Minnesota, intervista a Thiesson: “Posso scrivere la storia del club”

Con il match fra Portland e Minnesota, scatterà la stagione della Major League nordamericana. Un campionato nuovo, se pensiamo che la prima stagione venne disputata nel 1996. Nuovo ma oramai affermato: il cosiddetto “soccer” è esploso in termini di popolarità e attrattiva economica, attirando le televisioni e i grandi sponsor oltre ad un pubblico vasto e variegato. Sì, il calcio ha attecchito anche dall’altra parte dell’Atlantico. E così, tanti giocatori europei intraprendono il viaggio verso la terra promessa. Come Jérôme Thiesson, ex terzino del Bellinzona che dopo cinque stagioni e mezza ha lasciato Lucerna per accasarsi al Minnesota United. Il Corriere del Ticino, quotidiano della Svizzera italiana, lo ha intervistato prima della partenza per Minneapolis.

Allora, Jérôme: a quasi 30 anni era arrivato il momento di cambiare?
Direi proprio di sì. L’idea di provare qualcosa di nuovo mi balenava in testa da un anno o due. Volevo vivere un’esperienza diversa, un altro calcio e tutto ciò che ne consegue.

Gli Stati Uniti rappresentano un sogno oppure una scelta comoda?
Quando da bambino sogni di diventare un calciatore, beh, non ti immagini negli Stati Uniti da grande. Eppure la Major League è in crescita da diverse stagioni. È un campionato serio, professionale, dal livello paragonabile a quello svizzero. Tutti gli amici che vi hanno giocato o vi giocano me ne hanno parlato benissimo. Mi sono detto: perché no? Ho tenuto gli occhi aperti, già lo scorso mese di giugno qualcosa si stava muovendo mentre adesso si erano fatte avanti alcune franchigie. Alla fine Minnesota ha insistito e sono contentissimo. Una cosa ad ogni modo dev’essere chiara: vado in America come calciatore, non per fare il turista. La vita che potrò fare e i posti che vedrò sono semplicemente un bonus. Il mio lavoro resta il pallone e dovrò impegnarmi a fondo per impormi.

Fondato nel 2015, il Minnesota United farà il suo esordio assoluto in Major League. È anche per questo che Thiesson ha accettato l’offerta?
Sì, in Europa è praticamente impossibile partire da zero con un progetto del genere. Ho la possibilità di scrivere una pagina storica di questo club, è qualcosa che mi inorgoglisce.

Nessuna pressione?
Quella c’è sempre stata, non è un problema. Arrivo in America con tanta voglia ed entusiasmo, ma non credo che mi verrà appiccicata addosso l’etichetta di leader. Sono solo un terzino, non indosso il dieci dietro le spalle e non giostro dietro le punte. Detto ciò, so anche di essere stato preso per la mia esperienza. E che la gente si aspetta tanto da me.

Negli Stati Uniti e in Canada il calcio è cresciuto tanto, in campo e sugli spalti: un calciatore preferisce giocare in uno stadio pieno, vero?
Quando parlavo dei sogni del Jérôme bambino mi riferivo pure agli stadi colmi di passione. In America questo sport è seguitissimo e amato. Sarà bello calcare simili palcoscenici. Anche se ho già quasi trent’anni, posso ancora imparare tanto da un’avventura come questa.

Prima parlava dei consigli ricevuti da altri svizzeri che giocano o hanno giocato in Major League. A chi si riferiva?
Conosco personalmente Winter e Elmer. Sono miei amici. Poi so che Rochat, ora allo Young Boys, ha sempre parlato bene dell’America. In più a Bellinzona ho condiviso lo spogliatoio con Gashi, stella dei Colorado Rapids, mentre a Lucerna giocavo con Hyka che tenterà l’avventura con San Jose. Quando ho chiesto un’opinione, tutti mi hanno detto di accettare l’offerta e di buttarmi a capofitto.

Prima diceva che un bambino non sogna il calcio americano. Ma Thiesson sarà cresciuto guardando film e telefilm a stelle e strisce, no?
Sì e no. Guardavo poco la televisione, passavo parecchio tempo all’aperto a giocare a pallone. In quelle interminabili partite con gli amici sognavo un domani di calcare i campi della Serie A italiana o della Bundesliga. Però, appunto, il campionato americano si è sviluppato tanto. Per cui sì, possiamo parlare di un sogno che si avvera. Anche per la vita che farò, fino ad ora immaginata soltanto grazie ai film o alla Tv.

Ai giornalisti sportivi che intervistano qualcuno legato all’America piace chiedere di Trump. Lei cosa ne pensa del nuovo presidente?
Finora non me l’aveva chiesto nessuno. La verità? Non ho un’opinione precisa e un po’ me ne vergogno. So che i
media hanno veicolato una certa immagine di lui. L’hanno massacrato. Nel mio piccolo, come calciatore so che i giornalisti non sempre raccontano i fatti nel modo giusto. Se ha vinto le elezioni un motivo ci sarà. Si è guadagnato la chance di entrare alla Casa Bianca. Comunque, se non si dimostrerà all’altezza ci saranno conseguenze. D’altronde, anch’io se gioco male finisco in panchina.

Abbiamo parlato degli Stati Uniti e non della Svizzera: non ha pensato di restare a Lucerna o tornare allo Zurigo, club nel quale si è formato?
Ci ho pensato, sì. A Lucerna sarei andato in scadenza a giugno, mentre a luglio diventerò papà. In questi ultimi mesi mi sono guardato intorno, nel tentativo di trovare qualcosa che desse stabilità a me e alla mia famiglia. Il mio primo obiettivo era l’estero, parallelamente però mi sono detto che se non avessi trovato nulla avrei accettato un’altra avventura in Svizzera. Wil e Bellinzona, dove ho giocato da ragazzo, non erano un’opzione percorribile per cui rimanevano soltanto Lucerna e Zurigo. Con i primi ho intavolato una trattativa per il rinnovo, con i secondi non ci sono stati contatti. Evidentemente al Letzigrund non ero un tema. Alla fine è saltato fuori Minnesota: ho firmato per due stagioni con opzione per una terza. E ora non vedo l’ora di giocare.

Ad oggi è in attesa del visto per vivere e lavorare negli Stati Uniti. Come procede con la burocrazia?
I contratti sono firmati e la pratica con l’ufficio immigrazione è avviata. La mia domanda è in fila assieme a tutte le altre: potete immaginare quante persone vogliano vivere negli Stati Uniti. Appena dal Minnesota mi arriverà il nullaosta, dovrò prendere appuntamento con l’ambasciata americana a Berna e definire il tutto. Ci sono tantissimi moduli da riempire, la burocrazia sembra infinita. Non sarò là per l’esordio in campionato. La situazione è un po’ stressante, ammetto. Ma parliamo di stress positivo.

Nel frattempo si tiene in forma a Lucerna, con Babbel. Particolare, no?
Fantastico, direi. Non avevo mai sentito così tanto amore da parte di un club. Il Lucerna non si è opposto al trasferimento, ho potuto trattare con Minnesota liberamente. In più, nell’attesa di partire la società mi ha permesso di restare in squadra. Se ho bisogno di staccarmi per sistemare le mie pratiche amministrative posso farlo senza problemi. Addirittura, mi è stato detto che posso allenarmi a parte con il preparatore atletico qualora avessi paura di farmi male. Al Lucerna dico grazie: per le emozioni vissute negli anni e per l’affetto di questi giorni.

Dunque non ha ancora fatto la festa d’addio?
No, perché mi fa strano salutare tutti e ritrovarli all’indomani al campo. Appena avrò questo benedetto visto organizzerò un brindisi


Ringraziamo il Corriere del Ticino per aver voluto condividere con noi questa intervista. In bocca al lupo a Thiesson per la nuova avventura in MLS

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