
Sullo stato dello US*NT – I mondiali, la SheBelieves Cup e l’inizio di una nuova era
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Per la prima volta in 3123 giorni, lo USMNT si è qualificato per i mondiali di calcio. Non è stato sempre il più semplice, il più comodo e il più tranquillo dei percorsi di qualificazione, ma diavolo se è bello tornare a leggere queste parole, specialmente se si ha ancora ben visibile nella mente il ricordo della tremenda serata di Couva. L’ultima partita del girone è stata una sconfitta in trasferta, esattamente come nel 2017, ma le reazioni non potevano essere più differenti, e questo perché, nonostante pure cinque anni fa il penultimo scontro avesse visto la nazionale statunitense battere con ampio margine Panama a Orlando, la vittoria per 5-1 nella partita di domenica e in generale lo svolgimento della fase di qualificazione avevano messo la squadra di Gregg Berhalter in una botte di ferro, con la certezza del playoff inter-continentale ma anche la consapevolezza di poterlo raggiungere, perdendo così il passaggio diretto alla fase finale, solo in caso di una sconfitta con sei gol di scarto contro il Costa Rica. Nell’ultima finestra di qualificazione, la scelta del tecnico statunitense di andare all-in e non ruotare la squadra si è dimostrata essere quella giusta, perché il pareggio per 0-0 all’Azteca – in una partita dominata e pareggiata solo per gravi errori sotto porta di Pulisic e Pefok – e la vittoria contro i panamensi hanno dato modo agli Stati Uniti di potersi permettere anche una confortevole sconfitta come il 2-0 subito a San José, lo scenario ideale per una nazionale che in undici partite di qualificazioni mondiali in Costa Rica ha perso dieci volte e pareggiato solamente nel 1985, senza mai raccogliere i tre punti. In un girone di qualificazione in cui non si è potuto far altro che parlare della crescita esponenziale del Canada, la prestazione degli Stati Uniti, terzi nel girone a pari merito col Costa Rica e qualificati per la differenza reti, potrebbe quasi sembrare deludente, potrebbe far pensare ad una tanto chiacchierata generazione d’oro che non sta dando i risultati sperati e che è stata superata in coolness dai tanto vituperati vicini del Nord.
Ma questo vorrebbe dire sottostimare tutte le complessità e le asperità che a questo percorso vengono apportate da tutta una serie di variabili. In primo luogo: ci troviamo davanti alla squadra più giovane a qualificarsi a questo mondiale. L’unica presenza costante in tutto il processo di qualificazione oltre i trent’anni è Sean Johnson, che comunque non ha mai avuto ambizioni superiori all’essere il terzo portiere della spedizione del prossimo novembre, e pochi sono anche i nomi tra i ventinove e i ventisei anni presenti nel roster, in parte anche per quella storia della generazione mancante dei nati tra il 1990 e il 1995 che ha plagiato dal primo momento il viaggio d’avvicinamento a Russia 2018, e quando andiamo a vedere l’età della presunta formazione titolare di questa squadra, quando leggiamo chi sono stati i principali contributori di questo gruppo, vediamo una pletora di ultime due cifre tra il 98 e il 03, da Christian Pulisic, la prima stella di questa golden generation, a Ricardo Pepi, l’ultima in ordine di tempo ad essere sbarcata in Europa. Il secondo fattore da sottolineare è la poca esperienza di questo gruppo, che è solo parzialmente legata al discorso anagrafico, visto che di tutti i giocatori presenti nella maggioranza delle finestre, inclusi i giocatori nel loro prime, solamente Paul Arriola, Jordan Morris e Christian Pulisic possono dire di avere esperienze concrete del ciclo di qualificazione precedente. Quello che gli Stati Uniti hanno effettuato sotto la guida di Gregg Berhalter è stato a tutti gli effetti un turnover completo della player pool, il tentativo di creare una squadra e un gruppo coeso da un’intera classe di giocatori con zero o zero virgola esperienza internazionale.
1834 giorni fa, dopo il disastro di Couva, Matt Turner e Miles Robinson, a tutti gli effetti titolari di questo gruppo, dovevano ancora esordire in MLS in uscita dal college, Jordan Pefok, Jesus Ferreira e Yunus Musah avevano ambizioni di giocare rispettivamente per Francia, Colombia e Inghilterra. Guardando la squadra che cinque anni fa mancava il mondiale, sono più i giocatori ritirati – sette – che quelli presenti anche nella distinta di San José – quattro – e quando si va a vedere gli altri nomi si può notare quanto profonda e significativa sia stata questa rifondazione, un taglio netto con il passato che ha lasciato dietro giocatori di grande esperienza internazionale e tutt’altro che anziani – basti pensare che punti fermi del Canada di John Herdman sono i 1987 Borjan e Vitoria, il 1983 Hutchinson e il 1990 Hoilett, tutta gente della stessa età o più vecchia dei vari Bradley, Altidore e Chandler mai visti dall’arrivo di Berhalter. E quest’assenza di esperienza, che invece è stata necessaria per creare il fenomeno Canada, è stata evidente in questo girone di qualificazione, anche perché quello che spesso si dimentica è quanto diavolo possa essere difficile il girone finale della CONCACAF. Viene spesso vista come una delle confederazioni più deboli eppure è anche quel luogo in cui nella storia dell’Hexagonal solamente una volta una nazionale ha vinto più di due partite in trasferta e in cui con l’allargamento a otto dell’ultimo turno solamente il Messico ha saputo superare quella stessa quota – affiancandola però ad un rendimento decisamente traballante in casa. In CONCACAF si gioca in condizioni estreme – metereologiche, in entrambi i sensi, ma non solo – in quello che è a tutti gli effetti un torneo di soli scontri diretti, in cui il mantra espresso da molti che ci sono passati attraverso è “vinci in casa, pareggia in trasferta”. Gli Stati Uniti sono riusciti a navigare questo girone con la squadra più giovane del lotto e dovendo sfruttare un gran numero di assenze per infortuni – McKennie, Dest e Aaronson nell’ultima finestra, ma la strepitosa discesa contro il Messico all’Azteca è solo un accenno di quanto abbia perso lo USMNT senza Gio Reyna per praticamente tutte le finestre tranne l’ultima, e comunque pure lì in un ruolo ridotto.
Il compito di questo USMNT era ricreare una magia che era andata perduta cinque anni fa. Era tornare ad essere una squadra, formare un gruppo coeso che possa ambire a fare bella figura ai mondiali non solo quest’anno, ma anche e soprattutto nel mondiale casalingo del 2026. Nelle parole di Christian Pulisic a The Players’ Tribune nelle settimane immediatamente successive a Couva, era un appuntamento da segnare sui calendari: “Dunque, pianifichiamo: il 2022. Preparate i vostri seminterrati e tenete a mente la data. Noi ci saremo”. Ci sono ancora migliaia di cose da mettere apposto. Ancora tantissimi dettagli da perfezionare – come diventare più consistentemente pericolosi in attacco, chi far partire come punta, mantenere un sistema difensivo incredibilmente solido e che non concede quasi mai occasioni pericolose – e tantissime scelte ancora da realizzare per Berhalter. C’è un roster a cui dare una forma definitiva, anche perché le traiettorie dei giocatori possono ancora cambiare enormemente ed è assolutamente possibile che giocatori che oggi non sono considerati papabili si prendano il posto da titolare – my two cents: Brandon Vazquez. Ma per quello c’è ancora tanto tempo. Ci saranno anche sei partite, quattro a giugno e due a settembre, tutte amichevoli, per fare tutte queste valutazioni. All’appuntamento però era fondamentale farsi trovare pronti, e lo USMNT ci è riuscito. E quella cosa che Pulisic si augurava di poter contribuire a costruire a The Players Tribune, quel legame, quella fiducia, quella magia, sta veramente iniziando a prendere forma.
Lo USWNT verso le qualificazioni mondiali
Con la vittoria della SheBelieves Cup 2022 – quinta vittoria in sette edizioni della competizione amichevole – è finita la prima fase della stagione dello USWNT, quella che di fatto ha sempre la sensazione un po’ da primo giorno di scuola, da opening week dell’annata. La settima edizione del torneo, che deve combattere con sempre più nuovi competitor nel panorama dei tornei ad invito per nazionali femminili – alla classica Algarve Cup quest’anno si è aggiunta la Arnold Clark Cup inglese – è stata con ogni probabilità quella con un livello tecnico più basso e con decisamente meno competizione per una nazionale come lo USWNT. Se infatti la neonata coppa d’oltremanica ha potuto ospitare quattro nazioni nella top 10 del ranking FIFA, incluse le recenti campionesse olimpiche del Canada ad aggiungersi a Inghilterra, Germania e Spagna, la SheBelieves Cup, che pure all’inizio della sua storia presentava quattro delle prime cinque nazionali del pianeta, non è stata in grado di affiancare alla miglior nazionale del pianeta un parterre egualmente competitivo, con l’Islanda sedicesima per il Ranking FIFA, la Repubblica Ceca ventiduesima e la Nuova Zelanda, già sconfitta con una goleada ai Giochi Olimpici e ventiquattresima della lista. È ancora presto per capire se la Arnold Clark Cup manterrà questo prestigio e addirittura se competizioni del genere, con la potenziale crescita del calendario internazionale che si potrebbe affiancare all’aumento degli investimenti e alla crescita sempre maggiore delle singole nazionali, possano realisticamente far parte del futuro a lungo termine del calcio internazionale, ma sembra essere arrivato il momento per fare alcune riflessioni sulla SheBelieves Cup stessa, sul tipo di squadre che potrebbero essere invitate, sul fascino reale di quelle che sono a tutti gli effetti amichevoli glorificate per una nazionale che comunque grazie alle – tante – amichevoli che fa ogni anno raccoglie introiti più che significativi.
Tornando alle questioni di campo, comunque, la SheBelieves Cup ha dato a spettatori e addetti ai lavori la possibilità di controllare lo sviluppo di questa squadra sotto il tecnico Vlatko Andonovski. In tutto il roster campione, soltanto tre calciatrici sono nate negli anni ’80 mentre due sono nate dall’anno 2000 in poi, anche se una di queste, Trinity Rodman, ufficialmente al suo primo camp con lo USWNT, è subentrata solamente per l’infortunio di Abby Dahlkemper, mentre una delle calciatrici più giovani, la classe 1999 Jaelin Howell, arrivava al camp sull’onda lunga della sua carriera collegiale e con zero presenze tra le professioniste. L’ombra delle bicampionesse mondiali è ancora decisamente lunga su questo roster, ma è tutt’altro che scontato che tutte quante – pur non avendo annunciato ufficialmente il ritiro dalla nazionale – siano destinate a rientrare nelle ventitré che partiranno per Australia e Nuova Zelanda nel 2023. Se la SheBelieves Cup ci ha fatti uscire con la certezza che il futuro appartenga a Catarina Macario, gli ultimi mesi hanno fatto uscire un paio di problematiche che rischiano di avere implicazioni a lungo termine, alcune sicuramente nel prossimo CONCACAF Championship che assegnerà il titolo di campionesse continentali ma soprattutto deciderà le partecipanti della confederazione al prossimo mondiale ma potenzialmente anche per la competizione iridata stessa. Il primo tema è quello degli infortuni. Nel corso di appena un paio di giorni la NWSL Challenge Cup ha perso due delle sue principali protagoniste, ovvero Tierna Davidson e Lynn Williams. Il difensore delle Chicago Red Stars, che con i suoi ventiquattro anni si presenta come uno dei volti con il miglior mix di maturità e futuribilità della difesa statunitense, ha subito una rottura del crociato che la metterà fuori per tutta la stagione, e lo stesso risultato ha avuto il non meglio chiarito infortunio alla gamba destra che ha colpito la centravanti delle Kansas City Current, una delle più grandi acquisizioni dell’ultima off-season NWSL. Queste due calciatrici perderanno sicuramente l’aereo per Monterrey, dove si svolgerà il torneo CONCACAF, ma con il recupero che potrebbe portarle fino alla fine del 2022 o addirittura all’inizio del 2023 si troverebbero con poco tempo ma soprattutto poche opportunità di guadagnarsi il posto ai mondiali contro compagne che hanno avuto a disposizione molto più tempo per impressionare Andonovski.
Il secondo tema è ancora quello delle vaccinazioni. Australia e Nuova Zelanda hanno adottato fino a questo momento, come noto in altri sport, requisiti estremamente severi e precisi per l’ingresso di cittadini stranieri sul proprio territorio e, ad oggi, non c’è alcuna particolare indicazione che quei requisiti siano stati abbassati, anzi. Come confermato dal ministro della salute australiano Greg Hunt lo scorso venticinque marzo, pure con un rilassamento delle regole d’accesso nel paese, una prova di un ciclo di vaccinazione completato sarà ancora richiesta all’ingresso nel paese. Non è detto che tutto questo abbia necessariamente un valore. In primo luogo da qui all’estate 2023 la situazione Covid sia migliorata abbastanza da portare l’Australia a cambiare i propri protocolli d’ingresso, ma soprattutto non è detto che questa distinzione possa applicarsi per nessuna delle calciatrici che Andonovski considera come papabili per il mondiale. Quando però lo scorso anno gli Stati Uniti sono volati in Australia per una tournée di fine stagione, la prima dopo il ciclo di amichevoli post-Olimpiadi e dunque la prima vera occasione per vedere questo nuovo ciclo di calciatrici in azione, lo stesso tecnico di origine macedone ha confermato alla stampa che Mallory Pugh e Trinity Rodman avevano rifiutato la convocazione per il viaggio oltreoceano, e su entrambe le calciatrici girano da tempo dubbi sul loro status vaccinale. Intanto, in preparazione all’estate, lo USWNT ha annunciato il roster che sfiderà due volte l’Uzbekistan a Columbus e Philadelphia tra il nove e il tredici aprile. Confermata la linea verde, con ben cinque calciatrici nate dopo il 1999 inclusa la prima scelta assoluta all’ultimo Draft, Naomi Girma, le convocazioni vedono tre potenziali esordienti – oltre Girma i due portieri Bixby e Kingsbury – e il ritorno in nazionale di Imani Dorsey, che pur essendo stata convocata per la prima volta nel 2019 ha ancora all’attivo solamente una presenza in nazionale.
Partono i cicli delle due nazionali Under-20
C’erano Lionel Messi, Angel Di Maria, Leandro Paredes e Lucas Ocampos ad assistere al pareggio per 2-2 tra l’Under 20 argentina e i pari età statunitensi di Mikey Varas, ex assistente di FC Dallas che ha assunto l’incarico nella seconda parte del 2021, con reti dei made in Philly Quinn Sullivan e Paxten Aaronson per gli ospiti. Il pubblico d’eccezione potrebbe aver rappresentato per questi ragazzi uno dei momenti più alti di una tournée sudamericana che ha rappresentato una delle primissime occasioni per questo nuovo ciclo di prepararsi al torneo di qualificazione ai mondiali di categoria dopo la lunga pausa causata dal Covid. La nuova classe, riunitasi per la prima volta in occasione della Revelations Cup dell’autunno 2021 e in seguito anche per un camp invernale che li ha visti sfidare in amichevole New York Red Bulls e FC Dallas, è volata durante quest’ultimo break internazionale in Argentina per sfidare, oltre ai pari età della Seleccion, una formazione del River Plate composta da giocatori della prima squadra non chiamati dalle proprie nazionali e alcuni dei migliori prospetti delle giovanili, partita terminata con una vittoria per 5-3 degli statunitensi con una tripletta di Quinn Sullivan, vero protagonista di questa tournée e potenzialmente dell’intero ciclo.
Nel roster di Mikey Varas ci sono già giocatori impiegati oltre oceano, come il 2003 del Bruges Mauricio Cuevas – ex Galaxy – e il 2004 di passaporto lituano Rokas Pukstas, in forza all’Hajduk di Spalato, e addirittura un 2005, quell’Obed Vargas che tanto bene ha fatto in questi mesi con Seattle e che, pure in una rosa ricca di esperienza in prima squadra – c’è il nuovo acquisto dell’Hoffenheim Justin Che e un giocatore come Diego Luna che sta mettendo a ferro e fuoco la USL – è forse il giocatore che in questo inizio di stagione ha raccolto più soddisfazioni. La principale assenza del camp è quella di Gabriel Slonina. Il portiere classe 2004, titolare dei Chicago Fire, è stato convocato dallo USMNT per la finestra di gennaio, ma la sua assenza dal camp della Under 20 non può essere spiegato con gli impegni internazionali, visto che non è rientrato nella rosa di Berhalter per la finestra decisiva a livello di qualificazioni mondiali. Sul talento, che pure ha sempre annunciato l’intenzione di giocare per gli Stati Uniti, preme fortemente la Polonia, di cui è originario, e se la sua mancata partecipazione internazionale potrebbe far partire il Dual National Panic, è molto probabile che, più semplicemente, Berhalter abbia voluto concedere al ragazzo una finestra o due per effettuare con pazienza tutte le sue valutazioni, replicando un modus operandi visto anche con Sergino Dest e Yunus Musah in vista delle loro decisioni. Al di là di alcune assenze, comunque, grossomodo questo dovrebbe essere il campo che partirà in direzione Honduras il prossimo giugno per il campionato CONCACAF di categoria, che oltre ad assegnare il titolo di campione continentale garantirà la qualificazione ai mondiali Under 20 alle quattro semifinaliste e, per la prima volta nella storia, anche alle Olimpiadi del 2024 per le due finaliste.
Se lo USMNT si appresta a tentare la qualificazione per non uno ma ben due tornei di primissimo livello, lo USWNT ha già svolto più che egregiamente il suo lavoro dominando, per la seconda volta consecutiva dopo l’inopinata caduta in finale contro il Messico nel 2018, il campionato continentale Under 20 che assegnava tre posti per il mondiale di categoria in aggiunta al Costa Rica paese ospitante. La nazionale femminile Under 20, affidata dallo scorso ottobre a Tracey Kevins, che completa così la sua scalata alle formazioni giovanili dello USWNT dopo aver allenato sia la nazionale Under 15 che quella Under 17, ha dominato la competizione senza concedere neanche una rete e segnando in tutto quarantanove reti in sette partite, con il miglior risultato rappresentato dal 14-0 contro il Suriname nel primo turno ad eliminazione diretta e venendo limitato solamente dal Messico in finale, vinta comunque 2-0. La rosa, composta per la maggior parte da calciatrici tra il 2002 e il 2003 tutte già impegnate a livello NCAA, presenta due eccezioni – destinate di qui a poco a diventare una. La prima e più celebre – oltre che già colonna di questa nazionale, almeno durante il torneo CONCACAF – è Olivia Moultrie, centrocampista classe 2005 che lo scorso anno ha sconfitto la NWSL guadagnandosi un contratto da professionista con le Portland Thorns, mentre l’altra è Alyssa Thompson, centravanti da Harvard-Westlake High School in California, vincitrice del premio Gatorade per la miglior calciatrice a livello liceale dell’intero paese dopo una stagione storica in cui la sua squadra è rimasta imbattuta e Thompson ha segnato quarantotto reti per una media di tre gol a partita, e tutto questo essendo ancora una sophomore ed essendo già stata, insieme alla sorella Gisele, per giocare college soccer a Stanford.
Tra i tanti nomi che hanno impressionato, oltre a quello di Michelle Cooper, centravanti da Duke e capocannoniera della competizione, anche quello di Alexis Missimo. Il prospetto da Texas University ha avuto una stagione da freshman trionfale, conclusa con dodici gol in venticinque partite partendo da centrocampista, può contare sull’assistenza di Eddie Pope – ex difensore dello USMNT – come consulente e ha già raccolto tantissimo interesse da oltreoceano, con Manchester City e Arsenal interessati a firmare uno dei migliori prospetti del calcio statunitense già in uscita dal proprio liceo e ancora adesso durante la sua esperienza universitaria.
La rivoluzione delle guide tecniche post-pandemia
Il 2021 ha rappresentato, come già detto, la ripresa a pieno ritmo delle attività a livello giovanile della USSF dopo la pausa causata dalla pandemia, e, con l’inizio dei nuovi cicli, la federazione ne ha approfittato per un cambiamento generale a livello di staff tecnico delle varie nazionali Under. Detto di Mikey Varas e Tracey Kevins per lo USYNT U-20 rispettivamente al maschile e femminile, anche le altre quattro selezioni nazionali di maggiore importanza, Under 17 e Under 15, hanno cambiato nell’autunno del 2021 guida tecnica. Al femminile il ruolo di allenatrice della selezione Under 17 è andato a Natalie Astrain, assistente a Kansas City nella NWSL oltre che ex assistente proprio a livello Under 17 e Under 15, arrivata negli Stati Uniti cinque anni fa per dirigere l’accademia del Rise SC dopo esperienze nella sua nativa Spagna con Barcellona, Atletico Madrid e con le Furie Rosse, mentre quello delle Under 15 a Katie Schoepfer, promossa al ruolo di capo allenatrice dopo tre anni spesi da assistente tra Under 16, Under 17 e Under 20. Al maschile invece abbiamo un caso di promozione interna per Gonzalo Segares. Il costaricense ex bandiera dei Chicago Fire ha preso il timone degli Under 17 dopo aver allenato nel bel mezzo della pandemia gli Under 15, e il suo posto nella rappresentativa più giovane del paese è arrivato un altro ex pro in MLS, Tom Heinemann, trentaquattrenne visto con i Columbus Crew e che entra negli organi federali dopo un biennio speso come assistente di David Costa ai Belmont Bruins, squadra di Division I NCAA attiva nella Southern Conference.
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