La nuova stella del soccer: Trinity Rodman

Aveva smesso di giocare a basket, non ci credeva più: non aveva mani educate e ed era alto 180 cm, secondo il suo coach al liceo non era buono neanche per un layup. Cosa poteva fare sotto canestro? E’ per questo che, terminata l’high school, il giovane Dennis decise di iniziare a lavorare come custode notturno al Dallas/Fort Worth International Airport. La strada verso l’anonimato sembrava imboccata, coi sogni gettati alle spalle e le speranze spazzate via dal suono del motore di un Boeing. Poi, come solo nei film succede, madre natura ci mette lo zampino, o meglio la bacchetta, e, di colpo, come per magia, quei 180cm di altezza diventano 201. E qui inizia tutta un’altra storia, con Dennis che smette di essere solo Dennis e, in quel corpo, in quella nuova forma, con quella nuova altezza, diventa ufficialmente Dennis Rodman.

Il resto è noto, lo sappiamo tutti: Detroit, i Bad Boys, l’anello, Madonna, Jordan, i Chicago Bulls, gli anelli, gli eccessi, Carmen Electra, Las Vegas… Tutto e tanto, davvero, tanto di più, che si possono racchiudere con una frase pronunciata da The Worm, soprannome datogli da mamma Shirley per come si muoveva mentre giocava a flipper, in the Last Dance: “Volevo solo giocare a basket, fare festa e scopare”.

In Nba ci entrò dalla porta secondaria, terza scelta ma al secondo giro, che sul totale fa 27esima, nel 1986. Sua figlia no. Trinity, nata nel 2003, nel calcio professionistico ci è entrata col tappeto rosso sotto i piedi, ma non perché, dicendola alla Mourinho, “è nata in Culla di Oro”, no, decisamente no. Il tappeto rosso è stato steso perché Trinity, con la palla, tra quei piedi, ci sa fare come pochi, candidata a essere la nuova stella del calcio made in Usa.

With the the second pick in the NWLS 2021 Draft… Trinity Rodman”. La giovane attaccante è una nuova giocatrice delle Washington Spirit, quelle che, sullo stemma, hanno 11 stelle a indicare le 11 che scendono in campo, più un’altra stella, aggiuntiva, messa al centro, su di un pallone, a sottolineare l’importanza del dodicesimo uomo: il tifoso. “Burning with Spirit” il motto, che muove lo Spirit Squadron, il gruppo organizzato, fondato da tre amici: Ashley Nichols, Megan Wesson e Tory Johnson. L’allenatore è un inglese, Richie Burke, che ha giocato nelle giovanili tra Liverpool ed Everton, senza riuscire a trovare la sua dimensione: per questo è volato in America per frequentare il college. Scegliendo Washington. Stessa scelta fatta, per un altro motivo, da Trinity.

La giovane stella di casa Rodman sembrava aver preso la strada luminosa che portava a UCLA e, invece, ha optato per la Washigton State University. Il motivo? Il fratello, DJ Rodman, dove DJ sta per Dennis Junior. 4 anni di differenza, un rapporto unico, l’uno il miglior amico dell’altra.

Perché per Trinity, la famiglia, è tutto. E la famiglia, e Trinity, hanno salvato Dennis Rodman.

Lo ha detto sempre lui, sempre in The Last Dance: “Non sono stato un buon padre, non sono stato un buon figlio. Ma voglio vederli crescere. Ho bisogno di smettere di far festa, fare un passo indietro e rimettere a posto la mia vita. Ora ho una certa età, devo rivalutare la mia vita”. E lo ha fatto, e lo fa, per i figli.

Trinity, ovviamente, non vuole essere la figlia di… vuole essere se stessa, come, se stesso, fino in fondo, è stato il padre. E i numeri sono decisamente dalla sua parte: cresciuta nei So Cal Blues, dove ha vinto a livello nazionale, ha frequentato il Serra Catholic a livello di High School, dove era considerata la numero 1 della sua generazione, ha giocato per tutte le Under americane, arrivando fino alla Concacaf Under 20, dove ha realizzato 4 gol e 4 assist solo tra semifinale e finale.

Prima punta o esterno, potente e veloce, talentuosa, amante del dribbling, pronta a sacrificarsi per le compagne, ha un tiro da fuori micidiale. E’ nata in California, a Newport Beach. Ed è lì che tutto è iniziato. Ed è lì che, Kobe Bryant, vide il futuro.

Trinity, a 8 anni, era compagna di squadra di Natalia Diamante Bryant, che ora gioca a pallavolo ma che, da piccolina, aveva provato anche a tirare calci a un pallone. Kobe, lo abbiamo imparato vedendo, ahinoi, quei video, ora più che mai emozionanti, in cui parla di basket con la sua principessa Gianna Maria, amava dire la sua anche coi più giovani, dando indicazioni, motivando, aiutando. E al termine di un match, si avvicinò alla piccola Trinity e gli disse quattro parole: “You are a stud”. Tu sei un craque, sei fortissima, spacchi. E, a quanto pare, aveva ragione ancora una volta.

Dennis Rodman come papà, Kobe Bryant come ‘padrino’, Washington per la famiglia. Cuore, sentimento e talento muovono Trinity. E anche un po’ il destino. Già. Sapete come si chiama il primo allenatore della storia delle Washington Spirit? Mike Jorden. Una vocale a cambiare quello che fu. Ma è giusto così. Perché Trinity Rodman vuole costruirsi la sua strada da sola.

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