La ricostruzione degli Houston Dynamo è partita

La vittoria per 3-1 contro Inter Miami dello scorso tre aprile potrebbe essere sembrata a molti un momento come un altro nella storia recente degli Houston Dynamo, una delle tante vittorie che una squadra mai veramente in grado di competere per la post-season riesce a tirare fuori dallo scontro con una delle poche franchigie più disfunzionali di loro, e per certi versi, almeno ad oggi, lo è ancora. Ma quella stessa vittoria, firmata dalla doppietta di Fafa Picault e dal gol di Darwin Quintero ha anche rappresentato un enorme peso che la franchigia è riuscita a togliersi dalle spalle, avendo rappresentato la prima vittoria in trasferta dei Dynamo dal 2020. Esatto, avete letto bene, gli Houston Dynamo hanno passato un’intera stagione senza mai vincere in trasferta. E per aggiungere una nota ancora più assurda al tutto, quella vittoria in trasferta arrivata nel 2020 era stata anche l’unica della stagione e in generale l’unica nel corso della gestione Tab Ramos. Anche in una lega come la MLS in cui il fattore campo fa ancora veramente la differenza viste le enormi trasferte che le franchigie sono costrette ad intraprendere, un record del genere fuori casa è quasi più complesso da tenere in vita che da interrompere. E se certo nessuna organizzazione che si voglia dire ambiziosa potrebbe celebrare questo “traguardo” come un’impresa, anche visto il momento della squadra avversaria, in quel periodo una delle due in MLS ancora senza vittorie, è anche vero che, se si vuole mostrare ambizione, quello è un incrocio da cui per forza di cose si sarebbe dovuti passare, e che quella singola partita va ad inserirsi all’interno di un contesto più grande, di un quadro generale di decisioni e nuove personalità entrate a far parte dell’organizzazione che preannuncia l’intenzione di fare di questi Dynamo di nuovo una forza con cui dover fare i conti in MLS, come ai tempi in cui, immediatamente in seguito alla relocation da San José, i Dynamo vinsero due MLS Cup consecutive nel 2006 e 2007.

 

Tra le nuove personalità entrate a far parte della società, ovviamente, non si può non partire dal cambio di proprietà che ha visto, lo scorso giugno, passare i Dynamo, le Dash della NWSL e le strutture della franchigia, incluso il PNC Stadium e lo Houston Sports Park, nelle mani di Ted Segal, imprenditore newyorchese attivo nel campo immobiliare, mantenendo comunque le quote di minoranza appartenenti, tra gli altri, alla stella della boxe Oscar De La Hoya e all’ex idolo locale James Harden. Il nuovo arrivato, come succede quasi sempre nello sport americano, ha subito piazzato la sua impronta sul nuovo corso della franchigia e, a parte l’aspetto estetico, dove sorprendentemente il rebrand è stato uno degli ultimi atti della precedente proprietà piuttosto che uno dei primi della nuova gestione, si è dimostrato attivo su tutti i fronti organizzativi. Via Matt Jordan, general manager dei Dynamo dal 2014, e Tab Ramos, il tecnico delle ultime due stagioni con solo una vittoria in trasferta, nel tentativo di risollevare una franchigia che dall’addio di Dom Kinnear – e a dir la verità anche per la consistente parte finale del suo mandato texano – non aveva mai veramente trovato una guida tecnica capace di prendere le redini della squadra a lungo termine e una dirigenza capace di mostrare le ambizioni che altre franchigie negli ultimi anni di MLS hanno dimostrato di avere, e che forse più di qualcuno nei circoli della lega si aspetterebbe di vedere da un mercato come Houston.

 

In effetti, la più grande problematica che ha attanagliato le ultime stagioni dei Dynamo è anche la ragione principale per cui un investimento consistente – intorno ai quattrocento milioni di dollari – come quello effettuato da Segal dovesse risultare in primo luogo attraente per il miliardario newyorchese. Houston è uno dei giganti addormentati del soccer e forse dell’intero panorama sportivo americano. Una squadra – due, considerando anche le Dash, che perlomeno in tempi recenti possono vantare la vittoria della Challenge Cup 2020 – con base nella quarta città più grande del paese e la quinta area metropolitana dell’Unione, che può chiamare casa dal 2012 uno stadio tutt’altro che disprezzabile da ventiduemila posti situato in una posizione perfetta nel mezzo della downtown cittadina – una caratteristica che da anni le franchigie MLS cercano disperatamente per le loro nuove case, non sempre con successo – e che soprattutto siede all’interno di un mercato tra i più floridi per il calcio, con una gigantesca popolazione ispanica che ama il calcio e che non esita a riempire le tribune del PNC Stadium come raramente si vede per Dynamo e Dash quando avversarie messicane attraversano il confine per eventi come la Leagues Cup, ma che nonostante tutto è praticamente una presenza inesistente nel mercato cittadino, fermata da un marketing inefficiente, sicuramente, ma soprattutto da scelte calcistiche che, sia da un punto di vista sportivo che più meramente commerciale, non hanno alcun senso, che lasciano Houston consistentemente nell’ultimo terzo di squadre MLS per spesa salariale e che pure la portano ad avere in rosa alcuni dei peggiori contratti dell’intera lega. Esempio lampante di questa situazione paradossale quella legata alla difesa, tra le peggiori in MLS per una squadra che ha concluso le ultime due Western Conference all’ultimo posto e che pure ad oggi conta la coppia di centrali più pagata della lega – quella formata da Teenage Hadebe e Tim Parker – essendo anche responsabile del contratto più remunerativo per un difensore in MLS, quello dato all’ex Palermo Aljaz Struna prima della sua cessione via trade a Montreal all’alba della stagione 2021.

 

In questo scenario desolante almeno quanto la tentacolare ed economicamente insostenibile espansione del territorio della città di Houston, la nuova proprietà ha deciso di ripartire da un nuovo corso tecnico, affidandosi a piene mani a meccanismi di selezione che tanto hanno successo nella MLS contemporanea e che ricordano più quelli in atto in gran parte dello sport professionistico americano che quelli del calcio europeo ma non solo. Sia il nuovo general manager che il nuovo capo allenatore sono personaggi con grandissima esperienza nella lega e che arrivano per la prima volta ad avere il massimo livello di controllo possibile dopo anni come ingranaggi fondamentali di organizzazioni vincenti. A guidare il front office è arrivato Pat Onstad, che dei primi Dynamo fu leggenda quando, alla fine della sua carriera, fu il portiere delle due MLS Cup consecutive, e che negli ultimi anni ha scalato le gerarchie in casa Crew iniziando come assistente di Gregg Berhalter e poi diventando direttore tecnico negli anni della gestione Bezbatchenko. L’allenatore è un’altra leggenda MLS, che però ha avuto da calciatore un rapporto più complesso con Houston, avendo fatto parte dello Sporting Kansas City che eliminò i Dynamo nella finale di conference dei playoff 2013, ovvero il brasiliano ex Arsenal Paulo Nagamura, promosso a capo allenatore dopo aver speso anni prima come vice e poi come tecnico della seconda squadra di SKC nella USL. Non dovrebbe sorprendere sapere che sono le organizzazioni più solide, continue e vincenti quelle che vedono la maggior percentuale di assistenti e collaboratori promossi in posizioni di comando da altre parti, ma già con queste assunzioni si poteva provare ad avere un’idea di che tipo di Dynamo avremmo visto.

 

Onstad, sotto Bezbatchenko, ha avuto modo di conoscere uno stile di gestione aggressivo, spettacolare, per cui non esiste mai un nome veramente troppo grande per non fare almeno un tentativo, e sembra aver imparato molto bene la lezione del suo ex superiore negli anni spesi insieme. Nel corso di questo inizio di stagione Houston ha riempito due slot da Designated Player e lo ha fatto prima aprendo il portafoglio e stracciando il record per il trasferimento più costoso della franchigia con i quattro milioni pagati al Libertad per Sebastian Ferreira, che intanto ha già lasciato traccia del suo passaggio in Texas, e poi convincendo Hector Herrera, uno dei nomi più popolari del calcio messicano, oltre che uno dei migliori giocatori del Tri in questo periodo storico, a portare i suoi talenti a Space City con quella che è una blockbuster move non solo a livello tecnico, ma anche una di quelle mosse, come la Dream Shake, capace di far cadere una città come Houston ai tuoi piedi. In attesa di HH, inoltre, Onstad ha messo a posto la porta mettendo a segno uno dei colpi principali della free agency, trovando l’accordo con Steve Clark, veterano MLS dalle mille vite capace nel 2021 di partecipare da titolare alla cavalcata dei Portland Timbers alla finale di MLS Cup. Dall’altra parte invece Paulo Nagamura è un fedele scudiero delle idee calcistiche di Peter Vermes, per distacco il tecnico più longevo di questa MLS, ma arriva a Houston anche con la possibilità per la prima volta di testare la propria identità di gioco. “Mentirei se dicessi che il mio stile non subisce molto l’influenza di Kansas City e di Peter Vermes. Ho giocato lì nei miei ultimi cinque anni di carriera, e ho allenato in quell’organizzazione negli ultimi cinque. Sono una grande influenza sul modo in cui guardo al gioco e in cui credo debba essere giocato” ha riferito Nagamura a The Athletic, nella stessa intervista in cui comunque ha ricordato come le sue scelte alla guida di SKC II fossero molto spesso guidate dall’alto e rese necessarie dalla filosofia della franchigia.

 

E l’influenza di Vermes si può vedere nello stile di gioco impostato da Nagamura, che schiera i suoi Dynamo con un 4-2-3-1 e sfrutta una manovra lenta, andandosi ad inserire in un trend ben preciso di squadre MLS. I Dynamo sono quarti in MLS per numero di passaggi completati all’indietro, e condividono la vetta proprio con Kansas City ma anche con squadre come Austin, il cui tecnico Josh Wolff è stato assistente di Gregg Berhalter, forse l’allenatore statunitense che più di tutti cerca di sfruttare il possesso palla, e Charlotte, guidata da Miguel Angel Ramirez, canario di Las Palmas a lungo tecnico del settore giovanile del club isolano. Risalire il campo velocemente non è importante per questa squadra quanto risalirlo quanto più possibile in sicurezza, cercando passaggi meno rischiosi, e finendo tra i primissimi in MLS anche per percentuale di passaggi completati. Allo stesso tempo però i Dynamo non sono una delle squadre che pressa maggiormente e anzi sanno come difendersi in un blocco basso, più per necessità che per scelta dal momento che difensivamente i propri giocatori offensivi sembrano carenti nell’effort e nelle letture dei movimenti, venendo spesso saltati facilmente quando applicano anche una minima pressione e lasciando spesso buchi e zone ampie di campo in cui la squadra è scollegata e gli avversari possono avanzare facilmente. La scelta di una formazione di questo tipo risale dalla necessità di dover trovare uno spazio per una serie di attaccanti e ha portato in questa fase almeno ad aver valorizzato in particolare un elemento, ovvero Darwin Quintero. Il colombiano ex Minnesota United agisce come trequartista con ai lati Pasher e Picault e davanti il nuovo DP Sebastian Ferreira ed è uno dei giocatori più creativi della squadra e il perno della manovra offensiva. Contro squadre che si difendono con un blocco basso la sua capacità di giocare da mastro puparo e coordinare i tagli dei compagni gli fanno mostrare caratteristiche da numero dieci classico che raramente avevamo visto nella sua carriera e che certo non erano mai state sfruttate prima in maglia Dynamo, mentre in transizione lui e Adalberto Carrasquilla hanno la tecnica per colpire praticamente qualsiasi bersaglio. Quintero è nella top 10 in MLS per goals added e se certo non rinuncia alle tendenze che lo hanno portato a farsi soprannominare “el cientifico del gol” – 0.30 g+ da tiro – contribuisce maggiormente alla propria squadra attraverso i propri passaggi – 0.35 g+. Sfruttando Quintero in questo ruolo si viene a creare una nuova situazione, quasi da dodicesimo uomo per Memo Rodriguez. Il texano, migliore e al momento unico prodotto del settore giovanile capace di lasciare una traccia importante in prima squadra, è un dieci naturale molto creativo, ma la sua produzione in questi anni non ha lasciato l’impressione che possa svolgere questo ruolo da titolare per una squadra con ambizioni da playoff, e partendo dalla panchina ha l’opportunità di concentrare i suoi numeri in un lasso di tempo minore, con meno responsabilità e contro difese più stanche, in quello che potrebbe essere lo slot in cui può garantire maggiore produzione a livello MLS.

 

Al di là del successo di Memo Rodriguez, comunque, in questi anni nessun lato ha mostrato la disfunzionalità percepibile a tutti i livelli dell’organizzazione del settore giovanile, incapace di produrre consistentemente prospetti d’interesse per la prima squadra pur risiedendo in una delle zone più ricche di talento del paese, continuamente razziata e con maggiore successo non solo da squadre vicine come Dallas – il miglior settore giovanile del paese – e San Antonio – il miglior vivaio della USL e uno dei primi a vendere i propri prodotti in Europa – o più recentemente Austin, che ha mostrato fin dal suo arrivo intenzioni bellicose per quel che riguarda il player development, ma anche dalle franchigie di tutto il paese, che con l’aumento significativo dei residency program – ormai praticamente ogni squadra MLS ne ha uno – riescono così a circumnavigare con continuità le stringenti regole della lega sui territori homegrown. È una diretta conseguenza dell’aspetto che prima definivamo come puramente commerciale: l’estrema popolarità del calcio all’interno della consistente popolazione proveniente dal Messico e da tutto il Centroamerica, messa nel contesto di una delle aree metropolitane più grandi del paese crea naturalmente un tesoretto di potenziali talenti che Houston in questi anni ha semplicemente faticato a sfruttare. Storicamente Memo Rodriguez è l’unico homegrown capace di costruirsi una carriera lunga e proficua con la maglia dei Dynamo, e parliamo di una persona nata nel 1995. Per fortuna dei Dynamo le cose potrebbero cambiare molto presto e questo perché, a differenza di altre situazioni, i problemi erano talmente tanti e tali che cercare di risolverli è diventato una priorità per la franchigia già sotto la vecchia proprietà. Lo stesso Tab Ramos, poi protagonista di un biennio al meglio incolore come tecnico di Houston, era arrivato su quella panchina proprio con l’intenzione di facilitare l’integrazione di prospetti delle giovanili in prima squadra, avendo nel curriculum l’aver risollevato il programma giovanile dello USMNT con due ottimi mondiali Under 20 tra 2017 e 2019. Ma il nome che più di tutti ha cambiato la traiettoria dell’academy dei Dynamo è quello di Paul Holocher, arrivato nella franchigia nel 2018, due anni prima di Ramos e nominato responsabile del settore giovanile dopo tre anni nell’organizzazione dei San José Earthquakes.

 

Ex tecnico a livello collegiale prima di Santa Clara, università di Division III guidata alla finale nazionale di divisione nel 2004, e poi di Cal Poly al massimo livello NCAA, sotto Holocher il settore giovanile – che ha pure una pipeline completa dalle Under 13 alle Under 19 al femminile, pur non potendo contare la NWSL su un meccanismo codificato di promozione delle calciatrici dal vivaio alla prima squadra – ha creato una nuova serie di programmi, scelto metodi di formazione unici in MLS e amplificato enormemente la sua presenza sul territorio metropolitano. Houston ha sviluppato in questi anni un cosiddetto Catalyst Program riservato ai ragazzi in età pre-settore giovanile, a livello Under 10, 11 e 12, con sette sedi sparse in giro per la città così da minimizzare le distanze di viaggio per i giovani calciatori – portando anche al risparmio economico per i genitori dovuto alla minor quantità di carburante consumato – che servono ad introdurre ai ragazzi ad uno stile di gioco basato sulla tecnica individuale, avvicinarli alle metodologie del settore giovanile, e fare una prima serie di esperienze calcistiche. Questo programma sfrutta anche in maniera massiccia l’esposizione dei ragazzi alle particolari sfide e caratteristiche del futsal – ancora molto poco sfruttato nei settori giovanili statunitensi – e viene a rappresentare, nella terminologia utilizzata dall’organizzazione texana, la cosiddetta “Foundation Phase”. Ancora prima di entrare nell’età del Catalyst Program, comunque, i Dynamo hanno deciso di moltiplicare i loro sforzi sviluppando un programma in collaborazione con i distretti scolastici di tutta l’area metropolitana di Houston basato sui principi elencati da Tom Byer e dal suo “Soccer Starts At Home”. Il sistema porta tecnici dei Dynamo nelle scuole elementari ed introduce ai ragazzi alcuni principi tecnici di base, ma, stando alle parole di Byer, è dipendente dalla partecipazione dei genitori e dal far giocare in casa i bambini con una palla di piccole dimensioni per una ventina di minuti ogni giorno, così che possano sviluppare fin da subito confidenza con certi gesti tecnici di base. Al di là dei dubbi che si possano avere sull’efficacia di certi metodi, soprattutto quelli da santone di Byer, il cui impatto è veramente difficile da quantificare e che comunque ha come incarico più importante quello di aver lavorato con il ministero dell’educazione cinese all’apice dell’interesse del governo di Xi Jinping per lo sport – e visto come sono andate le cose, sareste perdonati qualsiasi scetticismo – ma se confrontato con i metodi incredibilmente passivi e per nulla ambiziosi che hanno caratterizzato l’academy per gran parte della sua esistenza, qualsiasi tentativo d’innovazione risulta essere automaticamente un miglioramento, e fa ben sperare sugli effetti a lungo termine di questo rinnovamento del settore giovanile, che in effetti negli ultimi anni ha mostrato segnali di crescita – terminando al ventitreesimo posto dei nostri Prospect Pool Rankings di inizio stagione.

 

Lo so, non suonerà necessariamente come spericolato giornalismo investigativo, ma è difficile parlare dei Dynamo oggi e non percepire nell’aria quantomeno delle sensazioni differenti, più positive. È normale ed è quasi una sorta di topos dello sport statunitense che con l’arrivo di una nuova proprietà ci siano discorsi di ricostruzione, nuove ambizioni messe in mostra e dichiarazioni in grande stile, anche perché fondamentalmente è difficile che siano le organizzazioni vincenti a passare di mano. Trasformare quelle parole in fatti è sempre un qualcosa di difficile. E ovviamente è ancora presto per capire se Ted Segal, Pat Onstad, Paulo Nagamura, Paul Holocher e tutti gli elementi con potere decisionale all’interno della franchigia saranno in grado di trasformarla in un’organizzazione vincente e capace di tornare ai fasti di quindici anni fa. Le nuove ambizioni, così velocemente come sono sorte, potrebbero anche tramontare. Quello che sappiamo sugli Houston Dynamo però è che un cambio di marcia era ormai diventato necessario, non solo per la franchigia, ma forse anche per la lega intera. La MLS funziona in maniera eccezionale e ha grandissimo successo nei mercati medio-piccoli – Austin, Kansas City, la regione di Cascadia – e in quelli in tremenda crescita – Atlanta – ma ha un problema storico e ormai prolungato con alcuni dei mercati più grandi ed importanti del paese. New York ha due squadre che però sono entrambe parte di organizzazioni più grandi di loro e al di là dei titoli con situazioni tutt’altro che ideali fuori dal campo, mentre Chicago e Houston vengono da anni di gestione inefficiente e sono praticamente fantasmi nei loro mercati locali. E se la MLS fatica enormemente nell’ottenere del riconoscimento a livello nazionale – pur essendo molte delle franchigie big deal all’interno del contesto locale – è anche perché in quei luoghi che spostano, tranne parzialmente Los Angeles, non riesce mai veramente a fare la differenza. Non è una questione da poco: avere franchigie nella stessa lega delle controparti dagli altri sport americani ma non avere un’impronta anche solo paragonabile a MLB o NHL può costare molti soldi alla lega e impantanarne la crescita, come dimostra la trattativa per il rinnovo dei diritti televisivi che potrebbe portare alla MLS meno di quanto augurato. “Una Houston forte fa una MLS forte”, potrebbe recitare uno slogan che fa molto accordi di pace post-guerra mondiale. Il potenziale per una dinastia, o comunque per un Super Team che possa contrastare per ambizioni, riconoscibilità e tendenza alla controversia Atlanta United o Seattle Sounders esiste ed è forte come in pochi altri luoghi nella Space City. Sta a questa nuova era della franchigia dimostrarlo.

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