Intervista esclusiva a Vito Mannone

Connecting to Minneapolis, Minnesota. Per contattare Vito Mannone in questo momento, serve prima di tutto una buona connessione: Whatsapp, Skype o Facetime. Salvo imprevisti. “Ho finito tardi allenamento, mangio e arrivo”. Ok ci sono. Alla fine Vito c’è sempre, anche nonostante le 7 ore di fuso orario. Perchè Mannone si è fatto sempre trovare pronto, e continua a farlo.

Una carriera costruita all’estero in Premier League con una costante sempre presente: le parate E che parate! Da quella su Rafael ai rigori contro lo United, la più bella secondo lui, a quelle più recenti con cui si è preso al primo anno in MLS il quarto posto in classifica con Minnesota United ed il record nel club di 11 clean sheets stagionali. Not bad!

Ora è pronto a sfidare Ibrahimovic e i LA Galaxy ai Playoff però prima è pronto a raccontarsi in un’intervista rilasciata in esclusiva su MLSsocceritalia.com.
Ecco l’intervista completa.

Guardando la classifica, al 4° posto c’è Minnesota, te l’aspettavi?
E’ stata una stagione che da subito avevo capito che poteva girare bene, dall’apertura del nuovo stadio, sul mercato si è lavorato bene, quando mi hanno parlato del progetto sono venuto qua per vincere qualcosa, per migliorare la situazione di Minnesota che negli ultimi due anni non era buona difensivamente. Peccato che quel quarto posto poteva essere un secondo posto.

11 clean sheets, qual è stato il segreto dietro a questo record per il club?
La stagione lunga, ti devi mentalizzare partita per partita, mi dispiace che ne ho perse tante anche verso gli ultimi minuti, poteva essere ancora meglio. Giornalmente ti prepari per fare la differenza il sabato e la domenica, entrare con la mentalità di uscire imbattuto. In generale, il clean sheet è un lavoro di undici giocatori non solo mio, quindi il merito va anche ai miei compagni di squadra.

Perchè hai scelto Minnesota? Seguivi già la MLS?
E’ capitato così, quando ho parlato la prima volta con il Minnesota United nel mercato di gennaio, c’era questa opportunità. Ho voluto intraprendere una nuova avventura, vedere com’era la MLS. E’ stata una scelta di vita. Amo seguire tutti i campionati, vedevo che iniziava a crescere ed arrivare anche in Inghilterra, è sempre più seguita.

Cosa ti ha sorpreso della Major League Soccer? La consiglieresti?
Mi hanno sorpreso molte cose, dalle opportunità del Minnesota United e della MLS. E’ stato un cambiamento che ho voluto fare anche con la famiglia. Esperienza sicuramente positiva, ho trovato un campionato di un livello più alto di quello che mi aspettavo. Non è più la MLS di una volta, la lega dove ti andavi a ritirare; ci sono grandi giocatori come Ibra, Rooney, Schweinsteiger, ma anche moltissimi giovani buonissimi giocatori. Tanti latino-americani numeri dieci. Ogni squadra è un mix di culture.

In cosa deve ancora migliorare la MLS?
Deve crescere sempre di più, è sulla buonissima strada, ma una cosa è sicuramente l’organizzazione dei viaggi per le trasferte. A volte viaggi un giorno intero per arrivare alla partita che non è molto normale. Una squadra italiana viaggia così massimo 4 volte all’anno per andare in Champions. Qui invece una settimana sì e una no hai trasferte anche di 3 giorni come per andare a Los Angeles. E a volte ti capita di stare giorni interi in aereoporto causa ritardi. C’è molto vantaggio per chi gioca in casa, come la finale di US Open Cup in casa di Atlanta con 50 mila tifosi contro. E’ come se arrivi in finale di Coppa Italia contro il Milan e vai a giocare in casa loro con 80mila che tifano solo Milan. Bisognerebbe trovare un punto di incontro. In questo dovrebbe migliorare.

Saresti favorevole ad introdurre le retrocessioni?
Sì assolutamente. E’ un calcio tutto nuovo che avrà bisogno presto anche di retrocessioni e promozioni. Renderebbero il calcio più simile a quello europeo.

Credit: Kelvin Kuo-USA TODAY Sports

Tu che sei cresciuto nelle giovanili dell’Atalanta, come la vedi ora stabile tra le grandi?
Finalmente hanno raccolto i frutti del loro lavoro. E’ il più forte club italiano a produrre giovani talenti. Quando ero là io si faceva più fatica. Era più difficile arrivare in prima squadra subito, un giovane veniva mandato a fare gavetta 4-5 anni in B e C anche qualora fosse stato già pronto. Ora è cambiato molto, dai 4 anni di gavetta si è passati a 1, e questo da quando l’Italia ha deciso di far giocare i giovani. Prima ne arrivava 1 o 2 in prima squadra, ora 4 o 5.

Capitolo Arsenal: con Wenger, com’è stata l’esperienza? Chi è stato quello che ti ha impressionato di più in campo?
Una bellissima esperienza, mi sono tolto molte soddisfazioni, andai via a 16 anni, arrivai nel 2004 in una squadra allucinante: The Invincibles. E’ stata una fortuna allenarmi con loro. Su tutti ti dico Bergkamp e Henry. Poi, stando li tanti anni ho visto il ricambio generazionale e ti posso dire Fabregas e Van Persie. Wenger mi ha dato l’opportunità di debuttare in Premier e giocare in Champions League. Non è da tutti. Lui? Un tipo strano. Molto distaccato e freddo cui però piaceva il calcio a 360°. Dovevi giocare in un certo modo, quando vedevi l’Arsenal ti ricordava in un certo modo il giocare al calcio, tipo quello del Barcellona.

Al Sunderland si può dire che è stato il club con cui ti sei affermato? Cos’hai pensato prima che calciasse Rafael in semifinale contro lo United?
E’ stato un club in cui ho potuto giocare con continuità e di crescere come portiere. Subito al primo anno sono stato nominato giocatore dell’anno. Poi momenti bellissimi nella coppa di lega. Quella è stata una sera magica. Chiunque sogna di giocare ad Old Trafford contro il Man Utd, specialmente con un club che non arrivava in finale da 28 anni come i BlackCats. Quando siamo andati ai rigori sapevo che era la mia sera, con 10 mila tifosi dietro. Una sensazione bellissima. Ancora di più disputare la finale a Wembley contro il City. Non lo scorderò mai. Da quando abbiamo battuto Chelsea di Mou, poi lo United 2/2 per noi è stata una conquista. Avevamo già vinto. La parata su Rafael? La più bella della mia vita.

Che rapporto avevi con Jermain Defoe?
Un rapporto vero, un amico. Un particolare feeling tra attaccanti e portieri. Lavora molto con la sua Onlus e quando assisteva Bradley mi sono unito molto a lui.

E’ vero che volevi giocare come attaccante anzichè portiere?
Mi è sempre piaciuto il ruolo. Un ruolo più facile. Studiavo molto gli attaccanti, poi però ho deciso di fare il portiere.

Quali sono stati i portieri da cui ha preso qualche consiglio e a cui ti sei ispirato?
Angelo Peruzzi. Un portiere atipico, non molto alto però esplosivo che in un certo modo mi ricordava il mio stile. Poi ovviamente la carriera di Buffon. Il mio idolo da cui ho appreso molto. Nel 2006, Arsenal-Juve quarti di finale di Champions, lo incontrai a 17 anni e mi tremarono le gambe e mi disse che mi seguiva e che avevo talento.

Fuori dal campo a Minneapolis, NFL o NBA?
Seguo sia i Vikings sia i Timberwolves, e pure l’Hockey. A Minnesota c’è molto sport. Mi piace seguire i Vikings, l’ultima volta sono andato con Jan Gregus, e capisci perché forse è il primo sport in America quando ci vai dal vivo.

Cosa ne pensi della città? Ti manca Desio?
Desio è dove sono cresciuto, sono di origini siciliane. Nella mia carriera ho vissuto in varie città da Londra, Sunderland, Reading e ora sono qui a Minneapolis. Tutte grandi, belle, caotiche ma il legame con l’Italia resta troppo forte. Alla fine dei conti l’Italia è l’Italia. L’ultimo anno è stato molto intenso non sono tornato mai, quindi mi farebbe bene tornare e rivedere la famiglia. Cercheremo di vincere i Playoff e poi torno!

Quindi: torneresti in Italia e verresti in Serie A?
Fin da bambino quando sono cresciuto all’Atalanta, avevo il sogno di giocare in Serie A. Non immaginavo mai nella vita di diventare un portiere di Premier League o MLS. Con l’Italia ho un rapporto strano: non ho avuto particolari chiamate dai club e mi sono trovato bene io all’estero. Ho sempre sperato che la serie A tornasse ai livelli alti e piano piano lo sta facendo. A me non dispiacerebbe, se capitasse l’opportunità la si valuta e perchè no? Mi troverei a casa sì, ma in un campionato nuovo per me dato che sono cresciuto in Inghilterra. Sono italiano ma è come fossi uno straniero.

In cosa è migliore la MLS rispetto alla Serie A?
Investimenti, stadi, idee chiare. Qua una squadra nasce piccola che parte dal nulla e nel giro di 2 anni ha un pubblico di 30/40 mila persone che cresce sempre di più. Tipo Los Angeles FC, Atlanta e noi ad esempio che siamo in MLS da poco. In Italia si sta lavorando sempre di più per migliorare le strutture. Il calcio italiano è intoccabile, talento e allenatori ci sono. Non avere la violenza negli stadi. Sia in Inghilterra ed ora in MLS non ho mai visto un problema di violenza e razzismo.

Il 21/10 iniziano i PlayOff ed arriva Ibra. Come vi preparerete?
La stagione è stata lunga, alterniamo allenamento e riposo. Abbiamo giocato tanto, una partita ogni 3 giorni e dobbiamo recuperare energie. Sarà una bella partita, ci siamo meritati di giocare in casa e questo è un vantaggio. Saremo un osso duro e saremo pronti. Loro non hanno avuto una grande forma fuori casa e noi abbiamo perso solo una partita in casa. Giocheremo con intelligenza, consapevoli che loro hanno i grandi giocatori: Dos Santos, Ibra e Pavòn. Lo sappiamo però, sapremo cosa fare. Abbiamo un pubblico molto coinvolgente che ci spinge molto e faremo bene per loro. Vedremo. Pronostici meglio non farli per scaramanzia.

Si ringrazia per la disponibilità Vito Mannone e l’Ufficio stampa di Minnesota United.


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