Il calcio canadese è ad un bivio con le sue nazionali

La nazionale femminile canadese dovrebbe essere nel momento migliore della sua storia. La squadra allenata da Bev Priestman ha vinto, alle ultime Olimpiadi giapponesi, il primo oro olimpico della sua storia e entra nell’anno dei mondiali di Ahitereiria/Australia e Aotearoa/Nuova Zelanda come una delle potenze del calcio mondiale, guidata da giocatrici in alcune delle squadre più forti del mondo come Jessie Fleming e Kadeisha Buchanan al Chelsea, giusto per citarne due, e dalla miglior cannoniera nella storia del calcio per nazionali – maschile e femminile – la quarantenne Christine Sinclair, che magari vuole provare a raggiungere quota 200 reti a livello internazionale – è ferma a 190. Inoltre, in un momento di cambiamenti storici per lo sport canadese, sembra anche sul punto di partire – la stagione inaugurale è prevista per il 2025 – il primo campionato professionistico nella storia del calcio femminile canadese, provvisoriamente titolato Project 8.

 

Insomma, in un momento di snodo cruciale per il futuro del calcio femminile, il Canada dovrebbe festeggiare il suo essere leader nel movimento mondiale e l’eccellenza delle sue atlete che le hanno permesso di arrivare a questo punto nonostante un sistema accidentato e pieno di ostacoli – primo fra tutti, appunto, l’assenza di un campionato locale in cui testarsi con costanza. Eppure nelle ultime settimane il calcio canadese si è fatto notare principalmente per la sua disfunzionalità e anziché celebrare la grandezza delle proprie atlete, si è trovato sul punto di fargli direttamente la guerra.

 

Lo scorso dieci febbraio le calciatrici della nazionale canadese hanno pubblicato un messaggio in cui annunciavano la loro intenzione di andare in sciopero visti i continui tagli imposti dalla federazione al programma nazionale pure nel momento storico di maggiore successo – anche economico – del calcio in Canada, criticando sia l’assenza di Equal Pay e di condizioni di uguaglianza tra le due nazionali sia il più generale disinteresse della federazione verso le richieste di entrambe le nazionali, con le trattative per un contratto collettivo ferme al giugno 2022. Nel messaggio le calciatrici lamentavano di aver ricevuto, a pochi mesi dall’inizio del mondiale, la notizia che sarebbero stati tagliati non solo alcuni giorni di ritiro ma anche intere finestre di raduno per la nazionale, che sarebbe diminuito il numero di calciatrici e staff convocabili per ogni ritiro e che un movimento di nazionali giovanili già ridotto all’osso avrebbe ricevuto ancora meno fondi per lo sviluppo delle giovani calciatrici.

 

Il messaggio della nazionale femminile è stato condiviso dai colleghi uomini, anche loro andati in sciopero lo scorso anno, saltando l’amichevole di giugno contro Panama, per questioni legate al pagamento dei bonus dovuti dalla federazione, e ha rappresentato solo l’ultimo passo di una lunga serie di critiche alla governance della Canadian Soccer Association, l’organizzazione che, tra l’altro, esprime da qualche anno il presidente della CONCACAF, quel Victor Montagliani che ha guidato la federazione canadese dal 2012 al 2017, l’anno successivo alla sua elezione come capo del calcio nord, centroamericano e caraibico. Che sia per incompetenza – come far presentare la nazionale maschile al mondiale senza una nuova maglia perché la federazione non era convinta che la squadra si sarebbe qualificata ai mondiali – o per pura e semplice malvagità – come dimostrato dal rapporto per cui la federazione canadese avrebbe coperto gli abusi sessuali commessi dal tecnico delle giovanili dei Whitecaps Bob Birarda – negli anni la federazione canadese ha dimostrato semplicemente di non essere in grado di gestire delle nazionali e un intero movimento in continua crescita.

 

Il giorno immediatamente successivo all’annuncio, però, lo sciopero è stato sospeso dalle calciatrici dopo aver ricevuto dalla loro stessa federazione, che considera le atlete non in posizione di poter dichiarare uno sciopero sotto il diritto del lavoro dell’Ontario, la minaccia di un intervento legale, con la capitana Christine Sinclair che ha sottolineato come le calciatrici erano state costrette a tornare al lavoro e che ancora non erano state pagate neanche un centesimo per le loro prestazioni nel 2022. L’intervento così rapido della federazione si spiega con il fatto che, nel momento dell’annuncio dello sciopero, le calciatrici erano in ritiro in vista della SheBelieves Cup, il torneo ad invito organizzato ogni anno dalla federazione statunitense e che quest’anno ha visto il Canada tra le partecipanti, una grande occasione di guadagno economico e aumento di visibilità a cui la federazione canadese non era disposta a rinunciare e che, tra l’altro, non è la prima volta che si trova ad essere protagonista di dispute tra una nazionale femminile e la sua federazione.

 

Durante il torneo, comunque, le calciatrici della nazionale canadese non si sono limitate a giocare, ma hanno continuato la loro protesta nei confronti della federazione, prima strappando una pagina dal libro dello USWNT e scendendo in campo per il riscaldamento pre-partita con le divise indossate all’incontrario per nascondere il logo della federazione, e poi unendosi proprio allo USWNT in vista dello scontro tra le due nazionali in una protesta unificata contro le discriminazioni di genere – le canadesi indossavano una maglietta viola con scritto “Enough is enough”, mentre viola erano anche i nastri indossati intorno al braccio dalle atlete statunitensi – e anche contro la transfobia – indossando nastri bianchi intorno al braccio con la scritta “Defend Trans Joy”. La squadra ha anche preannunciato che le proteste non sarebbero finite con la SheBelieves Cup, anticipando subito le proprie intenzioni di boicottare il ritiro della nazionale previsto per il mese di aprile qualora non fossero state garantite condizioni lavorative migliori.

 

Per capire meglio sulla base di quali ragioni nascano queste dispute tra federazione e squadre nazionali, dobbiamo citare un accordo chiave stretto dalla Canadian Soccer Association con il Canada Soccer Business, una compagnia privata fondata dai proprietari della Canadian Premier League, nata per rappresentare, promuovere e vendere asset calcistici canadesi come sponsorizzazioni e diritti televisivi. La CSB ha una struttura molto simile alla discussa SUM, la Soccer United Marketing formata dai proprietari MLS nel 2001 che ha stretto una lunga e proficua relazione commerciale con la USSF e continua a lavorare insieme alla federazione calcistica messicana. L’accordo, firmato nel 2018 e con durata decennale, viene visto negativamente dalle squadre nazionali, che ne criticano la poca trasparenza, come scritto da Jessie Fleming in un post su Instagram. Nel suo post su Twitter in cui mostrava sostegno allo sciopero delle calciatrici, il centrocampista di Toronto FC Mark-Anthony Kaye criticava l’allocazione dei guadagni ottenuti grazie alla ritrovata eccellenza delle due nazionali, che invece di venire reinvestiti in programmi a livello federale o proprio per supportare le nazionali per mano di un’organizzazione no-profit come la CSA vanno a supportare “una minor league” for-profit come la Canadian Premier League.

 

Verso la fine del mese la situazione è giunta ad un punto di rottura, con i presidenti delle tredici federazioni regionali – una per ciascuna provincia del Canada – che hanno inviato una lettera alla federazione sfiduciandone il presidente Nick Bontis. Subito sono arrivate, come da richiesta, le dimissioni del cinquantatreenne presidente federale, aprendo di conseguenza un nuovo fronte per le trattative una volta ottenuto il primo traguardo importante della protesta da parte delle due nazionali, ovvero la rimozione della leadership responsabile per l’inasprimento delle relazioni.

 

La rimozione di Bontis, per quanto il presidente rappresentasse solo una piccola parte di un problema ben più grande e sistemico, ha aperto dei margini di trattativa, e sotto la guida della nuova presidentessa ad interim Charmaine Crooks, ex velocista e medaglia d’argento nella staffetta 4×400 alle Olimpiadi del 1984, le due parti sono rapidamente riuscite ad arrivare ad un accordo temporaneo che possa scongiurare un altro rischio di sciopero e garantire alla nazionale femminile i pagamenti non ricevuti per le loro prestazioni nel 2022. Per quanto importante, comunque, si tratta pur sempre di un primo passo che non può non essere l’inizio di una lunga serie, pena la non risoluzione di una questione così delicata che rischia di rovinare la crescita di un movimento che tra tre anni ospiterà i mondiali maschili insieme a Messico e Stati Uniti.

 

La ricerca di un nuovo Collective Bargaining Agreement – CBA, il contratto collettivo – che possa magari unire le nazionali maschili e femminili e inserirsi nella storica scia aperta dall’accordo trovato tra la USSF e le sue due rappresentative nazionali, è il passo fondamentale e necessario per chiudere finalmente questa pagina e placare le proteste provenienti dalle due squadre. Come anche successo nel caso della lotta per l’Equal Pay dello USWNT, in supporto della forza lavoro sembrano pronte ad intervenire alcune tra le compagnie che sponsorizzano le nazionali canadesi. In una lettera inviata alla federazione in seguito alla notizia dell’accordo temporaneo sui fondi da pagare alla nazionale femminile per il 2022, la compagnia GE Appliances, sponsor della CSA, ha espresso la sua preoccupazione per la disputa in corso dicendosi disponibile a stanziare fino a centomila dollari in una sponsorizzazione aggiuntiva “esplicitamente diretta al supporto del programma femminile”.

 

Quello che ci insegna questa diatriba è sì che il sessismo istituzionale è ancora rampante nello sport canadese, ma ci racconta anche qualcosa di più, perché questa, fin dall’inizio, non è mai stata una battaglia concentrata esclusivamente sul tema dell’Equal Pay. Da questa prima fase delle trattative la federazione calcistica canadese ne esce come un’organizzazione dilettantistica a cui è stato chiesto di gestire un colosso sportivo sempre più preponderante all’interno della scena canadese. La Canadian Soccer Association, per anni una minuscola entità che ha operato nel disinteresse più totale, facendo giocare partite decisive per la qualificazione ai mondiali in parchi pubblici in alcune delle zone più fredde del paese, si è vista esplodere tra le mani un fenomeno di dimensioni nazionali, la crescita di un movimento calcistico per anni semi-inesistente, uno dei pochi al mondo senza alcun accenno di professionismo, e alla prova dei fatti si è semplicemente dimostrata inadatta a gestire un fenomeno di queste proporzioni. A questo punto, con anche in mente tutto quello che aspetta la federazione nei prossimi anni, il cambiamento è necessario e non può più essere posticipato, e la sua riuscita dipende in maniera considerevole dalla propria capacità di sostenere i propri atleti e le proprie atlete nella loro missione quasi evangelica di rendere il calcio uno degli sport più amati del paese.

 

P.S. Mentre mi preparavo a pubblicare questo articolo, la Canadian Soccer Association ha pubblicato sul suo sito un articolo che delinea il loro approccio alle contrattazioni per la CBA con le due nazionali, enumerando le proposte fatte dalla federazione già lo scorso giugno – e che secondo la loro definizione renderebbe la nazionale femminile la seconda più pagata al mondo dopo gli Stati Uniti – e elencando i punti presentati dalla nazionale femminile nell’incontro del nove febbraio – il giorno precedente all’annuncio di sciopero – e che la federazione si è impegnata a garantire durante la fase di trattative. Le prime proposte prevedono: eguali premi presenza ed eguali bonus – tremilacinquecento dollari a testa e fino a cinquemilacinquecento dollari in base alla forza dell’avversario secondo il ranking FIFA – un premio identico di un milione e centocinquantamila dollari per la qualificazione ai mondiali e la unione e suddivisione dei premi in arrivo dalla FIFA per i mondiali, per provvedere, stando alle parole della federazione che sono una tutt’altro che sottile provocazione alla FIFA stessa, “un eguale pagamento in un mondo ineguale”.

 

Le richieste delle calciatrici, invece, sono: un budget per la preparazione del mondiale 2023 comparabile a quello ottenuto dagli uomini per la preparazione al mondiale 2022. Un rapporto preciso del budget della nazionale maschile nel 2022 e la garanzia di condividere i futuri budget con entrambe le nazionali. Un rapporto dettagliato della proposta di compensazione della federazione. Voli charter per la partita di qualificazione alla Gold Cup 2024 contro la Giamaica, stanze singole per ciascun’atleta in ritiro, uno chef per il mondiale 2023, una garanzia scritta dell’adesione a tutti questi punti firmata dagli alti ufficiali federali e almeno una partita casalinga da giocare prima del prossimo mondiale.

 

In attesa di altri e nuovi aggiornamenti, per adesso dovrebbe essere veramente tutto.

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