5 cose che abbiamo imparato durante la NWSL Challenge Cup

Con la vittoria di North Carolina di fronte al pubblico casalingo del WakeMed Soccer Park contro le Washington Spirit, è giunta alla conclusione la terza edizione della Challenge Cup, il torneo pre-stagionale che serve come una sorta di showcase di tutto ciò che la NWSL ha di meglio da offrire. Per la prima volta strutturato con una divisione in tre gironi locali, Western, Central e Eastern, il torneo ha dato l’occasione ai due expansion team californiani di mettere per la prima volta piede in campo e a squadre e allenatori di sperimentare e di trovare la formula adatta con cui iniziare la stagione. Ovviamente è ancora molto presto per alcun tipo di giudizio, ma questa consistente prima parte di campionato, che per spettacolo visto in campo, numeri sugli spalti e anche in televisione può ufficialmente essere identificata come parte integrante della stagione NWSL e non come una sorta di Trofeo Birra Moretti con più partite, ci ha fatto vedere alcuni trend interessanti che dobbiamo iniziare a prendere in considerazione, e che potrebbero segnare l’andamento stagionale di alcune delle franchigie. Abbiamo già parlato di come Kris Ward e le Washington Spirit abbiano usato questo torneo per preparare la loro campagna di repeat, ma non sono stati gli unici a mandare segnali importanti. Andiamo dunque a scoprire le cinque cose che abbiamo imparato dalla Challenge Cup.

 

Se la lega crede nel prodotto Challenge Cup, deve promuoverlo meglio

 

In poche parole, se la NWSL vuole dare maggiore valore a questa competizione, vuole farne un evento atteso, di prima classe, a cui le squadre possano ambire deve, molto semplicemente, trattarlo come se fosse tale. E va bene l’accordo di sponsorizzazione con la UKG che garantisce alle vincitrici della Challenge Cup la stessa cifra di bonus andata ai giocatori MLS per il torneo MLS Is Back nella bolla di Orlando, ma la promozione e la gestione dell’evento da parte della lega non contribuiscono ad aumentare l’importanza del torneo, e anzi sono attivamente dannose per la sua reputazione. In particolare la decisione di far partire la regular season nel bel mezzo dei playoff per la Challenge Cup ha sviato l’attenzione da quello che dovrebbe essere il focus principale di questa parte di anno, ha fatto passare la competizione in secondo piano ottenendo un effetto quasi opposto, in cui la Challenge Cup sembrerebbe quasi un fastidio, se non fosse che è la stessa lega ad organizzarla e questo darebbe l’immagine di una NWSL che si mette da sola il bastone tra le ruote. Al di là di quello che ogni singolo osservatore degli eventi possa pensare di una competizione del genere – e io penso che possa essere un prodotto interessante, e gli ascolti televisivi sembrano darmi ragione – è innegabile questa sorta di auto-sabotaggio da parte della NWSL sembra contraddire la visione che la lega stessa ha per la Challenge Cup e ne limita esponenzialmente il potenziale. Per l’anno prossimo, se la NWSL vuole continuare con questo esperimento, il format dovrà essere perfezionato e avrà bisogno di uno spazio tutto suo. Altrimenti il futuro stesso del torneo potrebbe essere in pericolo.

 

La CBA non può risolvere tutti i problemi sistemici della NWSL

 

Ad esempio non può risolvere il problema di un metro di arbitraggio che oscilla continuamente e in maniera imprevedibile, che è incapace di proteggere le calciatrici e che spesso fa scivolare un match fisico nel violento. O meglio, non può risolvere la costante sottovalutazione da parte della PRO Referees nei confronti della lega, che viene trattata come di secondo livello rispetto alla MLS e a cui vengono dunque assegnati arbitri di seconda fascia, arbitri che per di più non vengono protetti e supportati adeguatamente, dal momento che l’associazione si rifiuta di riconoscere l’unione sindacale degli arbitri di NWSL e USL. La CBA non può neanche risolvere l’assenza di un protocollo sulle concussion che sia serio ed affidabile – anche se questa non può certo essere una mancanza imputata solo alla NWSL. E la CBA non può farci nulla se, nella situazione attuale, vincere la Challenge Cup garantisce un maggiore bonus alle calciatrici rispetto alla vittoria della regular season. Se c’è una cosa che la finale di Challenge Cup ha confermato è che per tutte le attenzioni mostrate dalla lega nel costruire un’infrastruttura solida, questo impegno ha portato a mettere in secondo piano alcune delle istanze portate avanti dalle calciatrici. Con tutti i cambi di leadership arrivati negli ultimi mesi – e che possiamo immaginare continueranno ad esserci – certo sarebbe anche scorretto immaginarsi subito risultati significativi. È giusto anche dare tempo alle istituzioni di cambiare il loro volto. Ma ci sono ancora molti miglioramenti da fare.

 

Sono ufficialmente preoccupato dalle Orlando Pride

 

Non che a loro dovrebbe fregare qualcosa, non pretendo certo di vedere cose che potrebbero essere sfuggite ad un’organizzazione professionistica, ma è da un po’ di tempo che la franchigia non riesce più a competere realmente ai massimi livelli e l’impressione è che la recente off-season non abbia migliorato necessariamente le cose. Fino allo scorso anno le Pride erano una squadra con tantissimi grandi nomi, con possibilmente i due volti più riconoscibili del calcio femminile mondiale – Marta e Alex Morgan – ma erano soprattutto una squadra di veterane, che puntava strettamente sull’esperienza. Quest’anno invece Orlando è a metà del guado ma non sembra aver preso necessariamente una decisione su cosa voglia diventare da grande. La franchigia non vuole entrare in un processo di rebuilding completo – lo dimostrano le conferme di Marta e Sydney Leroux, tra le altre – ma non vuole neanche più passare per una squadra costruita solamente sull’esperienza, avendo ceduto volti storici della franchigia come Alex Morgan, Ali Krieger e Ashlyn Harris. E questa incertezza si trasforma in risultati poco confortanti sul campo. Se nel weekend è arrivata la prima vittoria in incontri ufficiali contro Angel City, fino ad ora Orlando era risultata la peggiore squadra della Challenge Cup, con soli due punti conquistati, peggior attacco e terza peggior difesa del torneo, ha perso l’esordio in regular season con un netto 3-0 contro Gotham e addirittura in pre-season ha faticato contro alcune squadre locali NCAA, pareggiando con UCF e addirittura perdendo contro Florida State. Dopo oltre venticinque anni di college soccer tra UMBC, UCF e UCLA, il nuovo capo allenatore della franchigia Amanda Cromwell ha finalmente fatto il salto nel mondo del professionismo. Può anche darsi, e anzi è probabile sia così, che queste siano solamente difficoltà d’assestamento dovute ad un ambiente, ad uno stile di gioco e a un rapporto con lo spogliatoio e con il ruolo stesso dell’allenatore che hanno poco a che fare con l’universo NCAA, ma certo Amanda Cromwell non potrà essere soddisfatta di quello che ha visto fino ad ora. È presto per lanciare un allarme, però i segnali che arrivano da questa franchigia sono nel migliore dei casi contraddittori da un po’ di tempo a questa parte, ed è giusto prestare attenzione ai futuri sviluppi della situazione.

 

Kansas City non solo è migliorata, ma può essere una contender

 

Di tutte le predizioni fatte, questa dovrebbe essere quella presa con più cautela, non fosse altro che questa stessa squadra che ha mostrato così tante belle cose in questa prima parte della stagione è anche una di quelle colpite maggiormente dagli infortuni, con ben due titolari out for the season in seguito rispettivamente ad un non meglio identificato infortunio alla gamba destra – Lynn Williams – e un legamento crociato – Mallory Weber. E anche se solamente Weber ha avuto modo di partecipare alla cavalcata in Challenge Cup, terminata nella semifinale contro North Carolina, si possono esprimere legittimi dubbi sulla profondità del roster e sulla sua capacità di sostenere anche solo un paio di altri infortuni. Ma al di là dell’opportuna cautela, ci sono solo cose positive da annotare su questa squadra. La prima stagione dopo il ritorno dallo Utah era stata ovviamente difficile, ma in effetti quella Kansas City, che stava ancora lavorando su quello che sarebbe diventato il suo branding ufficiale, era un’organizzazione quasi del tutto in costruzione, tanto che si potrebbe quasi considerare le Current come un expansion team di questa NWSL. Il roster è cambiato in maniera significativa e si è riempito di veterane e stelle dello USWNT – Adrianna Franch, Sam Mewis, Jess McDonald – e nell’ex allenatore degli Stati Uniti Under 23 Matt Potter le Current hanno trovato un leader a lungo termine dopo che nella prima stagione il ruolo era stato preso temporaneamente dal gallese Huw Williams, passato nel 2022 ad un ruolo extra campo come osservatore. La vittoria del girone centrale davanti ad una finalista dello scorso NWSL Championship come Chicago, con il secondo punteggio più alto della competizione, non è un caso, o comunque potrebbe non esserlo. I miglioramenti sono significativi, evidenti e lasciano ben sperare per una franchigia che ha già dimostrato di voler essere ambiziosa.

 

Kerolin sta per prendersi tutto

 

Anche se il premio di MVP del torneo è andato alla compagna e connazionale Debinha, la migliore giocatrice della finale di Challenge Cup è stata Kerolin, autrice del gol del vantaggio. E la classe 1999 brasiliana non ha impressionato solamente nell’ultima partita. Il torneo dell’ex Madrid CFF, ripartita lo scorso anno dalla Spagna dopo una squalifica per doping e subito promossa in uno dei campionati più competitivi del mondo, è stato una rivelazione. Kerolin si è dimostrata eccellente nel dribbling come la sua connazionale Debinha, ma rispetto all’ormai stella conclamata delle Courage e della Seleçao è meno rifinitrice e più cannoniera, meno solita svariare in su o in giù per il terreno di gioco ma più versatile nello spaziare tra una fascia e l’altra di campo. Debinha l’ha presa sotto la sua ala protettrice e si ha già l’impressione che sia lei destinata a prendere in eredità la franchigia tra qualche anno, in un passaggio di consegne che fa molto Brett Favre-Aaron Rodgers. Con il suo stile di gioco elettrico ed esaltante Kerolin ha colto la nostra attenzione e ha certamente aumentato l’hype nei suoi confronti per il continuo della stagione. Nella lunga tradizione di giocatrici iper-creative del calcio brasiliano, Kerolin potrebbe tranquillamente essere la prossima.

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