Esclusiva Carrie Taylor: “Vi racconto i SD Loyal”

Si dice che dietro a un grande uomo, ci sia sempre una grande donna. Professionalmente parlando questo modo di dire storico si può traslare facilmente anche ai San Diego Loyal, neonata squadra di USL Championship allenata da Landon Donovan (leggi la nostra intervista esclusiva).

Nello staff di Mr Donovan c’è Carrie Taylor, “il coach più qualificato di tutti” a detta dello stesso Landon. Nata in Michigan, coach Taylor ha una grande esperienza da allenatore e manager a livello giovanile; ha lavorato con i Vancouver Whitecaps e ora si è trasferita a San Diego, scelta da Donovan in prima persona.

Ci ha accolto col sorriso sulle labbra negli uffici dei San Diego Loyal per raccontarci quello che stava accadendo nella città più bella della California, e con la passione negli occhi per l’amore verso il calcio che finalmente è sfociato nel professionismo in città. Ecco la nostra intervista esclusiva con Carrie Taylor, una leggenda nel calcio di college americano.

La prima domanda è sempre la stessa: come si costruisce una squadra professionistica da zero?
Ci sono tantissime cose da fare, non solo le partite tecniche sul campo, anzi. Dal punto di vista sportivo abbiamo guardando tantissimi video di giocatori, probabilmente dallo scorso maggio-giugno. La tecnologia aiuta, si può in pratica valutare qualsiasi giocatore e io con Donovan abbiamo passato molto a tempo a guardare calciatori. Inoltre, tantissimi scout e agenti ci hanno mandato tanto materiale, poi sai, il fatto che una leggenda come Donovan fosse coinvolta ha aiutato molto. Landon conosce tantissime persone in giro per il mondo e tutti conoscono lui. In ogni caso è stato un lavoro enorme, abbiamo parlato con tantissimi giocatori prima di comporre il roster. Per tutti i ragazzi che abbiamo scelto abbiamo organizzato dei provini privati da cui poi abbiamo scelto la rosa in varie fasi, valutandoli sul campo e in allenamento.

Però il tutto va ben oltre il campo, giusto?
Il lavoro però è stato ben più complicato perché abbiamo dovuto trovare un centro sportivo per gli allenamenti, lo stadio, il marketing e tutti gli altri aspetti che riguardano un club di calcio. Giochiamo al Torero Stadium all’università di San Diego, ma anche lì abbiamo voluto studiare l’esperienza allo stadio per i tifosi, dove farli sedere e molte altre cose. Un’esperienza incredibile per tutto lo staff, noi in campo facciamo forse la parte più divertente, ma è stato incredibile lo sforzo di tutti ed essere scesi in campo è stato emozionante.

I tifosi che abbiamo incontrato siamo entusiasti: manca il calcio qui?
A San Diego c’è una grande comunità di appassionati di calcio. C’è fame di pallone e volevano con forza una squadra professionistica.

Come avete sviluppato il vostro stile di gioco: scegliendo i giocatori in base alla vostra idea o adattandovi ai migliori che avete trovato?
Io e Landon Donovan, con il nostro staff, abbiamo tre concetti fondamentali e ci siamo posti tre domande per costruire la rosa. Questo giocatore ci aiuterà a vincere? Possiamo aiutarlo a crescere? Possiamo farlo rendere al meglio e diventare più forte?

Li avete trovati giudicando dai primi risultati
Abbiamo guardato l’età dei ragazzi valutati, i punti di forza e le debolezze, cercando di trovare quello che volevamo, cioè aiutare tutti i giocatori a migliorare con la speranza poi di poterli vendere. Il nostro obiettivo è quello di sviluppare i giocatori e comunque divertire, perché vogliamo una squadra che sappia divertire in campo. Per questo io e Donovan ci siamo parlati a lungo. Puoi tenere palla a centrocampo e giocare un calcio bellissimo, ma è anche vero che per vincere devi fare gol. E Donovan è stato un grande cannoniere, sa come si fa. In casa giocheremo un calcio più aggressivo, mettendo sotto pressione l’avversario; magari in trasferta aspetteremo un po’ di più, ma le cose cambiano in partita. Di sicuro abbiamo cercato giocatore con un’intelligenza calcistica elevata, in grado di capire le situazioni di gioco e cogliere gli avversari impreparati.

La caratteristica che non poteva mancare?
La cosa principale però è che i nostri giocatori avessero una spiccata cultura del lavoro, un buon carattere e che si sentissero completamente immersi nella nostra cultura e nel nostro modo di pensare il calcio. Sulla carta è sicuramente la nostra sfida più importante; su quella ci riteniamo una grandissima squadra, ma poi le cose devono funzionare sul campo come squadra lasciando un po’ di libertà ai giocatori nel modo di giocare. Sicuramente però abbiamo una mentalità offensiva.

Qual è la vostra sfida più grande a San Diego?
Mettere insieme una rosa di giocatori che non si conoscono è una grossa sfida. Ovviamente vogliamo vincere e abbiamo le nostre aspettative, ma serve tempo. Dietro le quinte abbiamo parlato di un progetto di tre anni, sapendo cosa aspettarci dalla stagione inaugurale e come crescere nei prossimi anni. Abbiamo anche dei tifosi super carichi con grandi aspettative, ma siamo sicuri di poter schierare in campo una squadra competitiva e divertente.

Il roster com’è stato composto? Da dove avete pescato?
Abbiamo preso qualche giocatore senza contratto dalla USL. Poi trials su invito, di giocatori dopo il college o da campionati esteri.

Gli Open Tryout sono serviti? Più in generale, servono a qualcosa?
Non si sa mai cosa puoi trovare. Abbiamo un giocatore (Klimenta, difensore) che dopo l’esperienza ai LA Galaxy rimase senza contratto. Si è presentato a uno di questi provini aperti a tutti, a Sacramento, e l’hanno preso. Si possono trovare questo tipo di giocatori, ma anche chi magari ha talento ma non ha mai avuto l’opportunità giusta per dimostrarlo. Noi abbiamo valutato tutti e lo faremo ancora in futuro.

Come sarà il vostro rapporto con le altre società sportive in città come i Sockers o i Padres?
Sicuramente abbiamo una connessione con i San Diego Sockers, con cui Donovan ha giocato per un periodo (soccer indoor). Abbiamo invitato qualcuno dei loro giocatori ai provini, ma abbiamo anche organizzato diversi eventi con loro. Sono sicura che creeremo delle sinergie di marketing e sponsorizzazioni in città con le altre realtà sportive.

Ci spiega il nome “Loyal”?
Donovan mi ha proposto questo nome una prima volta, ci abbiamo pensato. Ci è piaciuto. E’ un nome che va bene per i giocatori, che devono essere “Loyal” coi compagni di squadra, ma anche nei confronti della città, portare rispetto. La mentalità leale è quella che vogliamo. Ci abbiamo pensato una notte e poi ci siamo detti: questo è il nome che daremo, ora definiamo cosa significa per tutti, a partire dalla lealtà verso la maglia. Amiamo questa scelta e l’idea che ci sta dietro.

Anche i tifosi devono essere “loyal”
I tifosi in America sono molto volatili. Non è che come in Europa, o in Italia, dove un ragazzo cresce tifando una squadra che vinca o che perda. Negli Usa spesso si segue una squadra se vince, meno se non vince. E si cambia. Io sono una persona fedele anche nello sport, sono nata in Michigan e sono tifosa dei Detroit Pistons e dei Detroit Red Wings anche ora che sono a San Diego. Ma non è sempre così. Per me è un concetto fondamentale e ci piacerebbe trasmetterlo ai nostri tifosi in modo che siano fedeli alla maglia, fedeli alla squadra, fedeli alla società. Certo vorranno vincere, ma quello tocca a noi.

Quello per la MLS è un progetto ancora fattibile?
E’ il passato. Mai dire mai, però è una cosa passata. Ora vogliamo essere la migliore franchigia USL, è quello il nostro obiettivo. Siamo concentrati su questo.

Qual è il suo rapporto con Landon Donovan?
Con Landon ho partecipato a un progetto precedente a questo, ci conoscevamo già e spesso discutevamo di calcio. Mi chiese a un evento se avessi voluto essere coinvolta e ogni tanto mi chiedeva qualche consiglio. Un giorno mi chiese una opinione su un giocatore, poi mi chiese: “Vorresti essere il mio assistant coach?”. E lì è nato tutto. Donovan è una persona fantastica e mi piace molto lavorare con lui. Il mio lavoro è di supporto al suo e alla squadra. Anche il nostro team manager, Shannon MacMillan ha lavorato con noi a un altro progetto, poi ha lavorato anche coi Sockers. Abbiamo avuto delle sinergie in precedenza e Landon è una persona molto fedele alle persone che gli piacciono e che rispetta. In pratica siamo come una famiglia. E’ importante sapere ognuno come lavoro l’altro.

Mr Donovan ha detto che lei è il coach più qualificato nello staff: ci racconta la sua esperienza?
La mia esperienza da coach è a livello di college. Ho avuto a che fare in passato con la situazione di gestire tutti gli aspetti di un club, come budget, provini, allenamenti, reclutamento e altro. Donovan dalla sua ha il fatto di aver avuto una carriera a livello internazionale, come Shannon che ha giocato ad altissimo livello nel calcio femminile. Io porto nel team un background non a livello professionistico, ma di campo, anno dopo anno, facendo tutte le piccole cose che un capo allenatore probabilmente non ha e non avrà il tempo di fare.

Il vostro è un gruppo affiatato?
Penso che quando si crea un gruppo di lavoro sia importante avere persone con abilità diverse, in modo da coprire tutte le basi. Abbiamo diverse persone veramente brave nella propria area di competenza e vogliamo trasmettere questa cosa anche ai nostri giocatori, mettendo in chiaro chi sono i leader, chi i giovani da crescere eccetera, in modo da aver un gruppo unito e omogeneo. Siamo tutti piccoli tasselli di un puzzle che, messi insieme, formano un bel disegno.

Il suo obiettivo personale qual è?
Ho vissuto l’intera vita passando da un lavoro all’altro, chiedendomi cosa verrà dopo, senza guardarmi indietro. Credo che la mia destinazione finale fosse San Diego e sono veramente grata a Warren Smith e Landon Donovan per questa opportunità. Adoro lavorare con Landon e gli altri membri dello staff e mi vedo qui a lungo, finché vedranno in me la capacità di essere utile. Che sia come coach e con altri ruoli.

Ringraziamo mr. J. Beltran e coach Taylor per la disponibilità e il tempo concesso durante la nostra visita a San Diego.


 

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