New York Derby: la Grande Mela in cerca di un’identità
C’è un film del 2003, il cui nome italiano è “Terapia d’urto” e la cui scena madre si svolge nell’antico Yankee Stadium. Il protagonista, Adam Sandler, è in mezzo al campo braccato da security e polizia. Di fronte a lui l’allora sindaco di New York Rudy Giuliani, che ordina a tutti di lasciarlo parlare. Il primo cittadino indossa un cappellino da baseball con al centro il logo degli Yankees e sui lati quello della Polizia e dei Vigili del Fuoco della città. Tre simboli, tre icone: il baseball, sport nazionale nato proprio a Manhattan,la polizia protagonista di tante pellicole e serie tv e i pompieri eroi quotidiani dei cinque distretti.
Anno di grazia 2018, ventitreesima edizione della Major League Soccer, il New York City Football Club, seconda franchigia della Grande Mela per anni di costituzione, ha battuto i New York Red Bulls, società sorta nel 2006 dall’acquisizione dei precedenti Metrostars, per uno a zero; risultato che consente ai primi di superare di due punti in classifica i secondi, che però hanno da recuperare una partita rispetto ai cugini del Bronx. In classifica le due squadre sono appaiate al secondo e terzo posto di Conference e nelle due precedenti stagione hanno sempre raggiunto i play off con i Red Bulls che sono arrivati persino alle semifinali di Concacaf Champions League.
Risultati di tutto rilievo se si considera che NYCFC sono alla loro quarta stagione ma che forse non bastano, considerando la grande importanza che New York assume nella storia dell’umanità (città più visitata al mondo, maggior mercato internazionale e luogo di commistioni di culture) e in quella calcistica in quanto proprio dai campetti improvvisati della Grande Mela la passione per il soccer venne importata dagli emigranti negli States, che nel 1923 diedero vita alla Cosmopolitan Soccer League, un campionato urbano, tutt’oggi disputato, che mette a confronto decine e decine di squadre che nel corso dei decenni sono state protagoniste nella coppa nazionale.
Se si guarda al palmares delle due squadre newyorchesi presenti in Mls è piuttosto scarno. Nessuna conquista per i Cities che però hanno concluso gli ultimi due campionati al secondo posto di Conference. Bacheca leggermente più ricca per i cugini con sede nel New Jersey in quanto possono contare su due Supporter’s Shield (2013 e 2015) e cinque vittorie di Conference (una durante l’era Metrostars). Nel corso della loro storia non sono mancati i campioni in ambo gli schieramenti. Dai Metrostars di Meola, Donadoni, Caricola e successivamente Savarese, Faria, Guevara e Adolfo Valencia fino ai Red Bulls che hanno visto scendere in campo campioni come Thierry Henry e i fratelli Wright Philips la società di Harrison ha sempre fatto onore al nome della città e di meno non si può dire di NYCFC che dalla sua fondazione ha portato in città Frank Lampard, Andrea Pirlo e David Villa, nomi che supportati da una sana gestione delle franchigie, elemento che oggi come oggi non manca, avrebbe dovuto portare a risultati più importanti, ma ciò purtroppo non è avvenuto.
E quale può essere la ragione? Cerchiamo di esaminare le realtà in questione. Stiamo parlando di due squadre che hanno alle spalle due enormi multinazionali attive nel mondo dello sport e in particolar modo del calcio. Due aziende che hanno preso il nome New York e lo hanno affiancato ai loro brand già consolidati. E’ andata così nel 2006 quando il colosso austriaco delle bevande decise di acquistare i Metrostars abolendo la doppia denominazione geografica che richiamava il New Jersey nonostante la vita della squadra e dei suoi tifosi si svolga quasi esclusivamente in quello stato, omologando logo e colori sociali a quelli delle altre squadre e scuderie Red Bulls in giro per il mondo. La stessa operazione è stata compiuta nella creazione dei NYCFC, sorti come costola della casa madre che sorge dal new deal del Manchester City, un tempo cenerentola del calcio inglese (e se si vuole tornare alle citazioni cinematografiche si guardi Jimmy Grimble, dolce e incantevole fiaba per bambini cresciuti) e oggi colosso mondiale che ha esportato il suo brand non solo alla foce dell’Hudson ma anche a Melbourne, dove proprio il buon Villa soggiornò prima di atterrare al JFK, ed è presente con proprietà totali o compartecipazioni anche in Spagna, Uruguay e Giappone. Certo, nel caso di New York nella proprietà compaiono anche gli amati Yankees con il quale tifosi e calciatori condividono il nuovo bellissimo Yankee Stadium, un 20% visibile nel logo, ma colori e 80% richiamano il City, senza contare che la coabitazione sta creando non pochi problemi in quanto i cugini con i tacchetti sono spesso costretti a emigrare in stadi non sempre a portata di mano.
Qualcuno potrebbe dire che non vi è nulla di strano in quanto New York è il luogo della terra con maggiori società multinazionali e quindi è normale che il calcio, e il calcio Mls, qui abbia trovato questa strada, ma è davvero così? In una società in cui il marchio, il logo, il brand, hanno assunto sempre maggiore importanza ai maestri del marketing può essere sfuggito qualcosa, un qualcosa talmente quotidiano e presente che forse forse era facile dimenticarsene. New York City è di per se un logo, anzi il logo per antonomasia, una realtà talmente evidente che il marchio stesso della città e la sua iconica Big Apple sono registrati. Sovrapporvi altro non è sbagliato ma può essere poco vincente e oggi, anno di grazia 2018, ventritreesima edizione della Major League Soccer, è un dato di cui tenere conto. A New York nel mondo del calcio vi è un problema di identità, di radici, che probabilmente si rende manifesto nei risultati raggiunti, sempre al top ma a un passo dalla vetta, come una scalata che per essere compiuta ha bisogno di lasciarsi qualcosa dietro e non di aggiungere altro peso. Un dato nemmeno tanto teorico se pensiamo alle ultime sostituzioni tecniche che hanno visto coach Vieira, uomo del Manchester City, essere sostituito da Domenec Torrent, uomo Manchester City, e dal Bronx al New Jersey nulla sembra cambiare in quanto Jesse Marsch ha lasciato gli States per raggiungere i tori rossi di Lipsia, e non come head coach ma come assistente.
A New York sembra insomma che non sia riuscita l’operazione che invece pare andata in porto a Los Angeles. Sulla West Coast i Los Angeles FC, freschi di ingresso nella Lega, sembrano andare a vele spiegate grazie a un tifo che si alimenta dell’anima latinos della città, orfana dei Chivas USA (altro franchising non finito tanto bene), della loro posizione interna al tessuto urbano, e a una sponsorizzazione che vuole rivoluzionare il criterio di visione delle partite di calcio. E se dall’altra parte della staccionata si può obiettare che le cose attualmente non vanno abbastanza bene basta dare un’occhiata alla bacheca dei Galaxy per vedere che purtroppo con New York c’è un abisso. Cinque Mls Cup, otto Conference, due coppe nazionali e una Concacaf Champions League per la squadra di Carson a cui Beckham, Keane e Gerrard hanno saputo dare lustro e che oggi con Ibrahimovic, Cole e i fratelli Dos Santos tenta di risalire la china.
Che fare allora con New York? Una soluzione, scavando nelle radici degli alberi di Central Park potrebbe essere d’aiuto, e stimolare ancor di più una città che di derby potrebbe averne tre ma anche quattro, cinque o sei contando i Cinque Distretti e il fratellino amato New Jersey. Se a Los Angeles ci sono i Galaxy a New York ci sono i Cosmos e ci sono dal 1970. Attualmente militano con la squadra B nella amatoriale NPSL ma il loro brand è più che vivo che mai e, a quanto pare, riescono ancora a contare il maggior numero di tifosi in città. Una operazione oggi difficile ma che sicuramente rilancerebbe il nome di New York nel calcio internazionale perché i Cosmos sono quelle radici, quella identità che rende New York unica e fruibile. In primis hanno un blasone contando su cinque titoli dell’antica Nasl e tre della nuova e accanto a questi titoli possono vantare i nomi di “O Rey” Pelè, di Franz Beckenbauer e del nostro Giorgio Chinaglia. Il patron della squadra, l’italoamericano Rocco Commisso, è tra le persone più importanti nell’economia dei mass media ed è dotato di un consistente patrimonio e di una volontà ferrea di investire nel mondo del calcio. Attualmente è impegnato in una dura battaglia legale con Federazione e Major League Soccer che, seppur in alcuni punti può apparire teoricamente legittima, perde di valore quando si guarda a quello che la Mls, seppur con i suoi limiti, è riuscita a realizzare in oltre vent’anni, attestandosi come il tentativo più longevo e riuscito di lega professionistica negli Stati Uniti e Canada, con criteri di contenimento delle spese che sono da esempio per tutto il mondo del calcio. Recentemente, al seguito di una vittoria dei suoi Cosmos, ha dichiarato che la squadra è pronta a tornare, sperando in una risoluzione a lui favorevole, in quanto chairman della Nasl ma, in fondo, vedere la squadra di Brooklyn in Mls sarebbe la soluzione ottimale, una soluzione che a Commisso costerebbe meno della metà dell’acquisto del Milan, con minori rischi e minor lavoro di rebranding, ma con la certezza di avere alle spalle una identità pronta a riprendersi il suo posto nel calcio che conta.
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