Elias, dall’uragano Irma all’Under 13: quando il calcio salva la vita
Il sorriso sincero e spiazzante di chi ha visto il fondo del baratro ma è sicuro di poterne uscire. Prima di qualsiasi altra cosa è questo a colpirmi di lui, un ragazzino di 12 anni intento a palleggiare con un pallone di stoffa. E di stoffa, credetemi, quel ragazzino ne ha da vendere. Due occhioni verdi, sempre un po’ lucidi ed eccessivamente attenti, un sorriso furbo, a tratti beffardo eppure estremamente dolce. Elias è uno dei bambini che durante l’emergenza uragano Irma è stato “prelevato” dalle strade di North Miami e portato nei centri d’accoglienza organizzati dai campi universitari sportivi. E stando allo stato attuale delle cose si è trattato della cosa migliore che potesse capitargli.
Guardandolo da lontano senza conoscere nulla di lui né di tutti gli altri, viene quasi spontaneo domandarsi chi siano davvero quei bambini non più bambini: ladri o soldati, vittime o carnefici, ragazzini di strada o criminali. Miseria e degrado si sa, fanno crescere troppo in fretta e quando la priorità a soli 10 anni diventa quella di sopravvivere va da sé che tutto il resto si trasforma in
qualcosa di superfluo. Ma la storia di Elias è uno di quei racconti fortunati, uno di quei momenti in cui credere che qualcosa di straordinario sia possibile diventa un obbligo, non una mera utopia.
Si perché senza nemmeno accorgersene, perso com’era a correre dietro a quella palla di stoffa, a dribblare i compagni di gioco e a segnare in quella porta fatta da due taniche di plastica, Elias è stato notato da un osservatore di Washington arrivato a Miami per stare vicino alla madre anziana e malata, decisa a non lasciare South Beach nemmeno se Irma le avesse portato via la casa. E quell’osservatore di Washington, che sempre per caso ha fatto visita al campo sportivo, si è rivelato essere il punto di svolta nella vita di quel ragazzino che ha fatto del calcio una ragione per esistere.
Elias, che fino a 10 giorni fa faceva visita alla madre in prigione per spaccio e consumo di stupefacenti una volta al mese, potrebbe essere inserito nell’Under 13 Academy Team di Washington. Ora potrebbe avere un futuro che non sia su di una strada a farsi derubare della sua infanzia e del sacrosanto diritto di sognare.
E’ una storia di sport e solidarietà, uno di quei momenti in cui è necessario guardare oltre l’immagine iperbolica del calcio-business. E’ un calcio che illumina lo sguardo di un ragazzino a cui la vita ha già tolto molto a soli 12 anni. E’ un calcio in cui energia e passione possono diventare squadra, in cui quella squadra può diventare torneo, in cui quel torneo può diventare punto di svolta
di una vita che sembrava già segnata. Il calcio come ragione per sopravvivere, il calcio come straordinario strumento di educazione e riconciliazione.
E allora noi non possiamo che augurare il meglio a quel ragazzino e alla sua palla di stoffa. Come recitano le magliette dello staff di supporto dei centri d’accoglienza: Stay calm..and never give up!
Di Eleonora Gavaz da Miami Beach, Florida
* Foto dal web, non corrispondono al protagonista della storia
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