USA, Pulisic spiega i problemi del sistema calcistico
Al dibattito sul futuro del calcio americano, sull’onda della umiliante esclusione dalla Coppa del Mondo, si aggiunge una voce singolare, quella di Christian Pulisic. L’attaccante del Borussia Dortmund è infatti il più giovane giocatore della Nazionale statunitense ad avere calibro internazionale, ma è anche la vera stella della selezione Usa.
Pulisic, 19 anni e di doppio passaporto (il nonno era croato, ma il giovane attaccante ha rifiutato l’offerta della federazione di Zagabria di far parte della sua nazionale), dichiara di essere “piuttosto depresso” dalla mancata qualificazione, e sulla edizione di domenica della rivista “The Players Tribune” (edita da Derek Jeter, l’ex campione degli Yankees) ha espresso una serie di affermazioni che vanno tenute in considerazione anche in vista della corsa alla presidenza federale di marzo.
Il punto cruciale per Pulisic è l’inabilità del sistema calcistico statunitense a mettere nelle condizioni i giovani talenti ad esprimersi a livelli internazionali: “Per un calciatore, gli anni che vanno dai 16 ai 18 sono tutto, un’età in cui s’intersecano crescita personale e tecnica ed in cui, seguendo la direzione corretta, il giocatore può compiere il salto maggiore in termini di sviluppo”.
Uno degli aspetti negativi riguarda – e Pulisic fa da cassa di risonanza alle osservazioni generali degli addetti ai lavori – lo status che circonda in America i migliori Under 17, trattati già da campioni: “Non devono impegnarsi per ricevere la palla poiché sono continuamente al centro dell’attacco, proprio in un periodo in cui dovrebbero lottare con unghie e denti per un posto. Di riverso, in Europa la media del gioco è più elevata, ma nel gruppo si deve lottare per emergere, trovare spazi, letteralmente ogni settimana, il che genera quella intensità ed umiltà che devi portare in campo ogni giorno, mentalmente ed atleticamente, esattamente l’opposto a quello che avviene del calcio giovanile statunitense”.
Un aspetto sottolineato da Pulisic è anche di carattere amministrativo. La Fifa proibisce gli Under 18 di trasferirsi dal proprio paese di nascita, regola che procurò una squalifica per un anno a Barcellona, Real Madrid e Atletico Madrid. Le eccezioni riguardano calciatori le cui famiglie si trasferiscono di Paese per motivi non collegati all’aspetto calcistico, o se il transfer avviene tra nazioni dell’Unione Europea. Il privilegio di possedere la cittadinanza croata mise quindi Pulisic nelle condizioni di poter giocare in Germania a 16 anni: “Non sarei mai allo stesso livello” se ciò non fosse avvenuto, afferma l’attaccante, il quale di conseguenza si chiede: “Perchè il transfer viene concesso ai giocatori dell’Ue. Perché i non europei non possono muoversi fino al compimento del 18simo anno?” Pulisic sostiene che occorrerebbe quindi una spinta politica per l’equiparazione tra giovani giocatori comunitari e non.
Nell’attesa, dopo aver sottolineato i passi in avanti mossi dal calcio professionistico degli Usa, dalla sua cultura calcistica, e dall’impatto di città come Portland e Atlanta, l’attaccante della nazionale punta l’attenzione sulle opportunità domestiche: “Stiamo facendo del nostro meglio per sviluppare i giovani ai massimi livelli?” si chiede, additando la Maior League Soccer. “È frustrante guardare la Mls, e vedere i nostri migliori Under 17, così capaci e di talento, essere inseriti in squadra, ma non giocare mai. Li guardo e poi ricordo che invece a me è stata data un’opportunità che mi ha cambiato la vita”.
La sua osservazione finale mostra un livello non indifferente di maturità: “Non sono un prodigio o un ‘wonderboy’, durante i miei anni di crescita ero semplicemente un giocatore decente, anche se con un’abilità naturale. Ovviamente, i sacrifici a cui mi sono sottoposto sono stati tanti, ma il concetto che vorrei sottolineare è che il problema del calcio americano non è la mancanza di talento, piuttosto sviluppare nel modo giusto quello esistente”.
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