All About Union: l’armonia sulla riva del Delaware
Dobbiamo partire da quella che, ad oggi, è la fine. L’imperativo è inevitabile, anche se si potrebbe ritenere che, in generale, nelle narrazioni contemporanee, l’inizio in medias res sia un meccanismo abusato. Questa è una di quelle storie che un meccanismo narrativo del genere è nato per raccontare. Dobbiamo dunque iniziare dal sesto gol dei Philadelphia Union nella loro demolizione dei Colorado Rapids dello scorso weekend. Arriva a novantesimo minuto inoltrato ed è firmato da Matt Real, professione terzino sinistro, anche se momentaneamente adattato a perno sinistro del rombo di centrocampo, come dimostra il fatto che l’assist venga effettuato da un altro terzino sinistro, Kai Wagner, e che io di cose strane su un campo da calcio ne ho viste ma una squadra con due terzini per fascia mai. Il gol potrebbe non sembrare particolarmente speciale. Anzi, appare talmente ridondante che viene da pensare che qualche tifoso si sia annoiato a sentir partire per l’ennesima volta dalle tribune del Subaru Park il DOOP DOOP DOOP d’ordinanza. Ma è forse il più notevole tra quelli segnati in questa impressionante striscia positiva che, dal dieci luglio scorso, ha portato gli Union a vincere quattro partite con almeno sei gol di scarto e a raggiungere la vetta di questa speciale classifica tra le franchigie MLS per un dato statistico talmente assurdo da sembrare uscito dalla rubrica Forse non tutti sanno che… della Settimana Enigmistica – prima di questa stagione, ma ancor di più prima di dieci partite fa, Philadelphia non aveva mai vinto con questo scarto, e nessun’altra franchigia in MLS ha più di tre successi a quote così vertiginose.
Olivier Mbaizo recupera un pallone ai limiti della propria area di rigore e, con due minuti da giocare, sei avversari nel circondario e novanta metri di campo da risalire, potrebbe tranquillamente cercare di perdere tempo, oppure calciare il pallone lontano, possibilmente in fallo laterale. Decide invece di giocarla e serve Jack McGlynn. Il classe 2003, uno dei volti principali della nuova infornata di homegrown in casa Union, non ha bisogno di essere incitato per provare a giocare il pallone – Jim Curtin ha definito il suo piede sinistro come il migliore che abbia mai allenato – e lo fa due volte, molto rapidamente e anticipando i contrasti avversari, verso Cory Burke. Il giamaicano, di professione attaccante, mette insieme anche lui due scelte rischiose in una zona di campo così vicina alla propria porta, provando un dribbling a rientrare anziché correre con il pallone sulla fascia per guadagnare secondi e metri con la scelta più conservativa possibile e poi apre il gioco nel buco che la difesa dei Rapids, sbilanciata, ha lasciato sulla sinistra. A ricevere il pallone, sulla fascia sinistra e già abbondantemente nella metà campo avversaria, dopo l’ennesimo scatto della sua partita, c’è Kai Wagner, che, come abbiamo detto, aveva iniziato non solo quella partita, ma anche quella stessa azione, come terzino sinistro. Il tedesco non esce mai dall’inquadratura per tutta la durata della risalita del campo. Quando Mbaizo recupera il pallone lui si è stretto in area a coprire su un eventuale cross e, nel momento stesso in cui Jack McGlynn tocca il pallone per la prima volta, Wagner ha già orientato il corpo per scattare in attacco. Ha un’esitazione quando il passaggio verso Burke viene intercettato, ma quando torna sui piedi del classe 2003 del vivaio Union come fosse un triangolo volontario, lascia andare qualsiasi freno e intravede la possibilità di mettere un touchdown di distanza tra le due squadre. Chiama il pallone non appena Burke riesce a liberarsi di Collen Warner.
Siamo ufficialmente in una situazione di contropiede in parità numerica, e se si provasse a stringere l’immagine si potrebbe quasi avere l’impressione di stare assistendo ad una partita di futsal giocata sul campo grande. È un quattro contro quattro in cui chi difende è in una – sorta – di rombo schiacciato e chi attacca in quadrato, a cercare di sfruttare ogni centimetro di campo per creare spazio. Con una virata da RS:X Wagner si libera di un avversario e attira contro di se la pressione del perno alto. A quel punto serve il libero Real permettendogli di infilare un comodo diagonale sul palo opposto. Ad ogni singola possibile biforcazione del destino lungo il corso di questa azione, i giocatori di Philadelphia hanno sempre e costantemente optato per l’opzione meno conservativa. Laddove il compiacimento avrebbe potuto ammorbidire lo spirito offensivo di questa squadra, ad ogni tentazione gli uomini di Jim Curtin hanno risposto divertendosi. Vale anche per il tiro di Real. Un tempo uno dei giovani più promettenti del vivaio, la carriera di Matthew Real si è arenata trasformandolo in niente più che in un buon depth piece. Ormai quasi un veterano per tutti i giovani della franchigia, a ventitré anni questa stagione Real ha giocato più in MLS Next Pro che con la prima squadra. Chiamato a giocare in un ruolo che al momento non è suo in situazione di garbage time e messo davanti ad una di quelle decisioni che se risultano essere sbagliate ti costano più di quanto ti facciano guadagnare rivelandosi corrette – non necessariamente per l’andamento della partita, quella già messa in ghiaccio, quanto piuttosto per la sua candidatura a minuti più importanti con questa squadra – Real ha corso un rischio e ha vinto.
@PhilaUnion just made it 6! Matt Real makes it 6-0 pic.twitter.com/Y9aVuhmk4W
— Major League Soccer (@MLS) August 28, 2022
È legittimo pensare che io stia forse leggendo troppo all’interno di questo gol, che non si possano trarre considerazioni significative da nessuna rete del 6-0, e che forse in generale questa striscia di vittorie potrebbe non essere poi il segnale che sembra essere – le demolizioni sono state quella di DC United, ultima ad Est, due volte, di Houston Dynamo, ultima ad ovest, e di una squadra come Colorado che sembra aver perso ciò che di eccezionale era riuscita a imbottigliare nella stagione scorsa – ma è anche vero l’esatto opposto, ovvero che sia altrettanto facile non usare il garbage time per giocare con la stessa gioia, la stessa chimica di squadra, che con la tensione che vola via possano volare via anche i meccanismi di gioco di chi parte sullo 0-0. In fin dei conti, le pessime squadre sono sempre esistite in MLS, in ogni stagione, eppure mai nessuno prima di quest’anno ha vinto due partite con sei o più gol di scarto nella stessa stagione, figurarsi quattro come Philadelphia in questa stranissima estate 2022.
I Philadelphia Union di Jim Curtin siedono al momento in testa alla Eastern Conference, con la miglior difesa, il terzo miglior attacco e la miglior differenza reti della lega e sono, insieme ad Austin, l’unica squadra ancora in grado di togliere a LAFC il Supporters’ Shield, a patto che i losangelini la smettano di andare al ritmo della miglior stagione regolare nella storia della MLS. Dopo una lenta crescita che li ha portati dall’essere una delle franchigie più irrilevanti della lega a modello da seguire, Jim Curtin ed Ernst Tanner sono riusciti a tramutare un singolo trionfo in un ciclo virtuoso che da tre anni permette loro di abitare le zone più alte della Eastern Conference. Ogni volta che qualcuno ritiene di aver visto il picco di questo metodo di roster building, la cima verso cui il prossimo ciclo dovrà tornare a puntare, questi Union hanno sempre trovato il modo di stupire e di ripresentarsi ancora più forti, ancora più perfezionati, e lo hanno fatto senza mai avere il bisogno del singolo giocatore che alza il livello, accontentandosi di cercare con pazienza l’ingranaggio giusto, anche se quest’ultimo dovesse arrivare dal retooling di un giocatore già in rosa.
Il riferimento, evidente, è a Daniel Gazdag, che Curtin usa come vertice alto del rombo di centrocampo ma che in effetti più che un dieci tradizionale è praticamente un terzo attaccante pronto a far ubriacare qualsiasi difensore esposto al vortice di movimenti suoi, di Carranza e di Uhre. L’ungherese nella sua prima stagione in MLS aveva raccolto appena quattro reti e, per quanto talentuoso, l’impressione era che nessuno al di fuori di Philadelphia sapesse esattamente che tipo di giocatore potesse diventare, ovvero quello che, in questo 2022, ha al momento raccolto diciassette gol e quattro assist.
25/17 – Dániel Gazdag has 25 goal contributions, including 17 goals, the most of either by a @PhilaUnion player in a single @MLS regular season in club history. Ringing. pic.twitter.com/uRfOLvtrWY
— OptaJack⚽️ (@OptaJack) September 1, 2022
Proprio il nome del nazionale ungherese è quello che in molti hanno fatto in questi mesi come potenziale MVP della stagione, più però per la necessità di inserire un giocatore della migliore squadra ad Est nella contesa che per una reale convinzione – anche perché il titolo sembra ormai raggiungibile solo per Hany Mukhtar e Sebastian Driussi. Ed in effetti, nonostante le prestazioni eccezionali, risulta molto difficile candidare un giocatore che potrebbe non essere l’MVP neanche della sua squadra. Sul tema valgano le parole di Joe Tansey, beat writer, che dovendo strutturare dei power rankings per il titolo di MVP all’interno dell’organizzazione, ha sottolineato come ogni tentativo di far ricadere la fortuna di questa squadra su di un singolo calciatore sia perdente in partenza, non perché ci sia una sorta di rifiuto categorico del culto della personalità – viene difficile pensare che anche in Pennsylvania abbiano trovato casa alcuni degli eccessi quasi militareschi dei vecchi San Antonio Spurs di Gregg Popovich – ma piuttosto perché la conformazione stessa della squadra, la loro condivisione delle responsabilità, la capacità di riciclare e riciclarsi in maniere sempre nuove, allontanano naturalmente le narrative che circondano questi premi. Per fare un esempio, Philadelphia rischia – insieme a LAFC – di diventare la prima squadra nella storia della MLS ad avere quattro giocatori in doppia cifra lungo l’arco di una regular season, e gli uomini di Jim Curtin sono già entrati nel club esclusivo di quindici franchigie in grado di portare tre marcatori sopra quota dieci reti – Gazdag, Carranza, Uhre, con Burke che al momento può contare sette reti, ma pur partendo quasi sempre dalla panchina sembra assolutamente capace di trovare i tre gol mancanti. E sarebbe assolutamente possibile presentare per ciascuno di questi elementi una casistica credibile sul perché dovrebbero essere MVP, perché all’interno di una comunità ogni contributo è fondamentale e indispensabile, e a vederli giocare questi Union – forse anche grazie ad un nome che, pur riferendosi ad altro, sembra rimandare ad un contesto sindacalistico – sembrano veramente una comunità.
Non c’è spazio per l’individualismo all’interno di una comunità. E, come dice bell hooks nel suo All About Love: New Visions, “non c’è miglior luogo per imparare l’arte dell’amore che in una comunità”, perché “sostengono la vita – non le famiglie nucleari, non la ‘coppia’ e certo non il più feroce individualismo”. La comunità è uno spazio in cui domina l’estrema fiducia rivolta verso tutti i membri partecipanti, un luogo all’interno di cui a tutti vengono rivolte le giuste attenzioni necessarie per valorizzarli. Sempre bell hooks: “offrire generosamente all’interno di una relazione romantica, come in tutti i tipi di legami, significa riconoscere quando l’altra persona ha bisogno della nostra attenzione. L’attenzione è una risorsa importante”. Anche se non credo Jim Curtin ed Ernst Tanner siano necessariamente accaniti lettori di una delle più grandi pensatrici afroamericane e femministe, e essendo sicuro del fatto che nessuno tra i proprietari possa sentirsi vicino ad un’intellettuale con posizioni così notoriamente anticapitaliste, è difficile non notare, pure se con la visione offuscata che solamente dall’esterno si può avere, che certi principi sopra elencati sembrano esistere anche all’interno di una franchigia così ben rodata come gli Union. Quando leggiamo la parabola di Olivier Mbaizo, che dopo aver perso il posto ad inizio stagione per una serie quasi homersimpsonesca di pasticci ha avuto, a distanza di qualche mese passato lontano dai riflettori, la capacità di riguadagnarsi quello slot da terzino destro che aveva fatto suo nel 2021 – e di dare inizio alla giocata-simbolo che è base di partenza per lo sviluppo di questo pezzo – leggiamo anche di un ambiente in cui si ha fiducia nelle capacità dei giocatori di vivere con la memoria di un pesce rosso e rientrare ancora migliori in prima squadra. Quando vediamo che durante la sessione di mercato gli Union hanno venduto importanti membri delle rotazioni come Stuart Findlay, Sergio Santos e Matej Oravec, scopriamo anche che dietro quelle cessioni c’è l’intenzione di aumentare il minutaggio di giovani del vivaio come Paxten Aaronson, Quinn Sullivan e Jack McGlynn, che con le giuste attenzioni e senza forzare il loro sviluppo sono entrati nelle rotazioni come se facessero da quindici anni questo lavoro.
Philadelphia è una squadra che regala una grandissima sensazione di armonia ogni volta che scende in campo, ma è un’armonia sempre leggermente modificata, unica nel suo genere, che non assomiglia all’idea che abbiamo in mente quando pensiamo ad una squadra di calcio che sia armonica. Quando pensiamo all’armonia, potrebbe non essere strano avere in mente le lentissime, silenziose e intricate mosse di T’ai chi ch’uan, una disciplina in cui l’armonia è talmente importante da permettere, quando raggiunta, di distaccarsi completamente dal resto del mondo. Alla stessa maniera, potremmo pensare all’armonia nel calcio come ad una squadra che muove la palla come un remo di un quattro senza interseca il piano dell’acqua, calma, rilassata e imperturbabile. I Philadelphia Union non sono nulla del genere. Anche se negli ultimi mesi hanno calmierato la strategia da macchina sparapalloni che nella prima parte di stagione li aveva visti scendere sotto il temuto limite del 70% di passaggi completati, sono comunque penultimi in MLS per questo fondamentale dietro solo a quella setta religiosa nota ai più come New York Red Bulls – l’unica squadra ad aver terminato una stagione sotto al 70%, ma anche quella che non supera questo margine dal 2019.
Gli Union sono, in fin dei conti, quelli che hanno prodotto Brenden Aaronson, uno che sta al pressing come Simone Biles alla ginnastica artistica e che, incidentalmente, deve il suo primo gol in Premier League proprio alla sua capacità di giocare come un’ape in costante stato di volantinaggio porta a porta. La loro armonia non suonerà mai come l’armonia di una canzone pop perfetta, l’equivalente dell’umami per l’udito, ma semmai come quella delle hit crossover, come quelle volte in cui il genere-indie-che-non-domina-le-classifiche riesce in qualche modo a farsi strada come headliner a Coachella. Può essere forse un po’ estrema per qualcuno, è fondata su legami naturalmente instabili e, con ogni probabilità, non è neanche un qualcosa che chi solitamente si dedica ad esplorare quei principi tende a ricercare, visto che il caos è abbastanza risaputo sia l’obiettivo principale di chi per anni ha teorizzato tattiche volte al pressing, così da poter sfruttare la disorganizzazione altrui. Ma riuscire a raggiungerla è non meno appagante per gli occhi e per lo spirito di chi guarda, oltre ad essere la punta di un iceberg all’interno di un’organizzazione che rappresenta un’eccellenza per la MLS sotto praticamente qualsiasi fronte.
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