La storia tra Almeyda e gli Earthquakes meritava una fine migliore

Se siete spettatori più o meno abituali del NFL Network potrebbe esservi capitato ogni tanto di vedere uno spot televisivo in cui si invita a fare volontariato per installare all’interno delle abitazioni della propria comunità allarmi antincendio gratuiti. Nello spot tutta una serie di azioni che svolgiamo nel corso della nostra vita quotidiana ma che forse non sono poi così fondamentali prendono vita e ci invitano a preoccuparci della sicurezza della nostra abitazione. In una di queste scenette due attrici dentro la televisione sfondano la quarta parete, ricordandoci che forse non è poi così necessario divorare la nona stagione di una serie “che non avremmo dovuto girare”. All’interno di una cultura che da ormai vent’anni sembra aver fatto degli sceneggiati televisivi la propria forma d’intrattenimento principe, le battute sugli show che potevano terminare prima rappresentano con ogni probabilità il grado zero non solo dell’ironia, ma anche della critica. La nuvoletta “potevano fermarsi alla prima stagione ☹” nelle nostre chat ha sostituito il “bello il primo, ma nei sequel perde colpi” all’uscita delle sale cinematografiche, una dichiarazione, quest’ultima, che, visti gli incassi ai botteghini, ha fatto il giro ed è invecchiata malissimo. E per quanto dunque possa suonare banale, è difficile non applicare questa metafora ogni tanto anche al calcio e allo sport in generale. In questo specifico caso, è veramente impossibile non arrivare ad utilizzarla per descrivere la fine del rapporto tra Matias Almeyda e i San José Earthquakes, un rapporto che non sarà stato vincente ma che è comunque stato incredibilmente significativo, risultato tutt’altro che scontato viste la discesa nell’irrilevanza che stava accompagnando gli ultimi anni. Nel corso delle tre stagioni e spezzoni passate sotto la guida dell’ex nazionale argentino, gli Earthquakes sono stati un must-watch, la cosa più vicina ad una squadra da League Pass per un campionato che il League Pass non lo ha, ma soprattutto hanno mostrato competitività e ambizioni calcistiche anche per una squadra che, pur non essendo necessariamente l’ultima della classe in fatto di spesa salariale, ha avuto e continua ad avere in John Fisher, figlio ed erede dei fondatori di Gap, un proprietario che sembra avere poco interesse nell’aspetto competitivo e molto in quello economico – chiedere ai tifosi degli Oakland Athletics, la cui squadra è stata recentemente smantellata fino ad ospitare il secondo monte salari più basso della lega.

 

Tra alti e bassi – e alla fine, come vedremo, i secondi potrebbero aver primeggiato – Matias Almeyda e la sua sgangherata banda di calciatori hanno rappresentato una speranza di competere per una franchigia che dal suo ritorno nella Baia ha collezionato più cucchiai di legno che vittorie della regular season – 2-1 – e tanti ultimi posti nella Western Conference quante qualificazioni ai playoff – quattro – pur potendo contare sul due volte Scarpa d’Oro e miglior marcatore nella storia della lega in Chris Wondolowski. Attraverso i suoi eccessi ma anche e soprattutto la propria voglia di superare squadre con più talento, gli Earthquakes hanno regalato alcune delle partite più memorabili e creato alcune delle storylines più interessanti per una squadra che occupa uno dei mercati più piccoli e generalmente poco rilevanti nel panorama statunitense. Ma più di qualsiasi altra cosa, Matias Almeyda ha avuto un impatto clamoroso su tutti i calciatori passati per le sue mani, ha forgiato giocatori che prima sembravano avere poco uso e ha addirittura prolungato la carriera ad alto livello di Chris Wondolowski, e le reazioni al suo addio non hanno nulla di quel sentimentalismo affettato da licenziamento di tecnico indesiderato, ma sembrano tutte sottolineare il fatto che, comunque siano andate le cose e qualsiasi sia stata la fine di questa relazione, questi anni sono stati importanti e necessari. Ed è forse proprio per questo che il lento valzer d’addio del tecnico argentino, un po’ come la nona stagione di Scrubs, ha dato così tanto fastidio. Non c’era bisogno di arrivare fino a quel punto. Si poteva e si doveva gestire questa situazione meglio di così, e ogni persona coinvolta in questa storia aveva il potere, le capacità e l’opportunità di far sì che le cose terminassero meglio di così.

 

Non era un segreto che a Matias Almeyda non interessasse più stare a San José. Non ci voleva spirito investigativo o un qualche particolare sesto senso per capire che se le due parti avevano iniziato la stagione 2022 insieme era solo perché durante la off-season non si erano palesate offerte interessanti per il tecnico argentino – e in questo senso potrebbe non essere casuale il tempismo con cui è stato annunciato l’addio – semplicemente perché questo punto era stato spiegato in termini abbastanza chiari da Almeyda stesso in almeno due occasioni distinte nel giro di un mese. Alcune sue scelte e decisioni degli ultimi mesi, come la rissa sfiorata con un tifoso nell’intervallo della sua ultima partita da tecnico degli Earthquakes, trovate tattiche scellerate come piazzare Jackson Yueill difensore centrale nella partita contro i Philadelphia Union, le costanti assenze – prontamente multate – di fronte alla stampa, o il tentativo di rassegnare le proprie dimissioni mantenendo comunque il pagamento dei suoi emolumenti fino alla scadenza naturale del contratto il prossimo dicembre, hanno addirittura fatto pensare a molti che Almeyda stesse cercando semplicemente un pretesto per farsi licenziare, portando una delle più belle storie d’immedesimazione tra squadra e stile di gioco degli ultimi anni ad avere una coda amarognola e totalmente sgradevole, con i tifosi che hanno addirittura accolto tra i fischi il nome dell’ex Lazio durante le sue ultime presenze al PayPal Park, uno scenario che anche solo sei mesi fa, pur con la seconda mancata qualificazione alla post-season su tre tentativi, sembrava impossibile. In tutto questo però, la cosa più inspiegabile è come sia stato possibile arrivare a questo punto dopo che tutti i segnali indicavano una risoluzione più rapida e breve.

 

Lo scorso otto novembre gli Earthquakes hanno formalizzato una situazione che di fatto esisteva già da qualche mese, promuovendo l’ex direttore tecnico Chris Leitch a General Manager, ruolo che aveva svolto pur senza riconoscimento ufficiale nei mesi seguenti al licenziamento di Jesse Fioranelli del giugno precedente. Già nel suo stint ad interim Leitch, che con San José aveva concluso la carriera da calciatore tra il 2009 e il 2011, aveva dimostrato di voler prendere una direzione tecnica decisamente differente da quella richiesta da un tecnico dogmatico e fortemente legato al suo stile di gioco come Almeyda, muovendosi in maniera molto pesante sul mercato interno, completando una trade come quella per Jeremy Ebobisse dai Portland Timbers. L’arrivo di un nuovo General Manager lasciava immaginare presto un cambio di guida tecnica, non fosse altro perché solitamente una delle prime scelte di una nuova dirigenza è quella di trovare una voce che le possa essere amica e che sia l’emanazione sul campo della propria visione. Le due posizioni sono strettamente legate, e non è un caso che più di una volta si siano visti esperimenti in cui i due ruoli sono stati occupati dalla stessa persona o in cui un allenatore ha completato la transizione in dirigente. Quando lo scorso novembre cercavamo di capire da dove potessero ripartire le franchigie che avevano mancato i playoff, partivamo dal presupposto che difficilmente Matias Almeyda avrebbe occupato quel posto all’inizio del 2022, specialmente con un contratto in scadenza, uno scenario che si tende ad evitare e che, quando si realizza, non manda mai grandi segnali sullo stato di salute e la progettualità di una franchigia. Che, senza alcuna convinzione, senza alcun rinnovo sul tavolo o annuncio esaltante di conferma ad accompagnarlo, il tecnico argentino si sia ripresentato sulla panchina della squadra californiana è una dimostrazione di completa incapacità decisionale, un pasticcio la cui colpa risiede all’interno di ogni ambito dell’organizzazione.

 

Certamente la proprietà, che con un movimento del pollice può decidere dei destini di ogni impiegato, ha le maggiori colpe, come ricordato da Sam Stejskal di The Athletic. Un proprietario come John Fisher, le cui azioni in oltre un decennio tra Athletics e Earthquakes hanno messo in mostra un disinteresse quasi completo per l’aspetto puramente competitivo dello sport professionistico, farà chiaramente storie quando si tratterà di licenziare un allenatore e continuare ad averlo a libro paga, preferendo piuttosto perdersi in lunghe trattative per la buonuscita o attendere che quest’ultimo accetti un nuovo lavoro. Ma non si può dire che il front office o il tecnico stesso siano esenti da responsabilità. Matias Almeyda ha buttato all’aria tutto ciò che aveva costruito nei suoi primi anni con la franchigia, ha apertamente sabotato il presente e il futuro prossimo della franchigia per cercare di avere vinta una battaglia per persone con ego smisurato contro la proprietà. Come sostenuto da Colin Etnire di QuakesEpicenter, il tecnico argentino ha tenuto in ostaggio la franchigia, facendosi pagare per un lavoro che non voleva fare. E in tutto questo il nuovo front office non è sembrato in grado di svolgere un ruolo all’interno della questione. È stato assente e silenzioso, rinunciando ad imprimere la propria impronta e a far pressione da un lato o dall’altro di questa faglia per avvicinare le due parti ad una soluzione definitiva. Chris Leitch era, tra tutti i coinvolti, certamente quello con meno potere decisionale, ma se i primi cento giorni sono quelli più decisivi nel quadriennio presidenziale, allora la prima off-season è un momento chiave nella definizione della traiettoria di un front office, e se in fase di mercato si sono viste mosse interessanti che indicavano una nuova strada per la franchigia, il non averle affiancate ad una nuova guida tecnica quasi rifiutando di riconoscere la particolarità della situazione non hanno fatto altro che acuire il paradosso di una squadra con di fatto due anime inconciliabili che lavorano su linee parallele e che pure dovrebbero trovare il modo di coesistere, con il risultato di aver sprecato mesi interi di preparazione e di dover ripartire praticamente da capo con un nuovo progetto tecnico. È tutt’altro che una macchia indelebile sull’avventura di Chris Leitch come GM della franchigia, ma rappresenta certo uno stop che renderà il suo lavoro molto più difficile nelle stagioni a venire.

 

Cosa resta dunque dei San José Earthquakes di Matias Almeyda? Rovine, fondamentalmente. Molti dei passi in avanti visti nell’organizzazione di squadra e nel livello dei singoli giocatori sono stati sottoposti al trattamento The Scientist, e Alex Covelo, che prenderà il ruolo di tecnico ad interim probabilmente fino a fine stagione con Chris Wondolowski come assistente, avrà un lavoro gigantesco da fare per dare un senso alla stagione di questi Quakes. Ma questa sarebbe comunque una lettura troppo semplice della cosa. Nelle persone che hanno vissuto le ultime stagioni degli Earthquakes resterà molto del passaggio della cometa Almeyda nel cielo della Baia. Secondo Tommy Thompson, l’incontro con Almeyda ha “cambiato la sua vita per sempre”. Il periodo immediatamente successivo all’improvvisa morte causa COVID del padre del tecnico e la reazione dell’intera squadra sarà sempre un trattato sull’apprezzamento che questo gruppo ha avuto per un allenatore con cui sarebbero andati in guerra. Tutto questo resterà ed è stato in grado anche di sopravvivere e di fuoriuscire alla luce del sole pure quando è stato sotterrato dalla bruttura degli ultimi mesi, dal completo abbandono di ogni logica tattica all’apparente incapacità di porre fine ad una situazione che nessuno voleva proseguisse. Non si possono cancellare tutte le belle cose nate da questa relazione. E proprio per questo è triste, come detto da Alex Morgan, conduttore del podcast dedicato agli Earthquakes The Aftershock, che questa storia sia terminata su una nota così aspra. Non c’era motivo di arrivare fino a questo punto.

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