Intervista con Vanni Sartini, assistant coach dei Vancouver Whitecaps
Dalla Toscana alla British Columbia passando per l’Illinois: è la storia di Vanni Sartini, attuale assistant coach dei Vancouver Whitecaps, agli ordini di mister Marc Dos Santos. L’allenatore toscano ha un trascorso agonistico da portiere nelle serie minori, appesi i guantoni ha poi iniziato ad allenare. E’ stato il secondo di Davide Nicola a Livorno e a Bari e ha lavorato per la FIGC al Centro Studi e ricerche del Settore Tecnico di Coverciano. Nel 2016 la chiamata della USSF, la federcalcio statunitense, per un ruolo da formatore degli allenatori. A fine 2018 il ritorno sul campo in Canada. Ecco che cosa ci ha raccontato. (Puoi ascoltare l’intervista col suo audio originale).
Come ha avuto l’opportunità di lavorare negli Stati Uniti d’America?
Tre anni fa lavoravo come docente degli allenatori per la federazione italiana e mi occupavo di tutta la parte inerente la formazione internazionale. Avevo quindi un po’ di contatti. Mi chiamò la federazione statunitense, volevano ingaggiare un po’ di allenatori europei e quindi questa è stata l’offerta, questa è stata l’occasione e l’ho colta al volo.
Quali erano le sue mansioni all’interno della USSF?
Ero docente del corso Pro che ho contribuito anche a creare in termini di curriculum. Ho fatto anche il docente per il corso dei portieri e in più lavoravamo in una commissione tecnica che supervisionava tutti gli allenatori del settore giovanile creando principi di gioco per tutte le nazionali giovanili.
Quali differenze vi sono con la tipologia di lavoro che si adopera in Italia?
Direi che da noi c’è chiaramente molta più tradizione, molti più anni di lavoro e molta più attenzione a livello tattico. Qui in Nordamerica gli allenatori giovani sono molto bravi da un punto di vista organizzativo, da un punto di vista di leadership, mentre ancora in Europa siamo molto più preparati sulla tattica.
Come reputa l’attuale livello tecnico del sistema calcio statunitense?
Direi che in tutto il Nordamerica, non solo negli Stati Uniti, sta veramente aumentando. Io sono arrivato qui tre anni fa e in tre anni ho visto compiersi passi da gigante nella MLS, un campionato che sta diventando molto più sofisticato da un punto di vista tattico, ci sono molte più differenziazioni, allenatori che vengono dall’Europa, ex giocatori statunitensi che hanno giocato in Europa e sono tornati qua e hanno cominciato ad allenare, quindi il livello si è alzato notevolmente e adesso è una lega di buon livello. Chiaramente non è ancora al passo delle top five europee ma immediatamente dietro quelle possiamo metterci anche l’MLS.
In generale nel Nordamerica qual è la percezione circa i calciatori e gli allenatori italiani?
Tutti sanno che gli allenatori italiano sono molto preparati dal punto di vista tattico, e chiaramente c’è anche lo scherzo. Visto che noi abbiamo molta attenzione verso la fase difensiva, la prima parola che mi dicono la prima volta che mi incontrano è “catenaccio“. Dal punto di vista dei calciatori c’è un’alta considerazione della loro professionalità e della loro alta preparazione. Abbiamo avuto qui in Canada ragazzi che hanno fatto bene, come Giovinco a Toronto, come Donadel e Mancosu a Montreal negli ultimi anni, quindi c’è sicuramente una percezione alta dei nostri calciatori e dei nostri allenatori.
Come è approdato ai Vancouver Whitecaps?
Principalmente perché Marc Dos Santos mi ha chiamato e mi ha voluto. E’ un ragazzo che avevo conosciuto l’anno scorso e il suo progetto mi ha affascinato, dopodiché ho parlato con il club, con Greg Anderson che è il general manager e con Bob Lenarduzzi che è il presidente, e mi hanno presentato il loro progetto. Mi è sembrata la situazione più giusta, avevo avuto anche altre offerte, altre opzioni ma questa è stata la più appetibile. Avevo voglia di ritornare a lavorare in una squadra dopo tre anni che avevo lavorato per la federazione negli Usa, mi mancava il campo, mi mancava la competizione ogni domenica e quindi ho preso questa opportunità al volo.
Marc Dos Santos è un coach molto dotato che ha saputo raccogliere numerose esperienze nella sua vita, sia all’estero che in patria, è riuscito a vincere la NASL nell’unico anno di vita dei San Francisco Deltas. Che cosa ci può dire riguardo alla sua personalità e al suo metodo di allenamento?
Marc è un ottimo allenatore. E’ canadese ma è portoghese di formazione e quindi è molto europeo nella dinamicità del lavoro. E’ una persona molto organizzata e ha una chiara visione di quello che la squadra vuole fare. Lavoriamo secondo il sistema della periodizzazione tattica portoghese, tutto relativo al modello di gioco che vogliamo sviluppare, tutto ha una base tattica. Tutto è subordinato al fatto di implementare quel modello di gioco che vogliamo creare; è una modalità di lavoro che direi non è cosi usuale qui in Nordamerica e che si avvicina molto agli standard professionistici europei.
Quali sono i suoi compiti nello staff tecnico?
Sono molteplici. Nello staff siamo in quattro: Marc è il capo allenatore, Phillip Dos Santos e io siamo i due assistenti e Yussef Dahha è l’allenatore dei portieri. Il mio maggior compito è quello dell’organizzazione della fase difensiva, anche se sono molto investito in qualsiasi altra parte dell’allenamento, dalla creazione di esso allo sviluppo delle varie esercitazioni durante la settimana, ma sicuramente il mio compito principale è quello della difesa, qui scherzosamente mi chiamano il “ministro della difesa“. Sono quello dello staff che deve lavorare di più con i difensori e non solo con i difensori per quanto riguarda tutta la fase senza palla.
Quest’anno i Caps hanno cambiato molto, creando un roster molto differenziato e con giocatori che vengono da molteplici esperienze. Come reputa l’attuale andamento del vostro calciomercato?
Abbiamo cambiato tanto, siamo la squadra che ha cambiato di più nella Lega, se guardate la pagina dei trasferimenti della MLS la nostra colonna è grandissima perché abbiamo 15/16 nuovi giocatori. Chiaramente c’è da lavorare tanto ma siamo molto contenti perché non abbiamo scelto giocatori a caso. Avevamo in testa l’idea di un progetto ben preciso con il nostro modello di gioco, con l’idea di selezionare calciatori con determinate caratteristiche che ci aiutassero a implementare questo modello nelle due fasi di gioco, offensiva – difensiva e anche nelle transizioni, e per questo siamo contenti. Abbiamo un roster con tantissime nazionalità, 12/13 nazionalità, con una buonissima base di ragazzi canadesi e statunitensi. Crediamo che la diversità all’interno del roster con tantissime esperienze diverse, giocatori più esperti, giocatori meno esperti, giocatori locali, giocatori internazionali, diventerà una ricchezza per noi durante la stagione perché i più giovani potranno imparare dai più esperti, gli stranieri potranno imparare la cultura nordamericana che è completamente diversa. E’ completamente diverso giocare qui che giocare in Italia, qui si gioca il sabato sera magari in casa e il mercoledì che è dopo quattro giorni magari dobbiamo giocare a Boston che è a cinquemila chilometri da Vancouver. Le energie fisiche e mentali da spendere sono enormi e si spendono nei viaggi, il recupero è totalmente differente quindi abbiamo bisogno di un “core” di giocatori locali che aiuti i giocatori stranieri ad adattarsi. Credo che abbiamo costruito una buona squadra siamo fiduciosi.
Quali sono le aspettative per questa stagione?
L’aspettativa è quella di competere, di essere una squadra competitiva e di arrivare nei play off, quindi almeno la posizione numero sette, sulle dodici squadre della Conference. Poi abbiamo un secondo obiettivo che è la Canadian Championship, molto importante per noi perché dà l’accesso alla Concacaf Champions League, per noi è molto importante arrivare almeno in finale. Il modo per arrivarci sarà solo attraverso il gioco, attraverso la qualità del nostro lavoro.
Il Canada in vista dei Mondiali del 2026 sta vivendo una forte espansione del soccer. Come giudica questo movimento?
Devo dirvi che l’ambiente è differente tra Canada e Stati Uniti. Ho vissuto a Chicago per tre anni e nelle grandi città statunitensi il calcio è il quarto o quinto sport. In Canada, a Montreal, a Toronto, a Vancouver, il calcio è il secondo sport dopo l’hockey su ghiaccio quindi l’espansione che sta vivendo e una espansione che diciamo in realtà già c’è, adesso bisogna mettere qualità. Speriamo che anche la nazionale canadese possa fare degli ottimi risultati, anche perché abbiamo tre, quattro giocatori della nostra rosa che sono in nazionale quindi se fanno degli ottimi risultati significa che i nostri giocatori stanno lavorando bene. Ci sono tutti gli ingredienti per far diventare il soccer una grande realtà anche qui in Canada.
Vancouver è tra le città che maggiormente stanno crescendo culturalmente ed economicamente nel mondo. Come ci si trova?
Vancouver è una città strepitosa, mi ci sono trasferito un paio di mesi fa e quindi non la conosco ancora perfettamente, anche perché poi siamo stati in ritiro alle Hawaii e ora siamo a Los Angeles quindi ancora vi ho vissuto poco, ma il primo impatto è stato bellissimo. E’ una città meravigliosa, hai l’oceano davanti, le montagne dietro, e il centro è simile al centro, al “downtown” di una bellissima città nordamericana, invito chiunque a visitarla, ha una popolazione molto diversificata e puoi vivere diverse esperienze al suo interno: puoi avere a che fare con la natura, con la montagna, puoi fare trekking e puoi anche godere della presenza di ristoranti di altissimo livello, e mi ci trovo benissimo. Poi c’è una comunità italiana molto grande, ho già trovato un paio di ristoranti italiani veramente ottimi quindi sono molto contento da questo punto di vista.
Quali allenatori e quali giocatori italiani vedrebbe bene in MLS?
Allenatori tanti, giocatori tanti. Per quanto riguarda la qualità io direi chiunque giochi o alleni in Serie A potrebbe venire qua, però non c’è solo la qualità, bisogna avere un certo tipo di attitudine. Noi italiani non siamo i numeri uno ad andare all’estero e a lavorare all’estero perché molte volte abbiamo poca attitudine ad adattarci a culture diverse dalle nostre. Se uno viene qua e pensa: “siccome sono italiano, ho lavorato in Serie A, ho giocato in Serie A e vengo qua e faccio le cose senza dare il 100%” non rispettando la cultura locale è destinato a fallire. Solamente se si viene qua con l’attitudine di dire: “ok, adesso non sono più un giocatore di Serie A, sono un giocatore di MLS, devo comportarmi da tale ed entrare nella cultura, imparare la lingua, imparare le usanze e capire che qui certe cose sono differenti rispetto all’Italia” si può avere successo. Direi che l’attitudine è la prima cosa, il rispetto per la cultura statunitense e per la cultura canadese è la seconda.
Quali sono i suoi obiettivi di carriera futuri?
Nel calcio secondo me non si devono fare piani a tre, quattro, cinque o sei anni perché tutto può cambiare in un mese. Il mio unico obiettivo di carriera in questo momento è quello di fare bene con i Whitecaps, di fare una grande stagione, di aiutare Marc, di lavorare bene con lo staff tecnico e fare in modo di riuscire a ottenere i nostri obiettivi. Se si lavora bene in futuro i sogni si realizzano, se non si lavora bene i sogni non si realizzano quindi l’unico obiettivo futuro che ho in questo momento è lavorare bene con i Whitecaps e tentare di raggiungere gli obiettivi che abbiamo.
Ringraziamo nuovamente per la grande disponibilità, professionalità e gentilezza coach Vanni Sartini e l’ufficio stampa dei Vancouver Whitecaps, in particolar modo Mr Vanstone.
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