La Major League Soccer (MLS), il Canada, un nuovo continente e una vita tutta diversa a cui abituarsi, chissà, in meglio. Il luglio di Matteo Mancosu, attaccante dei Montreal Impact, è di quelli che possono cambiare la vita di un giocatore, di un uomo, anche a 31 anni. La scelta di sorvolare l’Atlantico per atterrare in Quebec per provare a dare il suo contributo offensivo in un campionato in grande crescita, nel posto forse migliore per gli italiani, Montreal, dove la comunità tricolore è molto forte e passionale.
Il suo “american dream” pur vivendo e giocando in Canada è iniziato nel migliore dei modi. A Mancosu, uno che in carriera ha segnato quasi 150 gol, sono bastati trentacinque minuti di campo per trovare il primo gol in MLS nel roboante 5-1 ai Philadelphia Union da subentrato a sua maestà Drogba, partendo titolare contro i DC United – con tanto di assist – e prendendo i primi apprezzamenti del pubblico canadese che in lui, nei suoi scatti in profondità e nel diagonale vincente, rivedono un po’ di quel Di Vaio che fece innamorare tutti.
“All’arrivo la MLS ti mette a disposizione una stanza d’albergo per due settimane per ambientarti e cercare casa – ha rivelato Mancosu al sito di Di Marzio -. Non ho ancora avuto modo di familiarizzare con la città, ma sono molto felice di questa scelta. La MLS mi affascinava da tempo e il livello del torneo sta crescendo molto, appena ho saputo dell’opportunità l’ho valutata seriamente.
Certo, le difese concedono più spazi rispetto alla Serie A e la fase difensiva è un po’ più leggera, ma non è così semplice giocare come si può pensare, il livello non è assolutamente bassa. La forza fisica e i tanti campioni nelle varie franchigie compensano la difficoltà tattiche: in MLS non è facile vincere”.
L’impatto con la nuova realtà è stato positivo per l’attaccante sardo: “Il primo impatto è stato stupendo, ci sono strutture incredibili, anche migliori di molte nostre società. Il centro sportivo di Montreal è all’avanguardia, ed è di proprietà. Il livello organizzativo è altissimo e questo viene premiato dal pubblico, con gli stadi spesso sold out.
Le partite sono uno show da gustare oltre la partita in sé.
I giornalisti a fine partita entrano negli spogliatoi a fare le interviste, non esiste il ritiro pre-gara, nei match casalinghi ci si ritrova un’ora e mezzo prima della partita”.
Per il resto c’è la comunità italiana, molto presente anche all’interno del club e non solo per Marco Donadel: “Marco mi ha accolto benissimo. Quando ha saputo che l’avrei raggiunto a Montréal, mi ha scritto subito, dicendomi di stare tranquillo che qui mi sarei trovato bene ed è stato così. Nel club, dai dirigenti ai magazzinieri, ci sono tanti ragazzi che parlano italiano, quindi l’ambientamento è stato facilitato da subito. Ora tocca a me imparare rapidamente l’inglese per avere la possibilità di dialogare meglio con loro”
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