La nuova CONCACAF Women’s Champions Cup

La crescita del calcio femminile sta creando tutta una serie di bivi per il movimento. Soprattutto alla luce della recente epidemia di rotture dei legamenti crociati da parte di alcune delle migliori calciatrici al mondo – per un periodo nel 2023, il 25% delle candidate al Pallone d’Oro si è trovata fuori con lo stesso infortunio – il tema del sovraccarico del calendario è uno di quelli fondanti che divide l’intero movimento e che richiede una gestione delicata. Si giocano sempre più partite, forse troppe, ma non solo, queste partite si svolgono in tempi sempre più ravvicinati e con distanze sempre più lunghe da percorrere tra una partita e l’altra.

Il fenomeno non è così dissimile da quello che stiamo vedendo in altri sport femminili, come ad esempio il ciclismo, dove però la differente natura del gioco sta provocando meno infortuni traumatici. Le entità che governano lo sport al maschile vedono sempre più margini economici per guadagnare anche dallo sport femminile, e quindi cercano di replicare il calendario di eventi chiave dello sport maschile in quello femminile. Ma nei decenni di totale disinteresse da parte dei grandi capitali dello sport al maschile, le donne hanno saputo costruirsi un loro calendario, con le loro tradizioni e i loro eventi chiave, e adesso queste due realtà devono trovare il modo di coesistere – o lasciare che una realtà sia cannibalizzata dall’altra.

Nel ciclismo, ad esempio, è il caso del Trofeo Alfredo Binda, monumento assoluto del ciclismo femminile, con una storia cinquantennale, con un percorso simile, anche per zone che attraversa, al giro di Lombardia, e che si svolge nel periodo, spesso nello stesso week-end, della Milano-Sanremo – purtroppo, incidentalmente, le uniche due monumento al maschile senza versione al femminile. Nel calcio femminile, questo si è visto con tornei per nazionali come Algarve Cup o SheBelieves Cup, e con in generale l’assoluta preponderanza delle nazionali, capaci di permettere alle loro più grandi stelle – residuo di un’epoca in cui le giocatrici non avevano club professionistici in cui giocare e i loro stipendi venivano pagati dalle federazioni – di giocare molte più partite a livello di nazionale che di club – Alex Morgan, ad esempio, ha 207 presenze in club professionistici e 224 in nazionale maggiore.

In questo senso, ogni nuova competizione aggiunta al calendario, soprattutto quando non porta benefici economici alle calciatrici, rischia solo di aggravare un problema già consistente, soprattutto dal momento che le nazionali non sembrano intenzionate a ridurre il loro proficuo calendario annuale, anche quando va a riempire dei vuoti testimonianza di una mancanza di rispetto intollerabile da parte delle confederazioni nei confronti del calcio femminile. È il caso della Champions League femminile della CONCACAF, in partenza il venti agosto, prima edizione assoluta di un torneo continentale per club riservato alle donne, la cui assenza aveva reso la confederazione nord, centroamericana e caraibica l’ultima a non averne creato una propria versione, anche dietro all’Oceania – quella asiatica verrà lanciata ufficialmente quest’anno, ma è esistita negli anni precedenti in fase sperimentale con accesso ad inviti.

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I due gruppi da cinque squadre, venutisi a formare in seguito alla conclusione del turno preliminare, in cui allo stadio Cuscatlan di San Salvador le Vancouver Whitecaps sono riuscite a sconfiggere le campionesse salvadoregne dell’Alianza, vedono una ovvia preponderanza del campionato statunitense, il migliore non solo del continente, ma del mondo, e, in seconda battuta della Liga MX, torneo in enorme crescita che ospita giocatrici di altissimo livello come la campionessa mondiale Jenni Hermoso.

Tre sono le squadre statunitensi, con Gotham e San Diego in prima fascia, e quindi in due gironi diversi, in quanto vincitrici dei due trofei assegnati dalla stagione NWSL, rispettivamente l’anello del titolo e lo Shield per la regular season, più le Portland Thorns, squadra con il miglior record in regular season non già qualificata. Il Messico, che come al maschile adotta un formato che divide in due la stagione, ha il Tigres vincitore dell’Apertura, le rivali storiche del Monterrey campionesse del Clausura e il Club America, che ha totalizzato più punti tra i due tornei senza vincerne uno.

Gli altri tre posti con accesso diretto al torneo spettano alle vincitrici dei tre principali campionati dopo i due pesi massimi secondo il ranking della confederazione nord e centroamericana. Per il Costa Rica, come spesso abbiamo visto anche al maschile, c’è il club principale del paese, l’Alajuelense, che pure al femminile potrà contare sul fattore campo e l’atmosfera del bellissimo stadio Alejandro Morera Soto, che tante vittime ha fatto nel torneo maschile.

Non legate a potenze del calcio maschile le altre due partecipanti: le giamaicane del Frazsiers Whip, su cui sono molto scarse le informazioni ma che potranno contare sullo stadio nazionale – tempio dell’atletica – come arena di casa durante il torneo e le panamensi del Santa Fe FC, vincitrici del torneo di Apertura del campionato panamense e allenate dall’argentino Fernando Clavero. Anche queste ultime per la competizione potranno contare sullo stadio della nazionale di calcio, il Rommel Fernandez, con la curiosità aggiuntiva che questo stadio da venticinquemila posti, sia situato a due passi – letteralmente – dal loro stadio abituale, lo stadio Cascarita Tapia, che di spettatori ne può ospitare neanche mille.

La nascita della CONCACAF W Champions Cup, come è nota ufficialmente, si era resa necessaria con urgenza – nonostante, ad esempio, il Canada, una delle principali nazioni in causa debba ancora lanciare la sua lega professionistica, in arrivo nel 2025, e non è chiaro se questa lega professionistica dovrà passare dal turno preliminare anche nelle prossime edizioni o si rivedrà il format – anche visti i piani della FIFA di organizzare, a partire dal 2026, anche un mondiale per club.

A maggior ragione in un calcio che, a differenza di quello maschile, ha i suoi migliori club e le sue migliori giocatrici sparse su più continenti – oltre a Europa e Nord America anche il Sud America, con la lega brasiliana che ospita molte delle recenti finaliste olimpiche, e fino a poco tempo fa pure l’Asia, in cui giocavano dominatrici della recente NWSL come Barbra Banda e Temwa Chawinga – l’idea di costruire un mondiale per club risulta molto attraente per federazioni e tifosi, e che esista, nella testa di appassionati e appassionate, un desiderio di vedere sfide del genere a livello competitivo è dimostrato dalle tante amichevoli che, anche quest’anno, vedono sfidarsi squadre europee in pre-stagione contro franchigie NWSL.

Ne aveva parlato nel 2017 la samoana Sarai Bareman, responsabile FIFA per il calcio femminile, ne aveva parlato nel 2019, in seguito al mondiale francese, Gianni Infantino. Se ne era parlato nel 2022 ma la competizione è stata ufficializzata solo nel maggio 2024, in partenza nel 2026 e con l’idea di svolgerlo su base quadriennale, sull’impronta del nuovo mondiale per club maschile, l’anno precedente rispetto alla coppa del mondo. Ovviamente, come tutte le cose della FIFA che riguardano il calcio femminile, le informazioni sono scarsissime, si muovono molto lentamente e danno l’idea di non essere state pensate adeguatamente: non sappiamo che paese la ospiterà – anche se è legittimo immaginare tocchi a chi ospiterà l’anno successivo il mondiale, e in questo caso sarebbe il Brasile – e sappiamo che vi parteciperanno sedici squadre, ma non sappiamo i dettagli di come si svolgerà la qualificazione o di quale sia la divisione per continenti.

Che direzione debba prendere il movimento calcistico femminile è una delle grandi questioni che devono essere risolte soprattutto con la sempre maggiore attenzione che attira. Il coinvolgimento delle giocatrici è fondamentale e necessario e dovrebbe essere la priorità assoluta, anche per evitare che si ripetano gli stessi errori che hanno caratterizzato lo sport al maschile in questi anni. I primi segnali non sono stati incoraggianti. Pernille Harder, stella del Bayern Monaco, ha affermato che le calciatrici non erano state affatto ascoltate nella fase di organizzazione del mondiale per club. Allo stesso tempo, gli sviluppi successivi sembrano aver preso una direzione che, se non forzata dall’incontro con le calciatrici, quantomeno arriva a fare i loro interessi: il mondiale per club si svolgerà ogni quattro anni, anziché i due inizialmente previsti, e soprattutto, per ridurre l’impatto del calcio per nazionali data l’aumentata importanza di quello per club, le finestre per nazionali sono state ridotte dalla FIFA da sei a cinque.

Inoltre, la nuova Champions Cup, con il suo calendario molto lasco e tranquillo – i gironi finiranno nelle prime settimane di ottobre, e le squadre si sfideranno una volta sola anziché due, mentre semifinali e finali si faranno a maggio 2025, potenzialmente anche in un luogo unico, visti i tre giorni di distanza tra semifinali e finali per il primo e il terzo posto – arriva con l’idea di ridurre al minimo gli spostamenti e essere meno distruttivo possibile sulle calciatrici, e se pure in questo caso non risulta esserci stata una consultazione con le atlete, l’impressione è che i loro interessi siano stati – sorprendentemente, data la storia molto negativa della CONCACAF – tenuti in conto. Allo stesso tempo, così la CONCACAF è riuscita ad inserire nel calendario un torneo fortemente necessario per garantire le giuste opportunità alle atlete e iniziare ad aspirare ad un futuro di pari investimento tra movimento maschile e femminile.

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