Fuori dal sommerso – ep2
Secondo Google Maps ci vogliono ventisei minuti a piedi per completare il tragitto che unisce le Marchetti Towers, un gruppo di edifici che vengono utilizzati dall’università di St. Louis come alloggi per i propri studenti, e il nuovissimo Centene Stadium, lo stadio, completato la scorsa estate, che dalla stagione 2023 ospiterà le partite casalinghe di St. Louis SC, la ventinovesima franchigia della Major League Soccer. La strada è abbastanza semplice, per lo più dritta e con pochi cambi di direzione, tanto da far pensare che anche chi ha poco senso dell’orientamento potrebbe completare il tragitto senza troppe difficoltà. Si prosegue su Laclede Avenue passando in mezzo alle strutture sportive del campus – tra cui l’Herrmann Stadium, lo stadio delle squadre di calcio dei Billikens di SLU – fino a che la strada non sfocia su North Ewing Avenue. Si gira a destra e poi subito a sinistra, e da lì si prosegue sulla Market Street, il più classico degli stradoni statunitensi che sembrano dimenticare l’esistenza dei pedoni (fate attenzione, nel caso!) fino a che non si vedono spuntare le forme squadrate bianche e a vetri, con lunghe e sottili colonne che sembrano vagamente ricordare lo stile di Oscar Niemeyer a Brasilia, del nuovo Centene Stadium. Apparentemente è un tragitto come un altro. Uno che magari possiamo attenderci di vedere da qualche studente universitario – la MLS ha un pubblico più giovane rispetto alle altre leghe professionistiche statunitensi, grazie ai prezzi più contenuti dei biglietti – ma a parte questo, relativamente dimenticabile.
A rendere speciale questo percorso pedonale però è quello che ha scoperto nel 2007 la Society for American Baseball Research, che in quell’anno ha potuto dichiarare con certezza che le Marchetti Towers erano state costruite laddove prima, fino a circa un centinaio di anni fa, c’era uno stadio, noto nel corso del tempo con vari nomi, il più celebre dei quali è Handlan’s Park, principalmente dedito ad ospitare il baseball – in particolare i Terriers della poco longeva Federal League e i Giants della prima iterazione della Negro League – ma che ha svolto un ruolo importante anche nella storia del calcio statunitense. Addirittura, proprio al calcio si devono le ultime notizie sull’esistenza dello stadio, la stima minima della sua sopravvivenza prima di fare posto a qualche altro progetto, stima che curiosamente sta proprio per raggiungere un proprio anniversario significativo. Poco meno di cento anni fa Handlan’s Park ospitò gli ultimi due eventi noti della sua storia, ovvero le finali della US Open Cup, il più longevo torneo di calcio statunitense, per le stagioni 1922/23 e 1923/24. In entrambi i casi la squadra locale uscì sconfitta dalla finale, e nel primo dei due casi addirittura gli Scullin Steel non si presentarono dopo il pareggio 2-2 dell’andata, consegnando così alla storia l’unica US Open Cup vinta a tavolino, dal Paterson FC. Nel 1924, invece, il Vesper Buick perse contro i rappresentanti di una delle prime capitali del calcio statunitense, i Fall River Marksmen della cittadina del Massachusetts in cui l’industria tessile aveva fatto approdare molti immigrati inglesi e portoghesi, con il conseguente sbarco anche del loro gioco preferito.
Da quel giorno in poi le tracce dello stadio sono come scomparse, portando anche, visto che una soluzione al mistero si è ottenuta solo nel 2007, a incertezze anche sulla posizione esatta della struttura – non vi nascondo che prima di scoprire questo salvifico link io stesso ho speso qualche ora su Google Maps a cercare di decifrare le sconclusionate indicazioni date dall’unica mappa che ero riuscito a trovare e che indica tutte strade che esistono anche oggi ma che non si trovano affatto l’una vicino all’altra – ma gli almanacchi della US Open Cup hanno conservato, almeno per nome, l’esistenza di questo luogo mitologico, ed è grazie a loro che oggi possiamo chiamare Handlan’s Park come un punto chiave nella storia del professionismo statunitense.
Si potrebbe affermare che la vera casa del calcio a Saint Louis debba essere lo Sportsman’s Park, il luogo in cui, come abbiamo scoperto nel primo episodio, si è giocata la prima partita di calcio nella storia della città del Missouri. Se però nonostante sia possibile sostenere anche l’ipotesi contraria mi trovo ancora ad identificare l’Handlan’s Park come centro nevralgico e punto di svolta nel far diventare realmente St. Louis “Soccer City USA” è perché in effetti è in quel luogo che il mondo, o meglio, gli Stati Uniti, o ancora meglio, la East Coast, si sono resi conto che anche nel calcio stava iniziando la corsa verso Ovest. Nel 1920 i Ben Miller furono i primi finalisti della US Open Cup a non venire dalla costa Est, e proprio a Handlan’s Park riuscirono a vincere il trofeo contro i Fore River di Quincy, Massachusetts. Era il primo trofeo nazionale nella storia cittadina, e rappresentò l’ingresso sulla scena di una città in grado di combattere ben oltre la propria categoria di peso e di uscirne spesso vincitrice. Per trovare una squadra più ad Ovest di St. Louis a vincere la US Open Cup dobbiamo arrivare fino al 1958, quando iniziò il dominio losangelino sulla coppa nazionale statunitense con il trionfo dei Los Angeles Kickers, e anche prima di quel momento l’unica città in grado di strappare qualche trofeo alle potenze della East Coast furono quelle di Chicago, la terza metropoli più grande degli Stati Uniti – St. Louis, per capirci, è il ventunesimo mercato del paese.
Negli Stati Uniti si direbbe che Saint Louis ha, nel corso degli anni, “punched above its weight”. In italiano, preferiamo dire, più prosaicamente, che la città del Missouri ha viaggiato ben più in alto di quelle che potevano essere le aspettative. Nessun altro dato statistico che potrei tirare fuori da qui in poi credo possa incapsulare perfettamente il valore e l’importanza di Saint Louis all’interno della cultura calcistica statunitense. Dal momento che per decenni lo sport è sopravvissuto grazie a squadre semi-professionistiche o amatoriali, con pochissimo potere di reclutare giocatori forti da altre parti del paese, le prestazioni sul lungo periodo nella US Open Cup, il più antico trofeo del calcio statunitense, è il modo migliore per comprendere in quali luoghi si sia sviluppata organicamente una cultura calcistica. E non dovrebbe sorprenderci, dunque, se Saint Louis abbia ottenuto questo successo nella coppa nazionale, perché proprio a Saint Louis era nata la prima lega professionistica – e la prima squadra professionistica – di tutti gli Stati Uniti.
Originariamente una sezione della St. Leo’s Sodality, un’organizzazione cattolica – e se avete letto il primo episodio non dovreste essere sorpresi da questa notizia – il St. Leo’s iniziò a giocare in una lega locale nei pressi di Forest Park, il gigantesco parco pubblico che occupa la parte più ad ovest del corridoio della downtown cittadina che come suo altro termine ha il Gateway Arch. Presto però iniziarono a dominare le leghe locali passando in pochi anni a quelle cittadine. Nel 1905 la squadra si unì alla Saint Louis Association Foot Ball League e, in seguito alla fusione, nel 1907 passò alla Saint Louis Soccer League. In questo periodo diventarono la prima squadra pienamente professionale dell’intero paese, ma soprattutto, potenzialmente, tra i primi campioni nazionali degli Stati Uniti.
Il 29 dicembre del 1912, stando ad un trafiletto del New York Times, il St. Leo’s sconfisse con un punteggio di 3-2 il West Hudson di Harrison, NJ – fun fact: è la città in cui si trova la casa dei New York Red Bulls – laureandosi campioni nazionali e scucendo il titolo dal petto – ammetterò di essere ridondante, l’usanza dello scudetto sul petto non sarebbe nata di lì a poco – alla squadra del New Jersey. L’unico problema di questo trafiletto è che non sembrano esserci altre fonti di questo titolo nazionale, e non è neanche ben chiaro a che tipo di titolo si riferisca di preciso il New York Times. La US Open Cup non sarebbe nata prima del 1914, e all’epoca l’unico titolo di rilevanza “nazionale” – sarebbe meglio dire pluri-regionale – era la American Cup, che in effetti West Hudson ha vinto per ben tre volte, ma che non conta il St. Leo’s tra i suoi vincitori. Anzi, a dir la verità, non conta nessun vincitore, o neanche finalista, al di fuori della costa est degli Stati Uniti – o per meglio dire, il triangolo New York-New Jersey-Massachusetts – e la presenza del già citato West Hudson come campione nel 1912 toglie ogni dubbio riguardo al fatto che la American Cup sia il trofeo vinto, secondo il New York Times, dal club di Saint Louis.
L’opzione più probabile è che quel titolo di “Campione degli Stati Uniti” fosse un titolo non ufficiale, il risultato di un’amichevole giocata dalla migliore squadra di Saint Louis in tournée nella East Coast. Per quanto neanche questo scenario possa essere confermato con certezza, sappiamo che nel 1916, proprio nel periodo natalizio, i Betlehem Steel vincitori della American Cup andarono in trasferta a Ovest, Saint Louis inclusa. Pur avendo vinto anche la seconda edizione della US Open Cup, però – e Betlehem detiene il record di titoli con cinque vittorie in coabitazione con i Maccabee Los Angeles – qualcuno in The Lou storceva il naso nel definire campione nazionale una squadra che non avesse conquistato, calcisticamente parlando, l’altra sponda del Mississippi.
Qualunque sia il valore che si possa assegnare a quel trafiletto, comunque, certo non va a svuotare significativamente il palmares della squadra, che in quegli anni, molto semplicemente, dominava il calcio a Saint Louis. I biancoblu, come venivano soprannominati a causa del colore delle loro magliette, vinsero otto edizioni consecutive del campionato cittadino, con un dominio tale per cui in alcune stagioni riuscirono ad alzare il trofeo pur avendo giocato meno partite rispetto alle altre squadre. Un po’ come a quell’epoca Girardengo nel ciclismo italiano, la dominazione aveva iniziato a stancare le rivali locali, e nel 1913/14 la rivalità portò ad una scissione – “il soccer non è bello se non è litigarello” potrebbe quasi essere un motto da stampare sul logo della USSF – tra la completamente professionale Federal Park League e l’amatoriale Robison Field League. Ovviamente, il St. Leo’s dominò anche le uniche due edizioni del campionato scisso, ma, quasi all’improvviso, quello fu l’ultimo apice della prima grande storia di successo del calcio locale. Una volta riunitesi le due leghe, il St. Leo’s non riuscì più a vincere, e nel 1918 l’organizzazione cattolica che dava il nome alla squadra tolse il suo supporto economico, forzando un cambio di nome nei Saint Louis Screws.
La storia del St. Leo’s fu una storia di dominio, ma ancora non ci avvicina a capire perché la città del Missouri sia così in alto nella lista di vittorie della US Open Cup. La prima edizione del torneo si svolse proprio nell’anno della scissione all’interno del calcio a Saint Louis e il St. Leo’s non partecipò mai alla competizione. Per vedere una vittoria di Saint Louis bisogna aspettare l’edizione immediatamente successiva alla fine della prima guerra mondiale. La National Challenge Cup del 1919/1920 ha un posto particolare nella storia della competizione essendo stata la prima edizione in cui tutte e quattro le semifinaliste in precedenza non si erano mai qualificate neanche ad una finale della competizione.
La fine del primo conflitto mondiale e il ritorno dei militari statunitensi avevano immediatamente rinvigorito l’atmosfera della competizione, reduce da due edizioni con un roster di squadre ridotto proprio a causa delle tante defezioni e con un significativo cambiamento delle gerarchie all’interno del calcio statunitense. Non solo Saint Louis, rappresentata dai Ben Millers, una squadra dalla particolare divisa marrone con i classici bottoni del baseball e sponsorizzata dalla Ben Miller Hat’s Company, ma anche Quincy, MA e Detroit, rappresentate rispettivamente dai Fore River Rovers e dal Packard esordivano per la prima volta sul palcoscenico più importante del soccer. Alla fine quel trofeo sarebbe stato vinto proprio dai Ben Millers in finale dopo un 2-1 su Fore River, dando così inizio ad una striscia di sei finali consecutive di Challenge Cup con una squadra di Saint Louis.
Il calcio in Missouri non era solo un successo di campo. Alla fine di quella National Challenge Cup, nel meeting annuale della USFA, l’allora organo governativo dello sport negli Stati Uniti, venne rivelato che tutte e quattro le partite dell’edizione 1919/1920 giocate a Saint Louis battevano per incasso al botteghino tutte le altre partite giocate. I Ben Millers, che in quella stagione strapparono anche uno dei loro sette titoli cittadini, non vinsero altre edizioni della coppa, tornando in finale solo nella stagione 1925/1926 e venendo sconfitti per 7-2 dai Betlehem Steel, che ottennero così il quinto e ultimo trofeo della loro storia da record nella US Open Cup/National Challenge Cup.
A portare avanti la striscia consecutiva di finali per una squadra di Saint Louis fu dunque la grande rivale dei Ben Millers, il Saint Louis Scullin Steel, o, per brevità, solo Scullin Steel. Nati nel 1918/19 ed immediatamente campioni cittadini, lo Scullin Steel si sarebbe alternato alla testa della Saint Louis Soccer League con il Ben Millers per quattro anni, qualificandosi però nel frattempo per tre finali di coppa consecutive, compreso il forfait nel replay della finale 1922/23 contro il Paterson, condite però da una sola vittoria, nel 1921/1922, in finale contro i newyorchesi del Todd Shipyards. Lo Scullin Steel prendeva il nome da una compagnia nel campo dell’industria siderurgica nata nel 1899 e che avrebbe chiuso la sua gigantesca fabbrica su Manchester Avenue nel 1981, cinquantasei anni dopo la fine della loro esperienza nel calcio. Al suo posto oggi, appena prima di dove ferrovia e superstrada si baciano, c’è un centro commerciale, ma se si guarda dal lato opposto del mastodontico parcheggio, al 6691 di Manchester Avenue, la scritta verde della Scullin Steel Co. spicca ancora sul colonnato di quella che è a metà tra una magione in stile coloniale nel sud degli Stati Uniti e un edificio razionalista a Roma.
Dopo la striscia positiva dello Scullin Steel, nel 1923/24 fu il Vesper Buick a qualificarsi per la finale dell’allora National Challenge Cup. La squadra era sponsorizzata dall’azienda automobilistica Vesper Buick, la cui sede si trovava a pochi minuti di cammino dal vecchio Handlan’s Park. Negli anni la sede ha fatto la stessa fine dello stadio, e adesso al suo posto c’è – scherzo del destino – un parcheggio. Il palazzo però, iscritto nel registro dei luoghi storici degli Stati Uniti, non è stato demolito, e la cornice di terracotta che adornava il palazzo del 1927 si può trovare oggi al City Museum di Saint Louis. Il passaggio altrimenti momentaneo del Vesper Buick dà inizio ad una fase particolare per il calcio locale, un periodo fatto di delusioni. Proprio negli anni in cui il calcio statunitense sembra sul punto di esplodere, tra una semifinale mondiale e la crescita della American Soccer League non ancora strangolata dalla FIFA, dalle lotte intestine e dal crollo della borsa, Saint Louis non sembra in grado di fare di nuovo l’ultimo passo. Detto della sconfitta in finale dei redivivi Ben Millers, nel 1928/29 il Saint Louis Madison Kennel perse contro i New York Hakoah, forse la squadra più forte nella storia del calcio statunitense, composta parzialmente da giocatori del leggendario Hakoah Vienna campione d’Austria nel 1924/25 tra cui Bela Guttmann.
Le sconfitte continuarono nel 1932, la seconda edizione della coppa giocata su base annuale e non sul calendario tradizionalmente associato ai principali campionati europei. La sconfitta in due partite contro i New Bedford Whalers rappresentò però l’inizio di una striscia particolare per quella che è con ogni probabilità la più grande squadra nella storia del soccer a Saint Louis, nonostante la sua storia sia confusionaria, o forse proprio per quello, visto che l’ingarbuglio sembra essere il filo conduttore nella vita sommersa del calcio statunitense.
Che si chiamassero Stix, Baer & Fuller – il nome con cui ci riferiremo a loro da qui in poi – o St. Louis Central Breweries o Saint Louis Shamrocks, la squadra che aveva iniziato la sua avventura nel 1929 con un nome ancora diverso, Hellrungs, ha partecipato a sei finali consecutive della US Open Cup, vincendone tre di fila tra il 1933 e il 1935, anni in cui vinsero anche la lega calcistica cittadina. Il particolare nome con cui ottennero i primi risultati – incluse due delle tre coppe nazionali – deriva dal gigantesco centro commerciale, oggi demolito, che occupava un intero blocco nella downtown cittadina, dove adesso si trova il Dome casa, fino a qualche anno fa, dei Saint Louis Rams.
Proprio il grande supporto economico da parte di una delle più importanti aziende cittadine ha permesso alla squadra di attrarre i migliori calciatori non solo di Saint Louis, ma anche dell’intero paese. Ai mondiali del 1934, anno in cui lo Stix, Baer & Fuller avevano battuto i Pawtucket Rangers dopo una serie finale che aveva necessitato anche di una terza partita, la squadra di Saint Louis fu una delle tre ad avere quattro giocatori convocati dall’allenatore David Gould. Tra di loro però c’era anche un nome il cui nome tradisce origini non solo di un altro paese europeo, ma anche di una zona degli Stati Uniti diversa dal Missouri. Billy Gonsalves è stato il Babe Ruth del calcio statunitense, un calciatore fenomenale che, nella sfiga di essere nato in un paese in cui il calcio non era lo sport più remunerativo ha almeno avuto la fortuna di nascere in tempo per vedere uno dei pochi tentativi di calcio veramente professionale nella storia del paese. Forse il primo unicorno nella storia del gioco, Gonsalves era alto un metro e ottantotto, esattamente quanto l’icona dei New York Yankees, aveva un tiro fortissimo e ha giocato a calcio per venticinque anni, iniziando a diciotto anni e finendo a quarantatré.
Gonsalves, come si capisce dal nome, è di origine portoghese, e nel mondo del calcio statunitense questo pone le sue radici in un luogo molto preciso, il Massachussetts, la cui folta colonia portoghese era uno di quei gruppi di immigrati che avevano popolarizzato il calcio nella East Coast. Il primo club di Gonsalves era il Lusitania Recreation Club e anche se lui non ci ha mai giocato, una delle squadre a cui la piccola cittadina di Fall River deve la sua fama calcistica si chiamava Ponta Delgada, come la città delle Azzorre.
A portare a Saint Louis Billy Gonsalves e Bert Patenaude, altro figlio di Fall River che non partecipò ai mondiali italiani ma che è nella storia per aver segnato la prima tripletta nella storia della coppa del mondo, nel 1930 contro il Paraguay – a dimostrazione di quanto il Missouri fosse l’El Dorado calcistico statunitense anche dopo il fallimento della American Soccer League – fu Alex McNab, ex leggenda del Greenock Morton il cui passaggio negli Stati Uniti ha rappresentato una sorta di antenato dell’arrivo di Pelé ai Cosmos o di quello di Beckham ai Galaxy, il primo momento in cui il soccer si è messo sulla mappa del calcio mondiale. McNab, dopo anni di successi tra Boston e Fall River convinse i suoi due ex compagni a viaggiare con lui verso ovest, ad andare nella squadra di cui lui, a quasi quarant’anni, era allenatore-giocatore. Con la maglia dei Central Breweries, nel 1936, dopo aver vinto la terza National Challenge Cup, Gonsalves segnò anche il gol con cui la squadra statunitense riuscì a pareggiare una delle partite giocate a Saint Louis dal Botafogo, club in cui all’epoca giocava Leonidas, l’attaccante che due anni dopo avrebbe terrorizzato le difese del mondiale francese.
Here's our 1933 winners, in glorious black and white https://t.co/9GM2MmvH14 pic.twitter.com/Ns2wHXKjUV
— U.S. Open Cup (@opencup) January 17, 2023
Billy Gonsalves è il secondo da sinistra inginocchiato. Primo da sinistra è l’allenatore-giocatore di quella squadra, Alex McNab
Siccome però la storia che stiamo raccontando si svolge negli Stati Uniti, e tendenzialmente prima di trent’anni fa qualsiasi cosa bella accadesse allo sport era destinata ad estinguersi per autocombustione con la stessa rapidità con cui aveva iniziato a brillare, mentre Leonidas segnava sette gol in quattro partite in Europa, la leggenda dei Stix, Baer & Fuller era terminata, e nemmeno l’ennesimo cambio di nome in Shamrocks riuscì a farli sopravvivere. La sconfitta in finale di coppa nazionale contro i New York Americans del 1937 resta l’ultima partita nella storia della squadra. In meno di dieci anni lo Stix, Baer & Fuller era riuscito a costruire qualcosa di unico. La finale d’andata contro i New York Americans nel 1933 giocata Sportsman’s Park vide 15.200 spettatori paganti, una cifra che una finale di National Challenge Cup/US Open Cup non avrebbe superato fino al 1998. Con ogni probabilità, quello è stato l’apice del calcio a Saint Louis. Anche in calando però, il movimento calcistico locale ha continuato a battere colpi.
Dei dieci titoli di Saint Louis nella più longeva competizione nazionale, cinque sarebbero arrivati dopo l’epopea dello Stix, Baer & Fuller, ma ci sarebbero voluti tredici anni prima che la coppa venisse alzata di nuovo all’ombra del Gateway Arch. Nel 1948 i Saint Louis Simpkins-Ford, al loro primo anno di esistenza dopo che l’imprenditore Joe Simpkins, proprietario di una concessionaria Ford, prese a sponsorizzare una piccola squadra amatoriale che prima prendeva il nome da un tale signor Carrenti, dominarono la coppa nazionale nonostante le difficoltà nel campionato cittadino. Due anni dopo si ripeterono in finale contro il già citato Ponta Delgada di Fall River – anche se, e qui cerco di limitare lo spoiler, quello non fu il punto più alto del 1950 per buona parte del roster.
Poi, nel 1957, i Saint Louis Kutis alzarono anche loro per la prima volta la coppa nazionale. L’anno successivo, per la prima volta, il trofeo finì in California, alzato dai Los Angeles Kickers, dando inizio ad una nuova fase nella storia del calcio statunitense. La corsa all’ovest del soccer aveva ripreso a marciare, trovando in una nuova comunità ricca di popolazioni migranti appassionate di calcio un nuovo terreno fertile per mantenere la sua esistenza segreta ma comunque viva. Saint Louis, da sempre nella mitologia americana la porta verso Ovest, aveva rappresentato non solo una tappa cruciale, ma anche la chiave con cui aprire al calcio nuove sterminate praterie verso occidente.
Il movimento sembrava essersi mosso in un’altra direzione, l’attenzione della scena calcistica locale ad un’altra attrazione: nel 1959 i Billikens dell’università di Saint Louis vinsero il primo titolo nazionale del calcio NCAA. Eppure, in attesa di vedere magari un giorno la nuova franchigia MLS alzare la US Open Cup al cielo, gli anni ’80 presentarono un ultimo canto del cigno. Dal 1984 al 1989 le finali della coppa nazionale ebbero tutte come sede neutra – una rarità per la competizione, soprattutto in anni con così poco interesse – il Saint Louis Soccer Park. Situato nei sobborghi a sud della downtown, il luogo oggi noto come World Wide Technology Soccer Park è un centro sportivo con cinque campi da calcio regolamentari, uno dei quali è posizionato al centro e possiede tribune capaci di ospitare quasi seimila spettatori. L’intero centro è oggi di proprietà del Saint Louis Scott Gallagher, uno dei migliori settori giovanili non-MLS del paese, e lo stadio al centro del campus è stato la casa del Saint Louis FC, squadra di USL legata allo Scott Gallagher e che ha terminato la sua attività con l’annuncio di Saint Louis City SC come espansione MLS.
In questi anni Saint Louis non dominò la competizione, e solo tre delle cinque finali ebbero come protagonista squadre locali, ma dopo tanto silenzio tornò a battere un colpo. Furono proprio i Saint Louis Kutis nel 1986 a riprendere il discorso interrotto ventinove anni prima battendo 1-0 i San Pedro Yogoslavs. Ancora oggi nessuna squadra ha saputo vincere due trofei a distanza di così tanto tempo. Due anni dopo invece, nel 1988, i St. Louis Busch Seniors sconfissero 2-1 il Greek American Athletic Club di San Francisco, diventando la sesta squadra diversa di Saint Louis a vincere la US Open Cup, cifra che sarebbe da record nazionale se non esistesse la Grande Mela e le sue diciassette squadre diverse con almeno un trofeo.
L’eredità di tutte queste squadre con nomi bellissimi e di queste svariate leghe, però, non è un’eredità che termina sulle sponde del fiume Missouri. Il Gateway Arch non è la torre di guardia che protegge come una muraglia tutto ciò che è rimasto di quell’esperienza. Il professionismo calcistico a Saint Louis e il loro dominio a livello nazionale hanno avuto modo di scrivere pagine importanti del calcio mondiale. Questo perché prima di un silenzio pluridecennale, nel calcio pioneristico dagli anni ’30 al 1950 gli Stati Uniti avevano fatto sentire la loro voce a livello mondiale, con una semifinale nel mondiale inaugurale del 1930 e una storica vittoria contro gli inglesi nel 1950, e nei risultati di quelle squadre non è possibile ignorare l’importanza del ruolo svolto dal talento calcistico di The Lou. La materia è ampia e degna di un episodio tutto suo, più nello specifico, il prossimo di Fuori dal sommerso.
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