Come è iniziata la campagna per il Repeat delle Washington Spirit
“Never underestimate the heart of a champion” come disse Rudy Tomjanovich, allenatore degli Houston Rockets anni ’90, immediatamente dopo aver vinto il secondo titolo NBA consecutivo, in quello che è diventato senza dubbio uno di quegli aforismi che condensano concetti complessi in una frase ad effetto di cui è pieno fino all’orlo lo sport statunitense. Io non ho mai vinto molto d’importante nella mia tutt’altro che brillante carriera sportiva, ma se c’è qualcosa che ho imparato guardando gli altri, soprattutto leggende dello sport, vincere, è che il trionfo è adrenalinico e da dipendenza. Ci sono eccezioni alla regola, ovviamente, ma dietro ciascuna di queste eccezioni – la prima e più evidente che mi viene in mente è Nico Rosberg – ci sono circostanze particolari, spesso irripetibili. Nessuna di queste circostanze si può realisticamente applicare alle Washington Spirit campionesse NWSL in carica. In primo luogo non ci sono gli estremi pericoli di uno sport come la Formula 1, non c’è la sicurezza economica garantita dai guadagni multimilionari del circo più ricco e potente del motorsport, e poi, soprattutto, tornando ad aspetti comuni a quasi tutti gli sport, non ci sono le tempistiche. Se è il processo che rende speciale una o più vittorie, allora le Spirit non possono che essere all’inizio della loro traiettoria. La squadra è giovane, è stata costruita sfruttando in maniera significativa il Draft e, soprattutto, a sorprendere non è la loro futuribilità semmai il fatto che siano riuscite a crescere e a competere in così poco tempo. E se ci troviamo a contemplare quello che potrebbe essere potenzialmente l’inizio di una dynasty, non possiamo non pensare a quella appena iniziata come la campagna per il repeat di coach Kris Ward e delle sue calciatrici. Certo, sicuramente è presto per dire con certezza quali siano le potenzialità di riconferma da parte di questa squadra – anche se, ad essere sincero, dovessi essere richiesto di un’opinione, sarei decisamente positivo – ma quello che possiamo già fare è cercare di capire in che maniera le Spirit stiano mirando alla propria riconferma e sfruttare la pausa internazionale per vedere, attraverso i primissimi incontri di questo 2022 e della Challenge Cup, quale sia il Piano A della franchigia e del tecnico che, dopo la rincorsa vincente al Championship dello scorso anno, è stato promosso a pieno titolo perdendo ufficialmente il suffisso “ad interim” dalla propria carica.
La natura della stagione NWSL così come è stata progettata dallo scorso anno infatti ci porta subito nel bel mezzo dell’azione, con immediatamente un trofeo, e pure importante, da giocarsi. La presenza della Challenge Cup toglie di mezzo quelle che possono essere le settimane di pre-season mascherate da stagione regolare che si vedono in altre leghe professionistiche americane, limitando al minimo il tempo per gli esperimenti e forzando gli staff tecnici a trovare fin da subito una quadratura quanto il più possibile efficiente. Se questa sia una mossa saggia e che consegna alla lega il massimo potenziale tecnico delle singole squadre e dunque il massimo dello spettacolo è da vedere, e comunque non è il tema di questo articolo, ma certo ci permette di vedere fin da subito quelle che di base dovrebbero essere le più grandi aspirazioni dei vari allenatori. E quando vediamo le formazioni che Kris Ward ha fatto scendere in campo in queste prime quattro partite stagionali notiamo che la parola d’ordine è continuità e che la ricetta che ha portato il titolo 2021 è ancora vista ampiamente come quella migliore da seguire per trovare il repeat. Delle tredici calciatrici scese in campo nella finale di Louisville contro le Chicago Red Stars, dodici sono ancora a roster – l’unica assenza è Tegan McGrady, terzino sinistro titolare di quella squadra, parte del core di giovani in grande ascesa, scelta del SuperDraft 2019, tradata a San Diego in cambio di protezione dall’Expansion Draft – e mantengono grosso modo gli stessi compiti e le stesse aspettative. Anche le aggiunte sono state poche, e praticamente nessuna di primo piano. Parliamo di tre delle quattro scelte della franchigia al Draft – Tinaya Alexander, Lucy Shepherd, Audrey Harding – e potenzialmente, visto che parliamo di una ragazza che deve ancora firmare il suo primo contratto da professionista ma che ha molto impressionato durante la pre-season, la diciassettenne Jaedyn Shaw, passata per l’academy di FC Dallas e, fino a che non perderà la propria eleggibilità, uno dei principali nomi della classe di recruiting universitario 2023 secondo Top Drawer Soccer. Limitandoci esclusivamente a guardare il presente di questo gruppo, è facile sostenere che sia praticamente lo stesso dello scorso anno, o comunque lo stesso che è arrivato alla fine della scorsa stagione con un ruolo consistente in prima squadra.
E simile, se non identico, è anche il modo in cui questa squadra scende in campo. D’altronde, l’esperienza Kris Ward è ancora decisamente giovane – la sua promozione risale al settembre scorso – e il mantra cruijffiano secondo cui ogni stagione si dovrebbe effettuare qualche minimo cambiamento allo stile di gioco sembra poter quantomeno subire una postilla quando parliamo di uno spezzone così corto di stagione come quello speso dall’ex assistente a guidare la franchigia al titolo. Di fatto, pure con un trofeo già alle spalle, è come se stessimo parlando di un nuovo allenatore, che tatticamente sta ancora cercando di perfezionare il proprio sistema, che tra l’altro sembra mantenere pochi punti di contatto con i trend che in questo momento stanno accompagnando la NWSL. Andando ad analizzare i quattro trend tattici principali della lega secondo Carlon Carpenter di American Soccer Analysis, si può dire che le Spirit facciano loro solo due dei quattro punti elencati, e in particolare l’ultimo che in effetti rappresenta una definizione più generale comune non solo a tutta la NWSL ma in generale alla tradizione del soccer statunitense, maschile o femminile, negli ultimi trent’anni. Il calcio della NWSL e dunque delle Spirit è veloce, diretto, estremamente fisico, scolpito nella roccia, non rinuncia mai a momenti di completo caos e disorganizzazione. I momenti più alti nella storia delle due nazionali sono stati caratterizzati da passaggi di vero e proprio scontro fisico, da linee dritte come a spezzare in più parti un campo da calcio. È una tradizione come tramandata a livello generazionale, dal gol contro l’Algeria di Landon Donovan a Rose Lavelle contro i Paesi Bassi. E se a livello maschile questa tradizione si sta arricchendo con la tecnica al fulmicotone dei vari Dest, Aaronson e Pulisic, a livello femminile le Spirit hanno messo a punto la versione cinque stelle extralusso di questo stile di gioco, anche sfruttando atlete che, alla carrozzeria tradizionale di un buon calciatore o di una buona calciatrice statunitense, hanno aggiunto tutta una serie di accessori pesanti e travolgenti come catene d’oro e orologi tempestati di diamanti e che, incidentalmente, hanno tra di loro una chimica, anche fuori dal campo, forse irripetibile.
Ashley Sanchez e Trinity Rodman offrono una migliore interpretazione dello Showtime rispetto alla serie di HBO Winning Time, ti uccidono con il sorriso e nello spazio di cinque secondi e poi esultano cercandosi pure in zone diverse di campo e ballando il griddy sopra la tua tomba. Sono estremamente tecniche, creative, in pressing rompono più il cazzo di una coda alle Poste e a loro Kris Ward concede la liberta di muoversi dove preferiscono in giro per il campo. Nominalmente la trequartista e l’esterno a volte a destra a volte a sinistra del 4-2-3-1 di Ward, basta vedere le passing map di questo inizio di stagione per capire che Sanchez e Rodman hanno all’interno del sistema una libertà e una serie di responsabilità che non sempre vediamo assegnate sulle spalle di una ventiduenne e di una diciannovenne. Ashley Sanchez è spesso la calciatrice più avanzata della squadra per posizione media e non rinuncia a frequenti incursioni sulla fascia, mentre Rodman viene spesso al centro a prendersi il pallone e scambia con consistenza la posizione con la compagna della fascia opposta, spesso una tra Tara McKeown e Anna Heilferty. Nell’ultima partita contro le Orlando Pride, la prima vittoria della campagna Challenge Cup dopo tre pareggi uno sempre più incoraggiante dell’altro, Rodman ha realizzato una specie particolare di tripletta, che sinceramente io non avevo mai visto e che credo dovrebbe essere registrata a suo nome: prima ha servito un assist servendo un cross preciso dalla fascia destra, poi due minuti dopo si è presentata su quella opposta e dopo una discesa in area ha servito il suo secondo assist di giornata e infine nel secondo tempo ha segnato di testa occupando a tutti gli effetti la posizione di punta centrale. Lo stile di gioco esaltante ed elettrico di Rodman la porta a caricarsi di enormi responsabilità creative, quasi a giocare per certi sprazzi di gara una sorta di hero ball con tendenze da pesce pilota ciclistico, in cui si carica la squadra sulle spalle salvo poi cedere l’onore della marcatura ad un’altra delle tante compagne, come dimostra la leadership in Expected Assist – xA – con ampio margine sulla seconda. Entrambe dominanti nel loro gioco, Sanchez e Rodman sono tutte e due nella top 10 di American Soccer Analysis per Goals Added (g+), con l’ex UCLA in prima posizione e la sua compagna classe 2002 in decima. Sanchez in particolare è stata dominante. La classe 1999 è nella top 10 in quattro delle sei categorie in cui vengono calcolati i g+ – dribbling, recupero del pallone, ricezione e tiro – e in particolare domina quest’ultima categoria. Pur non rinunciando del tutto alle proprie capacità di rifinitura nelle zone più calde del campo, Ashley Sanchez utilizza il proprio particolare skillset per agire come da attaccante aggiunta in una squadra marcatamente offensiva che ama riempire l’area avversaria di corpi contundenti capaci di deviare il pallone in porta.
L’altro trend che Washington sembra aver fatto proprio è quello dei terzini di spinta molto presenti in fase offensiva. Con una leggera differenza però. Non c’è una Carson Pickett – probabilmente la migliore rappresentante di questa categoria – o una Imani Dorsey in questa squadra. Il meccanismo di sbloccaggio dei terzini non è automatico e non è una mossa a cui la squadra ricorre con consistenza. Il terzino che spinge di più è spesso quello che si trova sulla fascia opposta a quella in cui teoricamente parte Trinity Rodman, e la soluzione più cercata non è mai quella del cross, bensì un passaggio corto centrale a liberare il movimento di una delle quattro giocatrici offensive o la ricerca ossessiva di una tra Sanchez e Rodman. Kelley O’Hara è la cosa più vicina a quel tipo di giocatrice che c’è in rosa, e di base è più offensiva di una Julia Roddar, che sembra aver preso in questa prima parte di stagione il controllo di quella fascia sinistra, ma sembra poter avere una gestione più simmetrica ed equilibrata dei palloni qualora Camryn Biegalski dovesse aumentare il proprio minutaggio dopo l’ottima prestazione nella prima vittoria stagionale. Detto questo, comunque, gli altri due trend elencati da Carlon Carpenter nel suo articolo sono qualcosa di completamente estraneo alle Spirit, e questo è dovuto alla presenza di una calciatrice talmente speciale e unica nel suo genere da essere presa a modello nello stesso pezzo per provare quanto diverse siano le interpretazioni del resto della lega rispetto a quelle delle campionesse in carica. Le Washington Spirit infatti non possono assolutamente contare né su un’attaccante che si dedichi completamente ed esclusivamente al pressing e alla fase difensiva, sul modello di una Veronica Latsko, né su una punta completa e poco tradizionale che interpreti il gioco con flessibilità e che sia completa in più fasi di gioco. E la ragione di queste due così sostanziali differenze rispetto a ciò che succede in giro per la NWSL ha un nome e un cognome: Ashley Hatch.
Ad Ashley Hatch, semplicemente, non gliene frega assolutamente niente di ciò che non riguardi strettamente il segnare gol, ed è praticamente un non-fattore in qualsiasi aspetto del gioco esterno alla creazione offensiva. È nella top 3 per g+ sia per ricezione che per tiro ed ha per distacco la quantità di g+ totali più bassa rispetto alle altre giocatrici che finiscono sul podio in quella specifica categoria. In questo inizio di stagione Hatch è anche al secondo posto nella lega per xG e la differenza nel valore dei suoi tiri secondo i modelli pre e post tiro è inferiore solamente a tre delle prime dieci nella lega per xG – in queste tre è inclusa anche Ashley Sanchez. Leader nella lega sia per expected points aggiunti attraverso le sue reti e i suoi tiri, il processo di maturazione di Hatch non la porterà mai ad essere una giocatrice creativa e/o una grande passatrice, ma in questi anni ha mostrato una grande intelligenza nel riconoscere la sua pericolosità per le difese avversarie sfruttandola per creare occasioni per le proprie compagne. Come un tiratore da tre di livello eccezionale, Hatch necessita sempre di essere controllata e l’estrema attenzione posta su di lei permette ad altre calciatrici di liberarsi. Ma Hatch non si limita a farsi marcare passivamente in queste situazioni, come dimostra il gol contro Orlando di Ashley Sanchez, in cui l’ex North Carolina Courage si meriterebbe un assist solo per il velo con cui taglia fuori due difensori liberando l’inserimento del prodotto da UCLA.
Washington è una squadra senza alcun paragone all’interno della lega per quantità di azioni offensive e capacità di arrivare alla conclusione, e non a caso mantiene il miglior attacco di questa primissima parte di stagione. In tutte le statistiche quantitative su tiri e tiri in porta la squadra di Kris Ward domina, e con un margine tutt’altro che banale. Secondo fbref.com le Spirit hanno totalizzato 87 tiri – tra loro e la seconda in classifica c’è la stessa differenza che tra seconda e quartultima – 32 dei quali in porta e anche guardando i dati p90 dominano con praticamente il doppio dei tiri in porta per novanta minuti rispetto alla seconda in classifica. Sono instancabili nel loro attacco della profondità e sono fuori scala nella NWSL anche per quel che riguarda i key passes, avendo le due migliori giocatrici della lega e una terza a pari merito con Mal Pugh e Hailie Mace in terza posizione. E se il nome di Ashley Sanchez, seconda in classifica, è già stato approfondito è il caso di passare al vero cuore della manovra di questa squadra e la giocatrice forse più sottovalutata della formazione campione NWSL, ovvero Andi Sullivan. La classe 1995 ha raccolto diciassette key passes nelle prime quattro giornate di Challenge Cup, cinque in più della sua compagna in seconda posizione, ed è fondamentale nel far risalire il campo alla squadra. Tutt’altro che un Diavolo della Tasmania alla Rose Lavelle, Sullivan è più compassata e la sua grande abilità nella protezione del pallone e il suo muoversi ad un ritmo completamente indipendente dal resto del pianeta la fanno sembrare anche più alta e grossa di quanto non sia veramente. Centrocampista dallo stile di passaggi molto rischiosi – completa 11,16 passaggi in più di quelli che dovrebbe completare secondo gli xP, terzo dato più alto nella lega – Sullivan non è una giocatrice particolarmente verticale pur avendo i suoi colpi una lunghezza sopra la media NWSL, e sfrutta la sua posizione di campo per allargare il gioco sulle fasce. I passing network ci dimostrano che Sullivan è molto spesso il tramite necessario per far arrivare il pallone all’attacco ed è cercata con costanza dalle compagne, possedendo il quarto dato più alto tra le Spirit per percentuale di tocchi di palla dato il totale della squadra.
Cosa sappiamo dunque di queste Spirit? Sappiamo che sono grossomodo un unicum nella lega per il modo in cui attaccano e per la disposizione in campo adottata, e che le loro migliori calciatrici possiedono uno skillset unico e imparagonabile con quello di tutte le altre principali stelle della lega. Sappiamo che possiedono uno dei roster più giovani della lega – e il futuro dello USWNT passerà molto dai loro piedi – e che ne sono perfettamente consapevoli, mostrando spesso sprazzi di gioco – e non solo di gioco – che sembrano enormi OK boomer rivolti senza particolare rispetto gerarchico alla generazione più vincente del calcio statunitense. Sono divertenti, elettriche e forse lo spettacolo più divertente che si possa vedere oltreoceano in questo momento. Trasudano la naturale coolness di Joe Burrow, LaMelo Ball e Paige Bueckers. È ancora presto per capire quanto tutto questo possa essere sostenibile sul lungo periodo. Anche se parliamo di una squadra con un anello al dito, non possiamo non sottolineare come questo anello sia nato in circostanze del tutto particolari e in due mesi di fuoco, e soprattutto senza che nessuno intorno alla lega avesse messo un grosso bersaglio sulla loro schiena. Ma mentre iniziamo a vedere i primi tratti di come le campionesse NWSL hanno intenzione di gestire la loro campagna per il repeat, è già chiaro quanto l’identità di questa squadra sia radicata in profondità e sia tramandata da un gruppo di calciatrici che è cresciuto insieme nel bel mezzo di una tempesta e la cui unità e naturale chimica non può essere messo in discussione.
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