Fare i conti con la disfunzionalità di Toronto FC

La scorsa settimana è stata un avvertimento. Con Lorenzo Insigne neanche convocato, la sconfitta sul campo di Austin, arrivata con un gol di Gyasi Zardes che è la sintesi di tutti i mali di questa squadra, è stata salutata con delle dichiarazioni di Federico Bernardeschi di cui era facile comprendere l’obiettivo, e ancora più facile capire che non fossero necessariamente dirette a noi pubblico all’ascolto, quanto piuttosto abbastanza in alto nelle gerarchie della franchigia.

L’attacco di Bernardeschi a Bradley

“Non giochiamo” ha detto Bernardeschi, “facciamo lancioni lunghi. Non abbiamo un’idea di gioco. […] Credo che questa città e questi tifosi non lo meritino, e credo che magari dobbiamo cambiare qualcosa. Abbiamo bisogno di un po’ di tattica. Dobbiamo avere un’idea di come giocare, perché questo è il vero problema per me. È impossibile giocare quando lo facciamo senza idee. […] Non abbiamo una costruzione del gioco, quando un giocatore ha il pallone, non sappiamo come passarla. Questo è il vero problema, perché non lo alleniamo. Perdiamo ogni partita. Pareggiamo, perdiamo, pareggiamo, a volte vinciamo. Ma non posso crederci, onestamente. Questo non è un bene per i giovani. Devono migliorare e crescere con un’idea di calcio, abbiamo bisogno di un’idea di calcio”.

Toronto FC: una bomba pronta a esplodere

Date queste premesse, e dato un inizio di stagione da due vittorie, sette pareggi e cinque sconfitte e un’eliminazione nel Canadian Championship per mano dei rivali di Montreal, il candidato deduca quanto tempo rimanga sul timer della bomba di Toronto prima della sua esplosione. La risposta, probabilmente, sarebbe quella sbagliata. Era chiaro ed evidente che questa situazione non fosse destinata a durare, che esistessero troppe incognite, troppe incertezze e troppe, senza mezzi termini, delusioni, perché questa franchigia potesse continuare nel suo percorso senza grossi scossoni, non fosse altro per le ambizioni con cui è iniziato il progetto.Forse in pochi, però, si potevano aspettare che tutto deragliasse così velocemente dal primo e neanche troppo nascosto momento critico.

L’esclusione di Bernardeschi

Nel venerdì sera italiano Toronto è stata ufficialmente scossa da due notizie. La prima, una sorta di prossimo passo logico in un’escalation tradizionale di situazioni così tese, è stata la conferenza stampa di Bob Bradley in cui il tecnico ha annunciato che nella partita contro DC United Federico Bernardeschi, criticato in quella stessa conferenza per lo sfogo della settimana precedente, non avrebbe giocato per “scelta dell’allenatore”, esattamente come il suo compatriota la settimana prima. Bradley ci ha anche tenuto ad aggiungere che la decisione non metteva in dubbio il futuro di Bernardeschi con la squadra, che è, incidentalmente, anche esattamente quello che si direbbe per placare le voci su un giocatore che sicuramente non ha un futuro in squadra, o che perlomeno non sembra averlo con l’attuale direzione tecnica.

Spogliatoio Toronto FC: un ambiente disfunzionale

La seconda, però, è stata quella decisamente più importante e rumorosa: i giornalisti di The Athletic Tom Bogert, Joshua Kloke e Paul Tenorio hanno pubblicato un dettagliato report sulle situazioni complesse all’interno dello spogliatoio di Toronto FC, frutto di numerose interviste con fonti interne alla squadra, che dipingono un quadro tale da chiedersi come sia possibile che la situazione non sia deflagrata prima. Nell’articolo viene rivelato un ambiente disfunzionale a praticamente ogni livello, in cui i giocatori non si sentono liberi di esprimere le proprie preoccupazioni, in cui si è scavato un solco profondo tra le stelle e lo staff tecnico, tra gli stessi Insigne e Bernardeschi, tra la dirigenza e la squadra, e tra i quattordici giocatori a roster dai ventotto anni in su e i tredici dai ventitré anni in giù. Un ex giocatore di Toronto intervistato nell’articolo è arrivato a definirlo il peggior ambiente della mia carriera.

L’inizio della crisi di Toronto FC

I semi di questa disfunzionalità sono stati piantati tempo fa, a partire da una stagione 2020 al termine del quale Greg Vanney, l’artefice della squadra vincitrice della MLS Cup 2017 e in generale di una delle franchigie più dominanti nella storia della lega, ha lasciato Toronto dopo non aver ottenuto maggiori responsabilità sul controllo dell’intera organizzazione. Quelle responsabilità sono invece rimaste sempre nelle mani di Bill Manning, presidente della franchigia e dei Toronto Argonauts della CFL, con una lunga esperienza non solo in MLS ma nelle leghe professionistiche statunitensi, di fatto l’unico rimasto dell’organigramma che ha portato la MLS Cup in Canada. Nell’articolo, Manning viene pesantemente criticato per il suo atteggiamento, e viene accusato di ritenersi il miglior scout, il miglior negoziatore e in generale la persona più intelligente della stanza, esercitando un controllo totale sulla costruzione della squadra, ma allo stesso tempo viene rimproverata la sua superficialità, che riporta alla mente l’aneddoto, ormai ben conosciuto, in cui per sua stessa ammissione ha ammesso di aver scelto Insigne dopo aver guardato le durate dei contratti della nazionale campione d’Europa su Transfermarkt.

Bernardeschi e Insigne: questione di gelosia?

Ma anche non volendo andare così lontano, i problemi per questo specifico gruppo sono nati praticamente subito dopo l’arrivo di Insigne e Bernardeschi, in particolare concentrandosi sulle gelosie del secondo nei confronti del primo che pure, secondo il presidente Bill Manning, aveva contribuito a reclutare il compagno di nazionale in questa avventura. L’anno scorso i due in almeno un’occasione si sono scontrati pubblicamente, mentre internamente Bernardeschi soffriva il trattamento privilegiato ricevuto da Insigne ai suoi occhi, chiedendo per lui la stessa collaborazione con OVO, e quindi con Drake, avuta dall’ex capitano del Napoli e, nella off-season, dopo appena sei mesi dal suo arrivo, un contratto che gli permettesse di pareggiare i guadagni di Insigne, entrambe proposte rifiutate.

La sigaretta elettronica della discordia

Quest’anno, dopo che in assenza di Michael Bradley e Jonathan Osorio l’ex Napoli è stato scelto come capitano temporaneo, Bernardeschi inizialmente si è rifiutato di scendere in campo per l’allenamento, confermando un atteggiamento da primadonna che molte fonti hanno riportato a The Athletic, con tanto di aneddotica. Da un lato l’ex Fiorentina e Juventus ha fatto un’abitudine dell’usare in spogliatoio una sigaretta elettronica, nonostante più volte gli sia stato detto che fosse vietato portarla in spogliatoio, mentre Insigne è stato indicato come in generale un corpo estraneo alla squadra, che non interagisce particolarmente con i compagni anche a causa del suo scarso inglese, riuscendo a discutere solamente con coloro che parlano italiano e spagnolo.

La battaglia contro Bob Bradley

I due però avrebbero recentemente trovato un terreno comune nella loro battaglia contro Bob Bradley. Insigne in particolare avrebbe fatto sapere il suo malcontento già lo scorso anno, affermando ad alcuni compagni che non sarebbe tornato qualora Bradley fosse stato l’allenatore. L’assenza di cambiamenti in questo 2023 non ha comunque rappresentato un riappacificamento, visto che come confermato anche da Kaylyn Kyle, volto di MLS 360, sul podcast ufficiale della lega Extratime, Lorenzo Insigne non vuole lavorare più con Bradley. Nella giornata libera di lunedì, dopo la sconfitta contro Austin, un gruppo di una decina di giocatori guidati dai due italiani hanno ottenuto una videocall con la dirigenza, in cui hanno avanzato l’idea che alla franchigia servissero “cambiamenti”, neanche troppo velatamente indicando Bradley.

Lo stesso tecnico nella giornata di martedì ha organizzato una riunione con i leader della squadra – Michael Bradley, Sean Johnson, Lorenzo Insigne, Matt Hedges, Jonathan Osorio, Mark-Anthony Kaye e Richie Laryea – per discutere delle parole a mezzo stampa di Bernardeschi, a cui è poi seguita un meeting con tutto lo spogliatoio in cui Bradley e Bernardeschi hanno discusso animatamente, e in cui neanche i tentativi di mediazione di Michael Bradley e Mark-Anthony Kaye sono particolarmente serviti, con Bernardeschi che ha prima evaso l’intervento del centrocampista ex Roma dicendo “ovviamente lo difendi, è tuo padre” e poi quello di Kaye, accusato dall’ex Fiorentina e Juventus di essere “l’altro figlio” di Bob Bradley, anche se in questo caso il termine va inteso metaforicamente.

Quale futuro per il Toronto FC?

Da dove si parte per risolvere questa lotta fratricida? È fuori discussione che, di qui a poco, qualche testa dovrà cadere, non per un’affinità alla ghigliottina di chi scrive, anzi, tutt’altro, ma di fatto perché ogni fazione coinvolta chiede metaforicamente il destino della Medusa per quello che identificano come il principale responsabile di questo stallo da duello finale di un western.

Quello che è da capire è il criterio, e questa è una risposta che ci può giungere solamente dai proprietari della franchigia. Certo, il fatto che il caso scoperchiato da The Athletic ci parli non solo di un profondo solco scavato tra Bradley e i giocatori più rappresentativi della squadra, ma anche tra le due stelle principali della franchigia, ci dice che forse la scelta solitamente scontata di liberarsi dell’allenatore potrebbe non essere l’opzione più probabile, anche perché di fatto l’allenatore e colui che licenzia l’allenatore – il direttore sportivo – sono la stessa persona.

Alla fine, la soluzione più facile potrebbe essere far saltare tutto in aria e ricominciare da capo. Via il tecnico, via il GM, via le stelle della squadra e via i veterani. Il sistema lo permette. Certo, di solito quando si riparte da queste situazioni lo si fa per puntare su un gruppo giovane. Il problema è che Toronto quel gruppo giovane lo aveva, ma lo ha spacchettato qua e là in giro per la MLS – e per l’Europa – così da accumulare veterani e asset economici atti ad acquisirne le prestazioni. Di fatto, Toronto ha fatto la speedrun del normale ciclo di una franchigia. La legge non scritta dice: ogni squadra inizia il suo ciclo giovane, poco costosa e profonda di talento, e lo finisce vecchia, costosa e sottile a livello di roster. Toronto tutto questo lo ha fatto in sei mesi, e senza neanche passare dai playoff.

Era un piano rischioso fin dall’inizio, una sorta di all-in che poteva funzionare ma solo a patto che tutto andasse perfettamente bene, senza neanche un intoppo, e che al primo imprevisto avrebbe potuto azionare un domino di conseguenze negative il cui moto sarebbe stato impossibile da fermare. E qualcosa, ovviamente, è andato storto. Quello che rimpiangerà Toronto, e che li costringerà come minimo ad un retooling significativo, è che queste conseguenze siano arrivate ancora prima di poter celebrare un momento di estasi, dopo neanche un anno dall’inizio della speedrun, andando a dipingere il quadro di uno dei tonfi più rumorosi e spettacolari nella storia della MLS.

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