Cosa ci fa un’accademia del Barcellona in Arizona

“Cuori Ribelli”, film del 1992 di Ron Howard con protagonisti Nicole Kidman e Tom Cruise, non racconta necessariamente una storia vera, ma fa in effetti riferimento ad un evento realmente accaduto, ovvero la cosiddetta Corsa alla terra. Nel 1889, in Oklahoma, l’esercitò statunitense divise in quarantaduemila poderi di eguale grandezza un gigantesco appezzamento di terra strappata precedentemente alle popolazioni indigene che abitavano il luogo da millenni. Ciascuno di quei poderi sarebbe andato a chi, per primo, fosse riuscito a piantare per terra la propria bandiera, dopo che, al mezzogiorno del 22 aprile, un colpo di cannone aveva dato il via alla corsa, a cui presero parte più di cinquantamila persone. Era, a tutti gli effetti, una competizione spietata per un futuro migliore, e per certi versi si potrebbe anche definirla uno Squid Game ante-litteram, una corsa per la sopravvivenza tra persone che non avevano nulla da perdere. La scena di “Cuori Ribelli” in cui la corsa ha il suo inizio è abbastanza impressionante, e trasmette quanto, in un certo periodo storico e solo per un certo tipo di persone, l’Ovest fosse, proprio come punto cardinale prima ancora che come punto di una mappa, il simbolo delle nuove speranze, l’augurio di un futuro migliore, il primo premio alla lotteria della vita.

Ora, se questo fosse un meme, per veicolare il messaggio di questo articolo mi basterebbe screenshottare la già citata scena della partenza della corsa, sovrapporre ad ogni carrozza il logo di una grande squadra europea – anche meno grande di quanto potreste pensare – e marcare il terreno come “il talento americano”. Perché anche se il pubblico non si è ancora necessariamente abituato all’idea, forse ancora attaccato al pregiudizio antiamericano che negli anni 20 portò la FIFA a colludersi con la USFA per boicottare la ASL, il primo tentativo di un campionato statunitense unificato e che all’epoca pagava i migliori stipendi del mondo, e che di conseguenza macchiò per decenni agli occhi statunitensi il calcio come uno sport “straniero”, molti addetti ai lavori hanno capito ormai da tempo che gli Stati Uniti sono il loro Ovest, sotto praticamente ogni punto di vista. Insieme alla Cina, all’India, e ora che cerco di elencarli ad un gran numero di nazioni dalle dimensioni mastodontiche che risultano strane per uno sport che vuole definirsi come “the World’s Game”, gli Stati Uniti rappresentano un gigante addormentato, una sterminata landa di terra fertile e vergine su cui piantare la propria piccola bandierina. Come questo impatti le strategie di marketing delle squadre è evidente ormai a tutti ed è stato dibattuto per decenni, con sempre più squadre che aprono uffici negli Stati Uniti con l’obiettivo di conquistare una fetta di quella tifoseria ancora inconsapevole in attesa solamente di fidelizzarsi, ed è sempre più discussa l’attenzione che invece chi si occupa delle questioni di campo presta alla MLS, un campionato sempre più in crescita tecnica e che produce sempre più talenti degni di nota. Secondo José Mourinho “in questo momento gli scout europei stanno guardando la MLS, ve lo prometto”, mentre Rafa Benitez sul suo blog ha dedicato più di un post alla MLS, incluse analisi in dettaglio delle singole giornate di gara, e tutto questo senza ricordare per l’ennesima volta la partnership tra FC Dallas, il miglior settore giovanile statunitense, e il Bayern Monaco. Ma questo è forse l’argomento principale di molti dei pezzi che potete leggere su queste frequenze, quindi su questo siamo già informati.

Quello che è più interessante infatti è che c’è un terzo lato alla questione, ed è quello sicuramente meno discusso eppure forse più pressante in questo preciso momento. Perché, da qualche anno ormai, un sempre maggiore numero di club europei hanno portato la corsa al talento americano su tutto un altro livello, iniziando a pianificare un futuro in cui i giovani statunitensi arriveranno in Europa già indottrinati secondo i principi tecnici della singola squadra, entrando in diretta competizione con la MLS e con l’intero mondo del development statunitense. Nel suo articolo su ESPN, Bruce Schoenfeld ha raccontato come il territorio degli Stati Uniti d’America sia ormai costellato di tante piccole, medie o grandi accademie finanziate e supportate da squadre europee – come riportato dall’articolo, Earnie Stewart, GM della USSF, uscito dal proprio ufficio di Chicago, ha nel giro di poche miglia di macchina società legate a Liverpool, Olympiakos, Stella Rossa, Borussia Dortmund, Dinamo Zagabria e Chivas de Guadalajara, tra le altre – prendendo ad esempio la storia del Villareal Virginia, un’affiliata del Sottomarino Giallo spagnolo che opera nella zona di Annandale e che, pur non avendo una propria struttura d’allenamento, riunisce nei parchi pubblici della zona sotto la guida di tecnici provenienti dalla Comunità Valenciana quasi un migliaio di ragazzini.

La scuola, gestita dall’ex giovanili del Tottenham Bo Amato, ogni anno invia alcuni dei suoi giocatori più talentuosi proprio a Villareal, dove i ragazzi possono cimentarsi in alcune settimane di allenamento e esperienza nel settore giovanile spagnolo, ma, a differenza delle academies di squadre professionistiche americane e di tutte le franchigie MLS, è a pagamento, anche se, con circa duemila euro di spesa a giocatore, è forse tra le più economiche tra quelle che sembrano avere serie ambizioni. Questo comunque non ferma i genitori e i ragazzi che possono permetterselo dal buttarsi in queste avventure, anche perché il richiamo dell’Europa e la possibilità di avere potenzialmente una pipeline diretta verso “il calcio che conta” è abbastanza forte da far fuoriuscire tutto l’eurosnobismo che è in loro. “Con tutti gli altri club che abbiamo visitato [prima di entrare a far parte del Villareal Virginia, ndr] non c’era alcuna prospettiva per andare in posti che non fossero la MLS o altre leghe statunitensi” ha affermato a ESPN Rick Vanderhyde, padre di Ricky, ex promessa dell’accademia del club spagnolo, “e se il tuo obiettivo è essere professionista, probabilmente non è di giocare per i Tampa Bay Rowdies”. Il fatto che in questo momento storico le franchigie MLS abbiano un record estremamente positivo di giovani calciatori venduti in alcuni dei principali campionati europei laddove la quasi totalità di queste “accademie”, che per la maggior parte si sono rivelate un modo alternativo che certe squadre utilizzano per fare soldi a spese dei sogni dei ragazzini, devono ancora dimostrare di essere in grado di produrre decenti giocatori NCAA sembra essere un dettaglio secondario per questi genitori.

Esiste però un’eccezione a questo modello, un’isola felice che ha effettivamente dimostrato di essere in grado di produrre professionisti di alto livello, e che per di più funziona anche parzialmente utilizzando un sistema di borse di studio che non fanno gravare l’esperienza sulle tasche dei genitori. Proprio per la presenza di questa eccezione poco fa ho parlato della “quasi totalità” di questi puntini che ormai hanno divorato l’intera mappa degli Stati Uniti. E ciò che la differenzia da tutte le altre wannabe accademie sparse per il paese, oltre al fatto, appunto, di aver contato tra le proprie fila ragazzi che sono poi riusciti a diventare calciatori di buon livello, è che anziché togliere talento alla MLS e alle leghe statunitensi, è stata anche in grado di rifornirla con alcuni dei nomi più interessanti che si sono visti in campo in questi anni, andandosi addirittura ad inserirsi all’interno del loro sistema di calcio giovanile. Stiamo parlando della Residency Academy che il Barcellona ha messo in piedi in quel di Casa Grande, probabilmente il miglior settore giovanile negli Stati Uniti al di fuori di quelli della Major League Soccer. Situata nel bel mezzo del deserto dell’Arizona, a sud di Phoenix e del fiume Gila, l’accademia comprende otto campi da calcio, un centro sportivo d’alto livello e strutture in grado di ospitare i tanti ragazzi che entrano a far parte del programma di residency, ed è nata sotto l’impulso e sotto l’investimento di Real Salt Lake. La franchigia MLS è stata la prima ad occupare queste strutture d’eccellenza contribuendo a creare uno dei settori giovanili più floridi della lega, ma ha recentemente trasferito il suo settore giovanile all’interno del centro sportivo di Sandy, Utah, insieme al resto della prima squadra e alla seconda squadra in USL. Quattro anni fa, dunque, sfruttando un centro sportivo d’eccellenza rimasto libero, il Barcellona si è tuffato sull’occasione stabilendo lì il centro principale di quello che è uno dei contingenti più numerosi sul territorio statunitense di accademie internazionali, nonché uno dei centri d’eccellenza tra le cinquantaquattro accademie che il club gestisce in giro per il mondo e che educano ai principi de La Masia all’incirca ventimila ragazzini di tutte le fasce d’età.

Pur avendo avuto così poco tempo a disposizione, la Barça Residency Academy ha già ottenuto risultati incredibili e sembra già avere in canna un gran numero di prospetti di alto livello. Magari i risultati non saranno clamorosi come il contatore sul loro sito vorrebbe far pensare – più che altro perché quello considera tutti i giocatori nella storia della struttura, quindi inclusi i tempi in cui era sotto il controllo di Real Salt Lake, il che spiega perché tra i cinquantasei contratti professionistici firmati la gran parte sia con la franchigia dello Utah e che tra questi risultino l’ex Fiorentina Carlos Salcedo e il Rookie of the Year 2018 Corey Baird – ma è effettivamente impressionante il dato secondo cui il 100% dei ragazzi diplomatisi all’interno dell’accademia abbiano poi ricevuto o un contratto da professionista o una borsa di studio per giocare a calcio al college. Ancora nessuno di questi ragazzi ha ottenuto un contratto presso la casa madre – anche se si vocifera questa data non sia affatto lontana – ma non sembra neanche questo essere necessariamente l’unico focus che tanto lo staff quanto i giovani calciatori sembrano avere per il proprio futuro. Come raccontato da Greg Quinn, direttore dell’Academy e capo allenatore della formazione Under 19, in questo splendido video realizzato sul modello Barça da OneGoalUS – il cui sito, canale e newsletter sono must follow per comprendere meglio dove si trova e dove vuole andare lo USMNT e il calcio americano – il grande traguardo per questi giovani calciatori, l’obiettivo per cui lavorano, è lo sbarco in MLS, è l’offerta di una borsa di studio, è il professionismo statunitense prima ancora che La Masia e il Camp Nou, perfettamente consapevoli che una volta usciti da lì anche quel sogno comunque non sarà loro impedito. Xavi Mondelo, colui che dirige le academy del Barcellona nel Nord America, ha spiegato a ESPN che ciò che li differenzia da molte delle loro controparti europee sbarcate negli States è che “non sono solo un brand”. E in effetti, anche con pochissimo tempo a disposizione, gli esempi d’eccellenza sono troppi per non essere sottolineati.

Solo nei suoi primi tre anni di esistenza la Residency Academy è riuscita a produrre non uno ma due prospetti in grado di stabilizzarsi come titolari in MLS e di entrare tanto nella classifica ufficiale dei migliori 22 Under 22 della lega, quanto in quella non ufficiale compilata dal sottoscritto, nonché un vincitore della Gold Cup 2021 con la maglia dello USMNT, oltre ad un buon numero di professionisti sparsi tra USL ed Europa. E se in questo momento la memoria vi fa difetto, non vi preoccupate, perché sta per arrivare un mega riassuntone in cui verranno evidenziati alcune delle eccellenze che l’accademia di Casa Grande è stata in grado di produrre in questi quattro anni – oltre a quelle che potrebbero esplodere da qui a poco. Eccellenze in MLS sono Caden Clark (2003, New York Red Bulls), e Julian Araujo (2001, Los Angeles Galaxy). Il primo, che a partire dal gennaio 2022 sarà a Lipsia, dove si unirà agli americani Jesse Marsch – in panchina – e Tyler Adams – in campo – è un trequartista di grande tecnica, che ben si adatta al gioco frenetico ed estremo della Red Bull anche perché riesce a mettere ordine nel caos grazie ai suoi controlli al velcro. Ah, e poi ha anche la tendenza al golazo. Il secondo è un terzino destro che ha recentemente scelto di rappresentare la nazionale messicana. Dotato di un gran cross e di un eccellente motore, Araujo si è stabilizzato ormai da un paio d’anni nell’undici titolare del Galaxy. Nella recente finestra di mercato europea è stato protagonista di un importante trasferimento dal retroscesso Schalke Matthew Hoppe (2001, Maiorca). Il nativo di Yorba Linda è apparso nei radar anche degli spettatori meno attenti lo scorso inverno, quando praticamente dal nulla venne chiamato come soluzione d’emergenza nell’attacco dello Schalke, forse il peggiore che i cinque principali campionati europei abbiano visto in anni. I suoi sei gol non si sono rivelati abbastanza per invertire una rotta che a dir la verità neanche un miracolo avrebbe potuto cambiare, ma gli hanno permesso di diventare, nell’alba del 2021, il primo statunitense a segnare una tripletta in Bundesliga, nella vittoria contro l’Hoffenheim. In nazionale viene visto da Berhalter più come un esterno, dove può colpire con i suoi dribbling e le sue giocate da persona che ritiene l’opzione migliore per risalire dalla propria area a quella avversaria sia saltare da solo chiunque gli si ponga davanti. Questi tre sono ad oggi il volto della Barcelona Residency Academy, le loro principali storie di successo che rendono la struttura di Casa Grande un’opzione estremamente interessante per qualunque giovane calciatore con ambizioni, tecnica di base eccellente e una propensione ad uno stile di gioco più ragionato con il pallone.

In USL sta impressionando molto positivamente Diego Luna (2003, El Paso Locomotive). Trequartista come il coetaneo Clark, alla stessa maniera del giocatore di casa Red Bull in campo sembra abitato da una frenesia incontrollabile che può portare risultati utili solo se viene bilanciata da una tecnica di base decisamente superiore alla media, come la sua, e nella sua prima stagione in USL ha raccolto, per ora, sette gol e quattro assist. Nella stessa squadra Luna potrebbe presto essere raggiunto da Brooklyn Raines (2005, El Paso Locomotive), che al momento si sta allenando con la squadra con un contratto giovanile e che è probabilmente il nome da tenere maggiormente sott’occhio se si volesse scovare chi sarà la prossima storia di enorme successo della Residency Academy. Considerato il quarto miglior 2005 statunitense dal sito Chasingacup, Raines è un centrocampista centrale capace di eccellere in entrambe le fasi di gioco, risultando molto efficiente in fase di possesso grazie ad una visione di gioco veramente importante. In USL c’è anche Jake LaCava (2001, Red Bulls II), che potenzialmente potrebbe ripercorrere, a livello di percorso, non di posizione, le gesta di Caden Clark. LaCava è infatti un attaccante completo, abbastanza strutturato fisicamente a centottantacinque centimetri di altezza, molto bravo sia nel gioco di sponda e spalle alla porta che attaccando la profondità. In California potrebbero essere parte della ricostruzione della franchigia Bryce Duke (2001, Los Angeles FC) così come Julian Gaines (2002, Los Angeles FC). Il primo è un centrocampista centrale mingherlino dotato di grande tecnica che ama trovarsi in zona offensiva e risultare pericoloso anche al tiro. Curiosamente, il suo arrivo a Casa Grande precede l’arrivo del Barcellona. Nativo di Peoria, in Arizona, Duke è cresciuto nel settore giovanile di Real Salt Lake e lì, nel caso qualcuno fosse interessato ai destini delle star di TikTok, è diventato grande amico di Noah Beck, più di ventisette milioni di follower sulla piattaforma e un passato da centrocampista proprio con RSL e, prima della pandemia, con la squadra universitaria di Portland, i Pilots. Il secondo è un esterno destro o sinistro di piede destro che tra USL, con l’affiliata dei Las Vegas Lights, e gli allenamenti con LAFC ha anche iniziato la transizione a terzino.

All’estero, possiamo citare Rokas Pukstas (2004, Hajduk Spalato), arrivato a Casa Grande dopo aver impressionato nel settore giovanile di Sporting Kansas City, Amadeo Chapru-Tate (2001, Leganes), andato a rinforzare il nucleo americano nelle giovanili del club spagnolo e il messico-boliviano Nicolas Arze (2003, Atletico de San Luis). Pukstas è, insieme a Gaines, l’altro nome che in molti sembrano indicare come di maggiore potenziale in questo nuovo gruppo di giocatori usciti dalla Residency Academy. Arrivato in Europa prima dei diciotto anni grazie al padre lituano, il giocatore dell’Hajduk è un centrocampista capace di passaggi laser calibrati alla perfezione ed è talmente considerato nel giro dello USMNT da essere stato capitano della loro selezione Under 15 qualche anno fa, prima che scoppiasse la pandemia che ha di fatto interrotto il calcio giovanile. Chapru-Tate è un nativo di Haiti trasferitosi molto giovane a New York, cresciuto per un periodo nel settore giovanile dei Red Bulls, un attaccante capace nel 2019/2020 di essere il capocannoniere della formazione Under 19 della Residency Academy prima che la stagione venisse chiusa anticipatamente dalla pandemia, con otto reti in sedici presenze. Arze, infine, è un prospetto molto particolare. Prima punta o anche classico numero dieci, è fisicamente un toro con altezza sopra i centonovanta centimetri e peso intorno ai novanta chili a diciotto anni appena compiuti, e nella corsa sembra ricordare l’andamento da androide di Erling Haaland, ma è dotato di grande tecnica nello stretto ed è molto abile anche nel connettersi con gli altri giocatori offensivi, non essendo un semplice o banale rapace d’area.

Fino ad ora, abbiamo visto cosa differenzia la Barça Residency Academy da qualunque altra iniziativa del genere che si possa trovare per ora negli Stati Uniti, ma questo non vuol dire che sia tutto perfetto ed esente da critiche. Ci sono molte questioni che la presenza di questa Academy solleva e che non necessariamente sembrano avere una risposta positiva. Un problema è quello dei costi. Abbiamo detto che il sistema eccellente di scouting da parte del Barcellona permette di accogliere con borse di studio talenti provenienti anche da contesti economici svantaggiati e che dunque non devono pagare niente vista la loro eccellenza sul campo, ma di base tutti coloro che non appartengono all’eccellenza devono spendere cifre esorbitanti per entrare nell’accademia. Se l’esempio del Villareal arriva a costare duemila dollari a famiglia, la Barça Residency Academy richiede settantunomila dollari all’anno per far parte delle proprie squadre. Per capirci, questo è un prezzo superiore a quello richiesto ad Harvard ed è inferiore tra le accademie americane solo a quella del PSG, che arriva a quota ottantamila e che è di fatto solo un glorificato Camp Rock con il pallone al posto delle chitarre fatto per spillare soldi a genitori esaltati. Questo sarebbe un problema dappertutto, ma lo è sopratutto in un paese in cui per anni l’accesso al calcio è stato limitato dai costi del modello pay-to-play – ancora prevalente fuori dalle organizzazioni professionistiche – e a cui solo recentemente la MLS è stata in grado di porre un freno, rendendo gratuite e tutto incluso tutte le accademie d’eccellenza che le franchigie hanno messo in piedi in questi anni. Clint Dempsey ha raccontato spesso nel corso della sua carriera come con lui a Nacogdoches ci fossero ragazzini forti quanto o più di lui che non avevano alcuna speranza di raggiungere il professionismo perché le loro famiglie non erano capaci di sacrificare i loro guadagni per il sogno del figlio. Questa situazione sta cambiando, la storia di Ricardo Pepi e molte altre lo confermano. Ma se queste accademie continuassero ad avere successo, molte opzioni a basso costo al di fuori dei settori giovanili MLS e USL potrebbero scomparire per ragazzi non necessariamente di famiglie benestanti.

E sopratutto, cosa dovrebbe succedere se queste squadre decidessero che non vale più la pena di investire in queste accademie? Il Barcellona, il Villareal, il PSG non sono legate agli Stati Uniti da nessun filo che non sia la voglia di fare soldi. Se il loro investimento non dovesse rientrare, semplicemente non avrebbero alcuno stimolo a continuare, e viene facile pensare che una squadra indebitata come il Barcellona, le cui difficoltà economiche sono note a tutti ormai da qualche mese, possa tranquillamente ritenere superata questa fase della loro storia. Non solo le franchigie MLS, ma tutte le squadre professionistiche statunitensi e tutte le accademie fortemente legate al territorio locale – giusto per dirne due, i PA Classics che hanno cresciuto Christian Pulisic, o lo Scotto Gallagher da cui è uscito Josh Sargent – evidentemente non possono e non devono ragionare come queste grandi squadre europee. Quale può essere il ruolo di queste accademie nel panorama statunitense? E come dovrebbero rapportarsi con loro le squadre locali? Beh, se lavorano bene come il Barcellona l’unica opzione, e lo hanno ricordato nel pezzo di ESPN citato in apertura anche Earnie Stewart e Dave Sanford, ex responsabile del settore giovanile di DC United, è seguire i loro modelli e provare ad imitarli, implementarli anche nel proprio settore giovanile, ma sopratutto non escluderli. Non a caso la Residency Academy del Barcellona è l’unica di queste accademie a far parte della MLS Next, la principale organizzazione che gestisce il calcio statunitense negli Stati Uniti. Ma è fondamentale non appoggiarsi troppo nelle loro direzioni, perché il loro lavoro non ha come centro operativo e come traguardo finale gli Stati Uniti. Intanto però, il Barcellona ha messo in piedi un’accademia che funziona veramente, che produce talento di alto livello. Ed è tutt’altro che assurdo immaginarsi uno USMNT ai mondiali 2026 con più di un ragazzo cresciuto nel settore giovanile di Casa Grande.

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