Gigio, che hai combinato? Potevi essere un esempio, anche per la MLS

Romanticismo. Per me, il calcio, è sempre stato romanticismo. E sempre lo sarà. Nelle vene scorre sangue sentimentale, l’ho capito ancor di più ieri. Ero a cena, con mio padre, juventino fino al midollo, juventino di quasi 65 anni, juventino che ha perso 5 finali di Champions consecutive, e lo vedevo un po’ affranto. “Pà, che è successo?”, la sua risposta, immediata: “La scelta di Donnarumma mi ha scioccato”. Era dai tempi della Decision di LeBron James che non c’era un tam-tam mediatico sul futuro di un giocatore. Un estremo difensore fresco 18enne che ha preso una decisione, a suo modo, estrema: lasciare la squadra che, parole sue, era la squadra del suo cuore.

Romanticismo, dicevamo. Nel sangue, ribadisco. Sì, perché dopo la cena con chi non ha ancora superato l’addio di Zidane, è arrivato un messaggio, da mio fratello, interista: “Oh, dispiace pure a me”. Per intenderci, non ha ancora superato l’addio di Ronaldo.  Ah, e come se non bastasse, direttamente dall’Abruzzo, uno dei miei migliori amici, juventino del sud, sanguigno e viscerale, si presenta con un’altra whatsappata: “Oggi, amico mio, è finito tutto”. Eh si, è finito tutto. Insieme abbiamo visto l’addio di Francesco Totti, le sue lacrime nel posto in cui più si è sentito Re e protetto, quell’Olimpico che è stato, e sempre sarà, casa sua, la dimora di quello scudetto a tinte giallorosse inseguite sin da bambino. Lacrime che hanno cristallizzato il momento: “Qui finisce il calcio romantico”. Una cristallizzazione che, però, aveva lasciato una piccola crepa, dalla quale sbucava una speranza: “Sai mai che…”. E invece…

Da buon romantico, ci caschi, sempre. Troppo buono, troppo dolce, troppo tutto, come con le ragazze, che ti ringraziano, salutano e vanno via, da uno più cinico, più superficiale e meno profondo. Però vanno da lui, lasciando te con i tuoi sentimenti appesi al suo cuore. Con Gigio Donnarumma è successo così. Anzi, di più. Tutti si erano innamorati di quella faccia da bambino barbuto, quel sorriso spontaneo di chi veramente stava vivendo il suo sogno, con tanto di baci allo stemma nella tana del nemico, con quel “Sempre loro, sempre loro” che faceva eco a uno spontaneo gesto d’amore. Interisti, milanisti, juventini, tutti speravano di avere un nuovo simbolo. E invece no, ha deciso di lasciare il Milan, nonostante un ricco contratto proposto, nonostante la carta d’identità sottolinei i suoi 18 anni, nonostante i bambini lo avessero eletto a proprio idolo.

In Major League Soccer, e anche più in generale nello sport americano, c’è un sistema che fatica a creare bandiere, tra scambi, tetto salariale, draft, ecc. Ci sono le eccezioni, vedi Kobe a Los Angeles, la prima che mi viene in mente, ma in linea di massima c’è chi abbandona e poi ritorna, vedi LeBron. C’è chi va e chi viene, in pochi restano. Uno come Gigio poteva diventare il punto fermo di un mondo che continua a correre all’impazzata intorno ai soldi, Gigio poteva diventare il simbolo del calcio romantico del passato in un calcio moderno e ricco, Gigio poteva essere da esempio per un movimento, come quello americano, che da poco ha iniziato a fare sul serio. Invece no, è diventato come tutti gli altri. E perfino al di là dell’oceano lo avrebbero criticato, ripudiato, quasi schifato.

Ma sono romantico e, quindi, ci ricasco. Ci dovrà pur essere un bambino, anche un solo bambino, in qualche settore giovanile, da quello del Real Madrid campione d’Europa a quello dell’Oratorio Lainate quart’ultimo in Terza Categoria lombarda,  con il gene della bandiera dentro di sé. Arriverà, come un nuovo Jedi, una nuova speranza, che possa unire un mondo intero come ha fatto quello là con la 10 giallorossa, quello là che ha tenuto incollato un pomeriggio intero davanti alla tv il mondo del calcio, quello là che il giorno del suo addio ha pianto, da 40enne, come un bambino.


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